Gogna mediatica-giudiziaria: la vera minaccia alla libertà
Si chiude il settennato di Soro alla guida dell'autorità della privacy. Oltre ad aver elencato i progressi fatti per proteggere la nostra privacy, resta l'allerta per la vera minaccia: le leggi sulle intercettazioni non sono sensibilmente cambiate, nonostante i numerosi richiami. Le conversazioni sono ancora esposte al pubblico ludibrio.
L’ultima Relazione annuale del settennato di Antonello Soro alla guida dell’Autorità Garante della privacy non poteva che essere una sorta di bilancio delle cose fatte a partire dal 2012 per difendere la riservatezza di cittadini e imprese dalle invasioni di campo dei soggetti pubblici e privati che trattano quotidianamente i nostri dati o ambiscono a impossessarsene.
Ne è emersa una disamina equilibrata e puntuale di tutti i progressi e le criticità che hanno contrassegnato il percorso di progressiva affermazione della privacy nelle nostre vite quotidiane e delle sistematiche e a volte perniciose violazioni che le persone hanno subìto, spesso anche inconsapevolmente. Soro, che con il suo Collegio lascerà l’incarico il 19 giugno per fare spazio a chi risulterà eletto da Camera e Senato entro quella data, ha lanciato tanti messaggi di speranza, anche in ragione dei passi avanti compiuti dalla legislazione in materia, ma ha ugualmente sottolineato le emergenze che ancora incombono sui cittadini. Non a caso ha parlato di nuovi totalitarismi digitali, sia pur partendo dalla situazione, assai particolare, della Cina, nella quale le forme di controllo sociale finiscono per incidere in modo radicale sul rapporto tra tecnologie, persona e Stato, determinando una sorta di cittadinanza dimezzata.
Per converso, l’Europa con il Gdpr (nuovo Regolamento europeo sulla privacy) ha potenziato le tutele della riservatezza in tutti gli ambiti dell’agire pubblico e privato, e circa 200 Stati extraeuropei stanno modellando le loro legislazioni in materia proprio sui principi inseriti nel Gdpr. Anche gli Usa si stanno muovendo in quella direzione. Ma tra gli allarmi lanciati con maggior vigore da Soro c’è stato quello delle intercettazioni, sia sul versante dell’utilizzo che su quello della loro pubblicazione. Il ragionamento del Presidente dell’Autorità si è sviluppato a partire dal delicato rapporto tra libertà e sicurezza, protezione dati e prevenzione. Infatti una prima criticità dell’Italia, denunciata da Soro, riguarda il sistema della data retention: "Il legislatore italiano, nonostante i nostri reiterati richiami – ha chiarito - non sembra aver colto sino in fondo le implicazioni di questi principi. La norma - senza eguali in Europa - che consente la conservazione generalizzata e indifferenziata, per sei anni, dei dati di traffico telefonico e telematico, costituisce una miope sfida al principio di proporzionalità ed espone il nostro Paese al rischio di censura in sede di controllo giurisdizionale di legittimità".
Il tallone d’Achille della nostra democrazia e del delicato rapporto tra giustizia e informazione rimane però quello dell’utilizzo sconsiderato ed eccessivo dello strumento delle intercettazioni. "Sin dal 2013 – ha ricordato il Garante - abbiamo promosso l’adozione di alcune garanzie essenziali, omogenee per tutti gli uffici giudiziari, per impedire, in fase d’indagini, fughe di notizie pregiudizievoli sia di queste che della riservatezza individuale. Dopo un’iniziale sottovalutazione del problema, si è registrato un adeguamento sostanzialmente uniforme agli standard richiesti, con beneficio non soltanto per i cittadini ma anche per la stessa attività investigativa. Il Garante ha anche più volte, in questi anni, sollecitato Governo e Parlamento all’adozione di modifiche legislative volte a evitare il fenomeno del giornalismo di trascrizione, che si alimenta della produzione in giudizio di conversazioni irrilevanti ai fini investigativi, ma spesso gravemente lesive della riservatezza delle parti e dei terzi, coinvolti nelle indagini. Alle iniziative assunte autonomamente da alcune Procure e poi promosse dal CSM in questa direzione, ha fatto seguito una riforma che - almeno sotto questo profilo - tentava di limitare la trascrizione di contenuti irrilevanti, bilanciando (in maniera forse perfettibile) esigenze probatorie, diritto di difesa e privacy".
Se è vero che giustizia e informazione devono caratterizzarsi principalmente per la loro indipendenza e, quindi, per la responsabilità nell’esercizio delle rispettive funzioni, occorre neutralizzare il potenziale distorsivo del processo mediatico, "in cui –lamenta Soro- logica dell’audience e populismo penale rischiano di rendere la presunzione di colpevolezza il vero criterio di giudizio. Per altro verso –ha aggiunto- il ricorso ai trojan a fini intercettativi - la cui disciplina non ha introdotto molte delle garanzie da noi suggerite per impedire possibili violazioni - si è rivelato estremamente pericoloso. Soprattutto nel caso di utilizzo di captatori connessi ad app e quindi posti su piattaforme accessibili a tutti, suscettibili di degenerare, anche solo per errori gestionali, in strumenti di sorveglianza massiva. Violazioni simili a quelle recentemente verificatesi vanno impedite, non potendosi tollerare errori in un campo così sensibile, perché incrocia la potestà investigativa e il potere, non meno forte, della tecnologia".
Il settennato di Soro si chiude, quindi, con l’ennesima sottolineatura dei rischi di gogna mediatica dovuti ad una pubblicazione disinvolta e sconsiderata di intercettazioni che finiscono per violare la privacy delle persone coinvolte e delle persone collegate ai protagonisti dei fatti. La veicolazione di tali intercettazioni attraverso le potenti piattaforme diffusive on line genera lacerazioni ancora più vistose della riservatezza delle persone e richiama il valore della privacy come fondamento della civiltà giuridica. Dovrebbe ricordarlo chi conduce le indagini ma dovrebbero tenerlo bene a mente anche tutte le altre parti coinvolte nel delicato e a tratti perverso intreccio tra giustizia e informazione, giornalisti compresi.