Golpe, questa volta tocca al Mali
I militari attaccano la capitale Barnako e si impadroniscono dei palazzi del potere istituendo un comitato che governa il paese.
Un altro colpo di stato in Africa. Questa volta tocca al Mali dove i militari hanno attaccato la capitale Bamako il 21 marzo riuscendo in poche ore di combattimenti a impadronirsi dei palazzi del potere. I golpisti hanno quindi annunciato la costituzione di un "Comitato nazionale per il ristabilimento della democrazia e dello stato" che governerà finché il paese non sarà riunificato e non sarà possibile andare al voto per eleggere un nuovo capo di stato.
Si attende ora la reazione del Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad, Mnla, il gruppo armato che ormai controlla vaste aree di territorio nel nord e nel centro del paese rivendicando l’autodeterminazione per le etnie settentrionali, in maggioranza tuareg, che da anni denunciano di essere discriminate e marginalizzate dal governo dominato dalle etnie del sud. Proprio l’insoddisfazione per il modo debole e inefficace con cui il presidente Amadou Toumani Touré e il suo governo hanno affrontato questa crisi, iniziata il 17 gennaio quando l’Mnla ha sferrato i primi attacchi, è all’origine della rivolta dei militari che nella mattinata del 21, prima di marciare sulla capitale, avevano già aggredito il ministro della difesa e tre altri ministri recatisi nella base militare di Kiti, alle porte di Bamako, per sostenere le ragioni del governo. Soprattutto, i militari reclamano per il fatto di essere mandati praticamente allo sbaraglio, poco e male equipaggiati, contro una ribellione invece molto bene armata.
Alcune settimane or sono il presidente Touré aveva dichiarato: “la primavera araba porterà a un’estate di follia nella regione”. Si riferiva soprattutto ai militari del colonnello Gheddafi fuggiti dalla Libia e al suo arsenale militare che, secondo il quotidiano francese Le monde, “ha fornito abbastanza armi da armare l’intero continente africano”. Sembra dunque che proprio Touré sia la prima vittima di questa follia perché si deve appunto alle armi libiche importate e ai ben addestrati tuareg che militavano nell’esercito di Gheddafi, rientrati in patria dopo la sua uccisione, se l’Mnla ha potuto alzare il tiro e lanciare la propria offensiva in tutto il nord est del paese.
Per anni infatti i movimenti armati del nord non hanno rappresentato una seria minaccia per il governo maliano. Touré li liquidava come bande di delinquenti comuni. Ora, per screditarli ulteriormente, sostiene che l’Mnla è legato all’Aqmi, Al Qaeda nel Maghreb islamico, il movimento integralista nato in Algeria e penetrato poi in altri stati africani. L’Mnla nega qualsiasi coinvolgimento con il terrorismo islamico e anzi rimanda l’accusa al mittente.
Il conflitto nel nord finora ha provocato vittime civili e, come di consueto, l’esodo forzato delle popolazioni coinvolte. Stime approssimative parlano di circa 60.000 sfollati e di 70.000 rifugiati nei paesi vicini: Niger, Mauritania, Burkina Faso e Algeria. Tra questi ultimi figurano anche migliaia di tuareg residenti a Bamako o comunque nel sud del paese. A metterli in fuga sono stati le intimidazioni e gli atti di vandalismo ai danni delle loro case e delle loro attività economiche subiti da parte dei connazionali del sud che li considerano dei nemici, ora che le tradizionali, profonde divisioni etniche sono esasperate dalla guerra.
Non saranno le condanne internazionali, inclusa quella dell’Unione Europea, e le richieste di un immediato ripristino dell’ordine costituzionale a far recedere i golpisti. Come ha dichiarato monsignor Jean Zerbo, l’arcivescovo di Bamako, dopo aver sperato fino all’ultimo che il golpe fosse evitato, “ci troviamo di fronte al fatto compiuto e non resta che rimboccarsi le maniche per gestire al meglio questo ulteriore, duro colpo per il Mali. Per prima cosa bisogna identificare chi rappresenta il potere e quali sono i nuovi interlocutori”. Le sue parole non solo suggeriscono che la cosa migliore – come insegna la storia dei paesi africani dalla fine dell’epoca coloniale europea – è prendere atto di quanto è accaduto e cercare di limitare i danni, ma sembrano anche indicare che il presidente Touré non ha fatto molto in tanti anni al potere per far rimpiangere la conclusione della sua era.
Ai vertici dello stato una prima volta nel 1991 con un colpo di stato, Touré aveva meritato il titolo di “soldato della democrazia” per aver consegnato l’anno successivo il paese a un presidente eletto, Alpha Oumar Konaré. Nel 2002 era stato a sua volta eletto presidente, carica rinnovatagli dall’elettorato nel 2007. Ma stabilità e democrazia, come è successo in molti altri stati africani, non hanno portato sviluppo economico e sociale. Il Mali, benedetto da grandi risorse minerarie finora poco sfruttate, è uno dei paesi più poveri del mondo. L’Indice dello Sviluppo Umano, la classifica redatta ogni anno dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, nel 2011 lo vede 175° su 187 stati considerati.