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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

DIBATTITO

Governo mondiale? Non in nome della Chiesa

È auspicabile una “autorità politica mondiale”? Una vulgata superificiale vorrebbe che questo fosse l'ideale propugnato dalla Dottrina sociale della Chiesa. Ma le cose non stanno così: dai Padri della Chiesa ai giorni nostri il pensiero cattolico è un altro...

Dottrina sociale 24_07_2018

È auspicabile una “autorità politica mondiale”? È possibile? Una vulgata un po’ facilona pretenderebbe che la Dottrina sociale della Chiesa avvalorasse qualsiasi espressione concreta di questa ipotetica autorità politica mondiale. Essa dovrebbe dire sì sempre e comunque all’ONU, oppure Unalla cosiddetta “società civile internazionale”, oppure a qualsiasi aggregazione interstatale. Ma così non è.

Papa Francesco ne parla nel n. 175 della Laudato Si’. Prima di lui Giovanni XXIII aveva parlato di un bene comune universale (Pacem in terris, 7, 100, 132 ss) che postulerebbe una autorità politica di eguali dimensioni, dato che senza autorità non si può perseguire il bene comune. Concetto ripreso da Giovanni Paolo II  nel Discorso per la Giornata Mondiale della Pace del 2003. Benedetto XVI dedica all’argomento vari punti della Caritas in veritate, soprattutto il n. 67.

Qualcuno ha interpretato questi passi del magistero sociale con eccessivo impeto mondialista, non collocandoli debitamente nel loro quadro di senso. Giunge interessante, quindi, il breve ma intenso articolo di Miguel Ayuso pubblicato sul numero di marzo-aprile 2018 della rivista “Verbo” di Madrid (pp. 251-256). Qui egli ricorda che né gli imperi precristiani, né gli Stati moderni avrebbero mai potuto realizzare una vera “autorità politica mondiale”. Lo fece la società cristiana medievale per due motivi: prima di tutto perché era una “comunità di comunità” e secondariamente perché era una comunità morale che precedeva la politica e la costituiva.

La parola “potere” non equivale alla parola “autorità”. Un potere politico mondiale, ossia organizzato non nella forma della comunità di comunità né fondato su una comunità morale previa, sarebbe l’estensione globalista del concetto moderno del potere, quello dello Stato moderno. Tentativi di questo tipo sono oggi davanti agli occhi di tutti, a cominciare dall’Unione Europea.

Ecco perché risulta acutamente interessante la citazione da Álvaro d’Ors con cui Ayuso conclude il suo articolo (che riporto qui in una mia traduzione): “La Chiesa è una istituzione santa, universale, “cattolica”. Ma si può dire anche di più: essa è l’unica realtà universale veramente santa. L’unica unità universale positivamente voluta da Dio è quella della Chiesa, e corrisponde a questa stessa volontà che esistano diverse potestà nell’ordine politico, secondo le differenze naturali delle nazioni: all’unità della Chiesa corrisponde la pluralità del mondo secolare, e l’unità politica del mondo secolare, per contro, minaccia sempre l'unità santa della Chiesa […]. Tutta l’organizzazione politica del mondo deve iniziare dalla pluralità politica come alcunché di voluto da Dio, a differenza della unità della sua Chiesa. Ogni pretesa di unificare il governo del mondo, sia dichiaratamente nella forma di uno Stato universale o in altra forma di organizzazione con potere unico su tutti i popoli, sia in modo occulto alla maniera di una sinarchia economica, è contraria alla volontà di Dio e non merita di essere accettata come potere costituito”.    

Sarebbe di grande interesse confrontare queste parole con due rilevanti opere sul tema: Étienne Gilson, Le metamorfosi della Città di Dio, e J. Ratzinger, L'unità delle nazioni. Una visione dei Padri della Chiesa.