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CRISI

Grecia, il naufragio continua anche dopo la Troika

Fine dei programmi di aiuto internazionale per la Grecia. In parole povere, Atene dà il suo addio alla Troika. Ma l'economia è ancora in grave crisi. La Grecia di oggi appare come quel naufrago che, in mezzo al mare, vede la terra in lontananza ma non sa ancora se riuscirà a raggiungerla. Molto dipenderà dal governo Tsipras.

Economia 22_08_2018
"Benvenuti in Grecia, terra di opportunità: tasse, tasse e ancora tasse"

“Oggi, nel nostro paese, è l'alba di un nuovo giorno. Un giorno storico. Sono finalmente finiti i memorandum dell'austerità, della recessione e della desertificazione sociale. Il nostro paese riacquista il suo diritto di decidere il proprio futuro”.

Annuncia così il premier greco Alexis Tsipras la fine dei programmi di aiuto internazionale ovvero, giornalisticamente parlando, l’addio della Troika. Lo fa, simbolicamente, con una video girato a Itaca (che potete trovare qui, rigorosamente in lingua greca), l’isola che costò a Ulisse dieci anni di peregrinazioni, poco più degli otto che ci sono voluti al paese mediterraneo per “liberarsi” dall’abbraccio mortale di Commissione europea, Bce e Fmi. Dopo Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro, infatti la Grecia era l'ultimo membro dell'Eurozona a beneficiare di un programma di aiuti internazionali dopo la crisi. A sentire le parole di Tsipras e quelle del suo portavoce di governo Dimitris Tzanakopoulos - che ha detto che la Grecia è entrata in una “nuova fase” e che “i cittadini si accorgeranno presto della differenza” – sembrerebbe tutto risolto per il meglio. Ben diversa l’opinione del presidente della Banca centrale ellenica Yannis Stournaras, secondo cui “c’è ancora molta strada da fare”, e del principale partito d’opposizione, Nea Demokratia, che ha imputato a Tsipras una “gestione disastrosa” dell’economia nazionale.

Chi ha ragione? Come sempre tutti e nessuno. L’unico modo per capire qualcosa in più sulle reali condizioni della Grecia, al di là della retorica filo e anti-governativa, è quello di affidarsi ai dati macroeconomici che, come prevedibile, forniscono un’immagine chiaroscurale della “nuova alba” ellenica. Come riporta Tradingeconomics negli ultimi due anni il Prodotto interno lordo ha seguito un andamento sinusoidale. Dopo un picco di quasi +2% a fine 2015, dal 2016 in poi l’oscillazione è rimasta contenuta fra un +1 e un -1% (contro una media dell’area euro sempre positiva, anche se di pochi decimi). Un ritmo che, secondo l’Ocse, dovrebbe a breve accelerare arrivando a un +2% complessivo nel 2018 e un previsto +2,3% per il 2019. Se anche succedesse (l’Ocse tende a essere un po’ di “manica larga” nelle sue previsioni) la crescita non compenserebbe quasi per nulla la drammatica caduta del Pil degli anni della crisi.

Stesso discorso per quanto riguarda la disoccupazione che, secondo l’Elstat (l’Istat greco), sarebbe oggi al 19,5%, che corrisponde a ben due volte e mezzo la media dell’area euro (8,3%), seppure sensibilmente più bassa del picco del 28% toccato nel 2013. Molto negativa la bilancia commerciale che registra un valore negativo di due miliardi di euro: con un’economia arretrata rispetto alla media Ue il paese ha bisogno di importare più di quanto esporti. Non proprio il quadro ideale per una nazione con un Pil pro capite di appena 23mila dollari, poco più della metà degli altri partner della moneta unica (un terzo meno anche dell’Italia, che tocca i 35mila). Non solo. Nonostante il miglioramento dei conti pubblici, la Grecia resta un paese con forti disequilibri, ce vede la preponderanza di un settore pubblico che - nell’ultimo trimestre - è costato 9,2 miliardi di euro, pari a oltre 35 l’anno, su un Pil di 170 miliardi di euro: un euro su cinque, in Grecia, viene speso per alimentare la macchina di governo.

E dalle parti di Bruxelles dovrebbe far un riflettere (e forse anche un po’ vergognare) il fatto che Prodotto interno lordo greco si sia quasi dimezzato rispetto al 2008, quando superava i 300 miliardi di euro. In fin dei conti gli unici dati davvero positivi riguardano il rapporto debito/Pil che, sempre secondo l'Ocse, tra un anno e mezzo dovrebbe scendere sotto alla soglia del 170%, arrivando al 168,3%, e un avanzo primario di bilancio del 4,5%. Dati che fanno tirare un sospiro di sollievo agli organismi comunitari e internazionali da sempre più interessati alla tenuta a breve termine dei bilanci governativi piuttosto che alla stabilità a lungo termine delle economie nazionali. Se è stato giustissimo dare un taglio agli sprechi e ai privilegi, la Troika pensasse a quali sono state conseguenze di una politica troppo rigida di austerità applicata all’economia reale.

Per usare una metafora la Grecia di oggi appare come quel naufrago che, in mezzo al mare, vede la terra in lontananza ma non sa ancora se riuscirà a raggiungerla. Molto del suo futuro dipende, ora, proprio da Tsipras: se negli ultimi tre anni di governo ha poco più che “scaldato il banco” ora, senza la Troika, avrà pieni poteri. L’augurio è che possa seguire il consiglio del presidente dell’Eurogruppo Màrio Centeno che ha dichiarato: “Col pieno controllo dei conti arriva il momento della responsabilità. La Grecia ha pagato a caro prezzo le errate politiche del passato: tornare indietro sarebbe un pessimo errore”. Se Tsipras saprà dare respiro all’economia reale (il turismo nel 2018 raggiungerà un picco di 30 milioni di visitatori, tre turisti per ogni cittadino greco) la Grecia avrà la chance di uscire per sempre, seppur fra molti anni, dalla crisi che l’attanaglia. Se invece il premier si farà prendere alla smania di aumentare la spesa pubblica per ripristinare il libro dei sogni della prima campagna elettorale i risultati saranno quasi certamente catastrofici: uscita dalla porta la Troika potrebbe rientrare dalla finestra e il paese, invece che tornare alla sua Itaca, potrebbe perdersi per sempre fra le acque dell’Egeo.