Gli Usa tornano nelle Filippine per contenere la Cina
Dopo essere stati costretti a lasciare le Filippine nel 1991, sotto i colpi di una campagna anti-americana, gli Usa torneranno ad avere nuove basi nell'arcipelago. È questo l'esito del nuovo accordo, per contenere una Cina sempre più aggressiva.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha concluso ieri a Manila il suo tour nei Paesi asiatici ammonendo la Cina a non fare ricorso alle armi per risolvere le dispute territoriali e marittime e promettendo il pieno sostegno militare alle Filippine e agli altri alleati del Pacifico. «Noi crediamo che le dispute vadano risolte pacificamente e non con l'intimidazione» ha detto Obama a Manila dove la tensione per le minacce cinesi sull’arcipelago Scarborough (ricco di petrolio e gas) hanno indotto il governo a varare un programma di riarmo e a chiamare Washington in soccorso. La visita di Obama ha infatti coinciso con la firma di un trattato bilaterale decennale di cooperazione militare (l'Enhanced Defense Cooperation Agreement) che permetterà una più massiccia presenza statunitense nell'ex colonia strappata al dominio spagnolo all’inizio del secolo scorso.
Il ministro della Difesa filippino, Voltaire Gazmin, e l'ambasciatore americano, Philip Goldberg, hanno sottoscritto l'accordo che permetterà alle truppe americane di avere accesso alle basi militari del Paese sulla falsariga delle intese firmate da Washington con Singapore, Giappone e Australia sempre nell’ambito dei programmi di “contenimento” dell’espansionismo navale cinese. Nel 1991, sull’onda di un forte movimento politico e popolare contrario “all’imperialismo yankee”, le Filippine si erano rifiutate di rinnovare gli accordi per il mantenimento delle basi dell’Us Navy di Subic Bay e dell’Air Force all’aeroporto di Clark Field: simboli del dominio di Washington in un Oceano Pacifico a lungo definito un “lago americano” e importanti snodi logistici utilizzati intensamente per alimentare lo sforzo bellico nel conflitto vietnamita.
La minaccia di Pechino, che negli ultimi anni si è trasformata da continentale in marittima grazie ad un ampio programma di potenziamento navale, ha rovesciato l’approccio di Manila che da due anni spinge per ottenere una presenza militare fissa statunitense a scopo deterrente nei confronti della Cina. Il nuovo accordo militare ha sollevato qualche polemica nel Paese, anche se, di fatto, il supporto militare di Washington alle forze locali era ripreso già all’indomani dell’11 settembre 2001 con programmi di addestramento e consulenza di cui hanno beneficiato soprattutto forze speciali e marines di Manila impegnati contro i miliziani islamici qaedisti del gruppo Abu Sayyaf e gli indipendentisti musulmani del Moro Islamic Liberation Front sull’isola di Mindanao. Con questi ultimi Manila ha raggiunto recentemente un accordo che consente ampia autonomia alla minoranza islamica che molti cristiani filippini temono possa minacciare l’integrità nazionale.
Il ministro Gazmin ha dichiarato che l'Enhanced Defense Cooperation Agreement serve come «cornice per incoraggiare l'alleanza tra le due nazioni» e migliorare la cooperazione per affrontare le sfide sulla sicurezza presenti nella regione mentre l’ambasciatore Goldberg ha definito l'accordo «una pietra miliare» che permette alle truppe americane di trovarsi nelle Filippine per brevi periodi di esercitazioni congiunte. «Le basi americane non saranno riaperte» ha specificato l'ambasciatore americano dopo aver firmato l'intesa, anche se l'accordo segna il ritorno ufficiale dei militari americani nelle Filippine dopo oltre due decenni.
Il governo filippino ha bisogno di un robusto partner strategico specie ora che ha depositato al tribunale delle Nazioni Unite una mozione che definisce “illegale” e “irrazionale” la pretesa territoriale cinese sulle isole Scarborough, ben lontane dalle 200 miglia che delimitano la Zona economica esclusiva cinese e quindi fuori da possibili rivendicazioni in base alla Convenzione dell’Onu sui mari (Unclos).
La contesa per quell’arcipelago si aggiunge del resto alle numerose sfide che Pechino ha aperto con i “vicini” per il controllo delle isole del Mar Cinese Meridionale e Orientale: col Giappone per la sovranità sulle isole Senkaku/Diaoyu; con Brunei, Malaysia e Taiwan per il dominio delle Spratly e con il Vietnam per le isole Paracel. L’appoggio statunitense ha consentito a Manila di avviare la costruzione della nuova base navale di Oyster Bay, sulla costa occidentale dell’isola di Palawan, proprio di fronte alle Scarborough che distano poco più di 100 chilometri. Il costo dei lavori 11,5 milioni di dollari verrà coperto dai 40 milioni di dollari donati da Washington che utilizzerà la base per un piccolo contingente di Marines e di unità d’intelligence e forse per dislocarvi in caso di necessità la flottiglia di 4 navi Littoral Combat Ship che l’US Navy prevede di basare a Singapore.
L’anno scorso la Marina filippina ha aggiunto due vecchi pattugliatori d’altura radiati dalla Guardia Costiera americana alla sua flotta di “ferrivecchi” che comprende una ventina di motovedette, tre piccoli pattugliatori ex britannici e una decina di navi americane risalenti alla Seconda guerra mondiale tra i quali dragamine utilizzati come navi pattuglia e un cacciatorpediniere di scorta. Per comprendere la pochezza delle forze navali filippine basta ricordare che nessuna nave in servizio dispone di apparati missilistici né radar moderni.
I piani di potenziamento fanno i conti del resto con i pochi fondi disponibili per il riarmo (1,6 miliardi di dollari) utilizzati in parte per acquistare 12 caccia leggeri sudcoreani Golden Eagle e altrettanti cannoni israeliani Soltam Athos destinati all’esercito. Con Seul sono in corso trattative per sei nuove corvette ma, per risparmiare, Manila sembra interessata anche ad acquisire navi da guerra di seconda mano in radiazione dalle Marine italiana, francese e indiana.