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PALESTINA-ISRAELE

Gli Usa tagliano i fondi all'Unrwa, fabbrica di rifugiati

“Un assalto plateale ai diritti dei palestinesi”. E’ stata questa la prima reazione del portavoce del presidente Mahmoud Abbas. Che cosa lamenta la presidenza dell’Autorità Palestinese? Gli Usa hanno tagliato i fondi all’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi. Una decisione che ha ripercussioni politiche molto gravi e importanti.

Esteri 02_09_2018
Campo Unrwa (la chiave è il simbolo del "diritto al rientro")

“Un assalto plateale ai diritti dei palestinesi”. E’ stata questa la prima reazione del portavoce del presidente Mahmoud Abbas. Che cosa lamenta la presidenza dell’Autorità Palestinese? Il Dipartimento di Stato Usa ha annunciato ufficialmente il taglio del finanziamento statunitense all’Unrwa, l’agenzia Onu che, da quasi 70 anni, tutela i rifugiati palestinesi. Si tratta di un’agenzia talmente particolare da identificarsi in tutto con la causa palestinese. L’Unrwa, di fatto, è la Palestina sin dal 1949, da quando è stata fondata.

L’Unrwa fornisce ai rifugiati palestinesi tutti i servizi sociali fondamentali, fra cui anche sanità e istruzione. Non opera solo in Cisgiordania e a Gaza, ma anche in Libano, Giordania e Siria, ovunque vi siano campi profughi palestinesi. Gli Usa, finora, sono stati i maggiori finanziatori. Con 368 milioni di dollari (dato del 2016), coprivano circa un terzo di tutte le spese delle attività dell’Unrwa in Medio Oriente. Per l’amministrazione statunitense attuale, si tratta di un “contributo sproporzionato”, che dunque sarà tagliato. Seguono l’Unione Europea, con poco più di 150 milioni di dollari, l’Arabia Saudita con poco meno di 150 milioni, la Germania con 70 milioni, il Regno Unito con poco meno di 70 milioni e poi tutti gli altri. Chiamandosi fuori gli Stati Uniti, il governo Merkel, che è il maggior singolo donatore europeo, ha annunciato che aumenterà i fondi e chiederà ai partner dell’Ue di fare altrettanto per tentare di colmare il vuoto. Nel Medio Oriente, la Giordania, che è direttamente interessata (la maggioranza della sua popolazione è costituita da palestinesi) ha annunciato una raccolta fondi straordinaria.

Chris Gunness, il portavoce dell’Unrwa, ai microfoni della BBC, ha definito “devastante” la mossa dell’amministrazione Trump. L’effetto sarà “probabilmente dilagante, profondo, drammatico e imprevedibile. Una delle comunità mediorientali più emarginate, fragili e vulnerabili sta per soffrire a causa di questa scelta”. Questi i dati snocciolati da Gunness: “526mila scolari ricevono l’educazione” dalle scuole Unrwa. L’agenzia Onu assiste anche “1,7 milioni di persone in povertà alimentare”.

Cifre veramente imponenti. Ma allora quanti sono i profughi palestinesi assistiti? Ebbene, è proprio questo il primo e principale problema citato dall’amministrazione statunitense per motivare la fine dei finanziamenti. I profughi assistiti dall’Unrwa sono 5 milioni, attualmente, e in continua crescita. “C’è un infinito numero di profughi che continua a ricevere assistenza”, ha detto l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley, definendo quello dell’Unrwa “un modello di business semplicemente insostenibile”. Quando scoppiò la Prima Guerra Arabo-Israeliana, nel 1948, il numero di profughi palestinesi era meno di un milione. Oggi è cinque volte più numeroso. Dei rifugiati originari, quelli del 1948, ne sono rimasti pochi e sono molto anziani. Ma anche i loro figli, nipoti, pro-nipoti e parenti sono automaticamente registrati come rifugiati. Secondo sia gli Usa che Israele, i criteri con cui gli arabi mediorientali ricevono lo status di rifugiato palestinese devono essere rivisti e fra quei 5 milioni di assistiti dall’Unrwa, solo una parte può essere considerata realmente come costituita da rifugiati. Lo status di rifugiato è legato a un’emergenza, nel caso della Palestina l’emergenza non finisce finché non verrà riconosciuto il “diritto al rientro” in Israele di tutti i discendenti degli originari rifugiati arabi della Palestina. Nessun paese arabo, infatti, ha mai integrato i rifugiati arabi fuggiti dal conflitto in Palestina. Di fatto si chiede a Israele di consentire una pacifica invasione (5 milioni di individui che si insediano in un paese, quale Israele, con 8 milioni di abitanti) che porrebbe fine all’esistenza dello Stato ebraico, con la demografia invece che con la guerra.

Se questa è la prima anomalia, quella ancora più incredibile è che l’Unrwa sia un’agenzia ad hoc dedicata ad un unico caso di rifugiati. E’ autonoma rispetto all’Unhcr, che si occupa dei rifugiati di tutti gli altri conflitti. Israele, anche con il governo attuale di Benjamin Netanyahu, ha sempre chiesto una sorta di trasferimento graduale dei fondi e delle competenze dell’Unrwa all’Unhcr. Senza troppi scossoni, però, perché essendo in prima linea, lo Stato ebraico potrebbe anche subire le conseguenze più violente di una crisi improvvisa dell’Unrwa. Il rischio è un’impennata del terrorismo.

Rischio che, per altro, c’è anche oggi. Secondo fonti israeliane, sono ben 41 i terroristi suicidi che si sono formati nelle scuole dell’Unrwa. Il fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, insegnava in una delle scuole Unrwa. Israele ha più volte accusato l’Unrwa di aver chiuso un occhio mentre le sue strutture, come scuole, campi sportivi (a volte dedicati a terroristi suicidi) e ospedali ospitavano anche armi, basi o erano usati come postazioni di lancio di razzi contro Israele. Diversi dipendenti dell’agenzia Onu sono stati anche arrestati dalla polizia israeliana per atti di teppismo durante manifestazioni violente.

La causa immediata del taglio dei finanziamenti americani è l’impennata di manifestazioni violente palestinesi anche contro gli Stati Uniti, dopo che questi ultimi hanno riconosciuto Gerusalemme quale capitale di Israele trasferendovi la loro ambasciata. Per i palestinesi, Gerusalemme è solo palestinese e sarà la capitale del loro futuro Stato e il trasferimento dell’ambasciata è stato il pretesto per uno scatenamento di odio nei confronti degli Usa e di Donald Trump. Solo che questa amministrazione non fa sconti. E avendo buoni rapporti con il resto del mondo arabo islamico sunnita, a partire da Giordania e Arabia Saudita, conta anche sul fatto che le ripercussioni internazionali di una rottura con la Palestina saranno più blande che in passato.