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IRAQ

Gli Usa lasciano un vuoto. Iran e Russia lo riempiono

Washington tentenna e litiga con il governo iracheno. L'Europa segue la stessa linea controproducente. E intanto l'Iraq casca a pezzi. Gli unici che stanno intervenendo contro gli jihadisti dell'Isis sono l'Iran, la Russia e anche Assad.

Esteri 29_06_2014
Hezbollah filo-iraniani

Washington tentenna nel difendere l’Iraq e la Casa Bianca litiga con il governo di Nouri al Maliki che non intende seguire il “consiglio” di Barak Obama di dimettersi. Un suggerimento ribadito anche da un’Europa sempre più stracciona e incapace di smarcarsi dalla fallimentare (per i nostri interessi) titubanza statunitense. A dare una mano al governo del turpe al-Maliki (un altro “figlio di….” ma pur sempre “nostro figlio di …..”) potrebbero essere i curdi, pronti a battersi contro i qaedisti dell’Isis certo con maggiore vigore dei soldati di Baghdad, e gli iraniani.  I primo lo farebbero solo per difendersi o in cambio della piena indipendenza del loro Stato. 

A togliere ogni dubbio in proposito ha contribuito lunedì un'intervista alla Cnn del presidente curdo, Massoud Barzani, che ha annunciato la prossima richiesta di "indipendenza formale" della regione, rispetto al resto del Paese. "È evidente che l'Iraq si sta sgretolando ed è altrettanto ovvio che il governo centrale ha perso il controllo della situazione. Sta cadendo tutto, l'esercito, le milizie, la polizia". "È giunto il tempo – ha aggiunto Barzani - per il popolo del Kurdistan di determinare il proprio futuro e la decisione del popolo è quello che ci accingiamo a sostenere". 

L'Iran sta invece conducendo in territorio iracheno voli di ricognizione e sorveglianza con l'utilizzo di droni e sta fornendo tonnellate di equipaggiamenti e assistenza militare all'Iraq, dove Teheran ha inoltre inviato un'unità speciale per intercettare le telecomunicazioni e fornire informazioni di intelligence alle autorità irachene. Secondo quanto riferito da funzionari americani al New York Times il generale Qassim Suleimani, capo della divisione al-Quds che cura le operazioni all’estero dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, ha di recente compiuto almeno due visite in Iraq per aiutare i militari iracheni a sviluppare una strategia contro i miliziani sunniti dello Stato Islamico in Iraq e in Levante (Isis). Una decina di ufficiali delle forze di al-Quds sarebbe inoltre presente in Iraq con funzioni di consiglieri per i comandanti militari iracheni e per reclutare volontari sciiti. Aerei da trasporto hanno compiuto in media due voli al giorno per consegnare equipaggiamenti e forniture militari - circa 70 tonnellate a volo - destinate alle forze di sicurezza irachene. "E' una quantità importante", ha detto al Nyt un funzionario Usa, aggiungendo che "non si tratta necessariamente di armamenti pesanti, ma non sono solo armi leggere e munizioni".  Dà una mano anche Bashar Assad, vittorioso contro i ribelli nell’Ovest della Siria, che nell’Est ha messo in campo la sua aeronautica per colpire le postazioni dell’Isis lungo il confine con l’Iraq su Rutba, Al-Walid e Qaim.

A compensare l’ambiguità di Washington anche Mosca scende in campo in aiuto di Baghdad con la fornitura di un pacchetto di forze aeree comprendenti cacciabombardieri, tecnici, piloti e pezzi di ricambio che entro breve daranno consistenza a una forza aerea irachena ancora in attesa dei 36 jet F-16 ordinati negli Usa.

Alla mobilitazione delle forze sciite e dei loro alleati risponde il clamoroso annuncio dell’alleanza tra gli ex nemici dell’Isis e del Fronte al-Nusra. Dopo essere stati rivali per la supremazia nel fronte qaedista siriano, mercoledì al-Nusra ha “giurato fedeltà” all’Isis con un’intesa  che punta a creare un califfato a cavallo tra Iraq e Siria. Un’intesa tra i più forti gruppi insurrezionali sunniti che ha contribuito a indurre il premier al-Maliki a respingere gli appelli per formare un governo di unità nazionale definiti “un golpe contro la Costituzione e il processo politico". Il premier ha lanciato velate accuse a curdi e sunniti, affermando che chi preme per un esecutivo di emergenza "vuole attentare alla Costituzione ed eliminare il giovane processo democratico derubando gli elettori del loro voto” tenutosi appena un mese or sono. Maliki, responsabile dell’emarginazione dei sunniti dalla vita politica del Paese portata avanti negli ultimi tre anni con il silenzio complice e disinteressato di Usa ed Europa, è ora ben consapevole che una sua apertura a un governo di unità nazionale costituirebbe solo un ulteriore segnale di debolezza e non porterebbe a nulla poiché i sunniti affiancano ormai l’Isis e vedono possibile una vittoria che ha il sapore del riscatto mentre i curdi puntano a sfruttare il tracollo di Baghdad per conquistare la piena indipendenza.

Se il tracollo politico dell’Iraq è ormai totale, anche l’arrivo dei primi 130 dei 300 consiglieri militari statunitensi previsti (altri 50 sono attesi in settimana) non potrà cambiare molto le cose sul campo di battaglia. L’impressione è che in realtà questi uomini delle forze speciali abbiano il compito più di monitorare le forze di Baghdad valutandone per tempo l’eventuale collasso totale piuttosto che imprimere una svolta al conflitto. I consiglieri, come ha precisato il portavoce del Pentagono, ammiraglio John Kirby, “avranno il compito di fare una valutazione della capacità delle truppe irachene entro le prime settimane e allestire, congiuntamente con la forze irachene, un centro operazioni a Baghdad. Dovranno inoltre raccogliere informazioni di intelligence e riferirle alla catena di comando Usa. Informazioni utili anche a valutare per tempo un’eventuale evacuazione del personale statunitense a Baghdad. Le stesse forze speciali sarebbero in grado di guidare raids aerei di precisione “illuminando” i bersagli qualora Washington decidesse di intervenire militarmente al fianco degli sciiti iracheni e degli iraniani. Un’ipotesi improbabile per le implicazioni che avrebbe nei rapporti con Arabia Saudita e gli altri emirati sunniti del Golfo, nemici giurati di Teheran. Non a caso i droni armati americani che sorvolano da qualche giorno il nord Iraq avrebbero solo il compito di proteggere gli americani presenti in Iraq nonostante l’intelligence statunitense valuti che l’Isis stia diventando ogni giorno più potente, reclutando nuovi combattenti e accumulando armi e denaro. L'Isis “è più forte di quanto sia mai stata negli ultimi anni" grazie alle recenti conquiste ottenute in Iraq e in Siria, ha rivelato al Washington Post un alto funzionario dell'intelligence. La conquista di basi militari nei territori che ora controlla, con la conseguente confisca di armi sofisticate, sta consentendo al gruppo jihadista di ricostruire gran parte delle capacità militari che aveva acquisito all'apice della guerra in Iraq. La conquista di Mosul e il saccheggio dei forzieri delle banche della città ha riempito le casse dell'Isis che ora può disporre di una notevole quantità di denaro per finanziare le proprie attività. Altro denaro giunge da donazioni esterne, ma a giudizio dell'intelligence Usa, il grosso dei finanziamenti deriva da attività criminali come le estorsioni e i rapimenti. Secondo queste stime l'Isis disporrebbe al momento di circa 10mila combattenti, di cui tra i 3mila e i 5mila di origine straniera. Ma si tratta di stime approssimative, perché il flusso d’informazioni in possesso degli americani è diminuito drasticamente dopo il ritiro delle truppe dal Paese alla fine del 2011.