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LA VERA MALAGIUSTIZIA

Gogna mediatica, la riforma che Renzi non farà

Le recenti assoluzioni di Bertolaso, De Luca e Podestà riportano in primo piano una piaga italiana mai riformata. Restano a rischio le nostre libertà democratiche, tra cui il diritto sacrosanto di non rimanere stritolati nel tritacarne mediatico per poi uscirne puliti ma devastati umanamente.

Politica 05_10_2016
Guido Bertolaso

Negli ultimi giorni la storia giudiziaria ci ha regalato tre sentenze di assoluzione destinate a fare molto rumore, soprattutto per la notorietà dei soggetti coinvolti. Assolto per non aver commesso il fatto: è questa la sentenza con la quale il giudice del Tribunale dell'Aquila ha messo la parola fine al processo “Grandi Rischi bis” a carico dell'ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso, alla sbarra con le accuse di omicidio colposo plurimo e lesioni in relazione al terremoto che devastò L'Aquila e i comuni vicini il 6 aprile 2009, provocando 309 morti e più di 1700 feriti.

I giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno hanno assolto il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, accusato di corruzione, truffa aggravata e altri reati nell’ambito dell’inchiesta sul Sea Park, un parco marino che si sarebbe dovuto costruire a Salerno e che non fu mai realizzato. Le indagini erano cominciate circa 18 anni fa quando De Luca era sindaco di Salerno.

E' stato infine assolto “per non aver commesso il fatto" dalla Corte d'appello di Milano l'ex presidente della Provincia Guido Podestà, che in primo grado era stato condannato a 2 anni e 9 mesi di reclusione per il caso delle circa 900 firme ritenute false e poste a sostegno del listino di Roberto Formigoni e della lista Pdl per le elezioni regionali lombarde del 2010. Nel frattempo Podestà ha deciso di lasciare la politica.

Tre storie assai diverse l’una dall’altra, anche per colore politico, ma accomunate da un elemento tutt’altro che irrilevante: la “gogna mediatica” alla quale sono stati sottoposti i tre diretti interessati, due dei quali (Bertolaso e Podestà) hanno certamente ricevuto un danno ingentissimo dalla propalazione disinvolta di accuse rivolte loro per anni e poi rivelatesi inconsistenti. La giustizia, sia ben chiaro, è basata su più gradi di giudizio proprio per assicurare verdetti equi e fondati su una ponderazione delle decisioni. Il problema è il cortocircuito tra media e giustizia, che trasforma l’attesa di una sentenza in un calvario mediatico per chi vi è coinvolto.

In un momento in cui il governo Renzi sembra aver accantonato i buoni propositi di mettere mano alla riforma della giustizia perché teme di non avere il consenso necessario per condurla in porto, storie come quelle di Bertolaso, De Luca e Podestà ci confermano quanto siano a rischio le nostre libertà democratiche, tra cui il diritto sacrosanto di non rimanere illimitatamente stritolati nel tritacarne mediatico per poi uscirne puliti ma devastati umanamente e sul piano reputazionale.

All’epoca dell’ultimo governo Berlusconi (2008-2011), i più importanti quotidiani italiani sembravano essersi trasformati in plotoni d’esecuzione ed è tutt’altro che fuori luogo affermare che quell’offensiva mediatico-giudiziaria, associata alle manovre speculative internazionali sullo spread, sia stata decisiva per la chiusura di una fase politica sgradita a qualche centro di potere internazionale.

Nel mirino finì, guarda caso, uno come Bertolaso, da molti indicato, all’epoca, come possibile leader del centrodestra post-berlusconiano e considerato dall’opinione pubblica un “uomo del fare”, lontano dalle logiche partitocratiche e spartitorie.

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, invece, è saldamente in sella, nonostante, nel 2015, alla vigilia delle elezioni regionali, proprio a causa del processo ancora in corso, fu inserito nella lista dei cosiddetti candidati “impresentabili” preparata dalla presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi. Il suo inserimento nella lista portò a grandi polemiche soprattutto all’interno del Partito Democratico: De Luca criticò molto Bindi e la querelò; la querela fu poi archiviata dal giudice delle indagini preliminari di Roma. Anche quella vicenda, generata dal feroce anti-renzismo della Bindi, passerà agli annali come l’ennesimo esempio di trasformazione delle istituzioni democratiche in ghigliottina per avversari politici.

Per quanto riguarda il caso Podestà, l’ex Presidente della Provincia di Milano è stato trattato da molti giornali approssimativamente come un manovratore occulto e disinvolto nella raccolta di firme fasulle e come manipolatore di suoi collaboratori. La fine della sua parabola politica sarebbe arrivata comunque, considerata anche la crisi del centrodestra, ma indubbiamente la rappresentazione mediatica di quell’inchiesta gli ha inferto il colpo di grazia.

Ovviamente per tutto questo nessuna toga “pagherà” e nessun giornalista chiederà scusa. La malagiustizia e la barbarie mediatica resteranno impunite e le vittime del linciaggio non potranno che consolarsi con una tardiva assoluzione, trattata da giornali e televisioni alla stregua di un fatterello di provincia. Così è se vi pare.