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COREA DEL NORD

Gli Usa vietano di visitare il paradiso comunista

Con un provvedimento preso dal Dipartimento di Stato Usa, i cittadini americani non potranno più entrare in Corea del Nord. E' una misura presa dopo la morte di Otto Warmbier, lo studente finito in carcere e poi entrato in coma, morto il mese scorso. I rischi per un viaggio in Corea del Nord, l'ultimo regime stalinista, sono noti da tempo. Nonostante tutto sono sottovalutati da chi è attratto dal fascino dei proibito.

Esteri 22_07_2017
Otto Warmbier confessa

Nonostante sia chiamato “regno eremita”, la Corea del Nord, l’impenetrabile regime stalinista ormai unico al mondo, viene visitato da circa 5000 turisti occidentali ogni anno. Di questi, circa il 20% sono cittadini degli Stati Uniti. D’ora in avanti, a partire dal prossimo mese, agli americani sarà tassativamente vietato oltrepassare i confini del regime di Pyongyang. Lo ha stabilito l’amministrazione Trump ieri, anche se il divieto entrerà in vigore il mese prossimo. I cittadini statunitensi che già si trovano in territorio nordcoreano hanno dunque 30 giorni di tempo per abbandonare il paese. E’ la risposta alla morte di Otto Warmbier, arrestato in Corea del Nord nel gennaio del 2016, con un pretesto qualsiasi, mentre era nel paese per una breve vacanza.

Nonostante il Dipartimento di Stato avverta che gli americani sono ancora considerati come cittadini di un paese ostile, sin dalla Guerra di Corea del 1950-53 (lo stato di guerra con gli Usa non è mai stato formalmente revocato), un migliaio di statunitensi ogni anno passa i confini del “regno eremita”. Lo fanno per divertimento, per interesse, studio, passione umanitaria. Tutti rischiano di pagare un prezzo molto alto, per accuse mai provate, dopo processi farsa. Oltre a Warmbier, altri tre cittadini statunitensi sono ancora in carcere, tutti con accuse di spionaggio e attentato alla sicurezza di Stato. Ma le prove non ci sono. Il caso di Otto Warmbier è eclatante perché il detenuto è morto, dopo un anno di coma, per cause ancora sconosciute ma probabilmente legate alle sue condizioni di detenzione, a maltrattamenti e torture, come sospettano i genitori e chi lo ha seguito. La Corea del Nord lo ha restituito in tempo agli Usa per non dover coprire lo scandalo di un cittadino straniero morto nelle sua galere, non un imprenditore o un politico, un “agitatore” o un pastore protestante che fa proselitismo, gente che sa quel che rischia, ma uno spensierato ragazzo ventenne, uno studente in gita, morto nelle sue galere. Chiunque, fra i suoi coetanei o fra chi ha freschi i ricordi dei viaggi con amici dell’università, può essersi identificato con lui, vedendolo nelle foto mentre scherza con i compagni di viaggio, si sottopone ai riti delle foto di gruppo, assieme agli altri ragazzi della comitiva lancia palle di neve contro la guida coreana.

E’ stato restituito sì, ma giusto il tempo di morire fra le braccia dei genitori in un ospedale degli Stati Uniti, invece che fra le mura di una prigione stalinista. Per Warmbier l’accusa si è avvalsa di un filmato in cui un uomo, di cui non si vede neppure il volto, cerca di rubare un poster di propaganda comunista dall’albergo in cui alloggiava. Il reato di danneggiamento e discredito della Repubblica Popolare Democratica è stato confessato da un Otto Warmbier in lacrime, di fronte alle telecamere della televisione di Stato. Da quella ammissione di colpa è sortita la condanna a 15 anni di lavori forzati. Non si sa in quali condizioni abbia rilasciato quelle dichiarazioni e dopo quali pressioni, anche se è facile immaginarlo. Sarebbe finito in coma appena due mesi dopo, secondo quanto ammettono le stesse autorità nordcoreane.

La vicenda getta una luce sinistra sulle compagnie viaggi che organizzano tour nella Corea del Nord. Conoscono veramente i rischi? Che rapporti hanno con le autorità? Quando i nordcoreani hanno deciso di prelevare Otto Warmbier all’aeroporto, all’ultimo controllo doganale prima dell’aereo che l’avrebbe riportato a casa, la guida era lì con lui. Pareva solo un ulteriore controllo di polizia. “Adesso non ti rivedremo più”, gli aveva detto il compagno di stanza, uno studente britannico. Nessuno sospettava che in da quel momento sarebbe realmente scomparso. Sono soprattutto tre i tour operators che portano occidentali e americani in Corea del Nord. La compagnia che organizzava il viaggio di Warmbier era Young Pioneers. Dalla notizia della morte del suo cliente americano, non accetta più turisti dagli Stati Uniti. Altre agenzie sono Koryo Tours e Uri Tours, che operano dagli Usa e dalla Cina, l’unico paese da cui si può entrare con relativa facilità in territorio nordcoreano. I siti vantano “sicurezza”, “esperienza”, “divertimento”, in un paese che viene presentato come esotico, a tratti simpatico e comunque legittimo. L’interesse per la nazione proibita, una certa promozione della causa del regime e della sua immagine, un ostentato slancio umanitario (aiutare una popolazione locale alla fame), sono gli ingredienti principali per attrarre visitatori. Il turista che vuole andare in Corea del Nord non è libero di avere contatti con i cittadini locali, né di scattare le foto o girare i video che vuole. Tutto è strettamente controllato e passato al vaglio dalle guide, d’accordo con le autorità.

Quel che i turisti non possono vedere, sono le scene di ordinaria miseria e la repressione. Come quelle descritte dal rapporto della Ong sudcoreana Tjwg (Gruppo di lavoro per la giustizia di transizione) sulle pene capitali eseguite in pubblico. Gente condannata per aver rubato un po’ di riso, o pezzi di rame dai depositi statali, per aver contribuito a diffondere la stampa della Corea del Sud clandestinamente: sono fucilati o pestati a morte (per risparmiare pallottole), in piazza, di fronte alle scuole, in mezzo ai mercati, sulle banchine dei fiumi. Il rapporto si basa su 375 interviste a locali che vi hanno assistito. Sono cose che i turisti non vedranno mai. E che i turisti americani non potranno neppure più vedere, dal mese prossimo, quando sarà loro impedito di entrare nel violento paradiso comunista.