Gli Usa e Al Qaeda non sono moralmente equivalenti
Il Senato degli Stati Uniti ha pubblicato una piccola parte di un rapporto investigativo sulle torture ai presunti terroristi di Al Qaeda, condotti per sette anni dalla Cia in siti segreti. Ed è molto facile cascare di nuovo in varie trappole intellettuali che fanno odiare gli Usa e giustificare il terrorismo islamico.
Il nuovo caso internazionale è scoppiato ieri: la pubblicazione di un rapporto parziale (500 pagine su 6700 sono state declassificate) del Senato degli Usa sulle torture nei siti segreti della Cia, inflitte a presunti terroristi di Al Qaeda, tra il 2002 e il 2009. I leader politici europei, a partire da Angela Merkel, si dicono pubblicamente “sconvolti” da quanto è emerso. I gruppi per i diritti umani, a partire da Amnesty International, chiedono che i responsabili del programma di “interrogatorio potenziato” siano processati.
La scoperta di un programma segreto di torture, che avviene ad appena un anno da un'altra scoperta sconvolgente (quella della rete di spionaggio della National Security Agency) getta un’ulteriore ombra sull’immagine degli Stati Uniti. Il fatto che un servizio segreto di un Paese democratico e liberale pratichi la tortura è sicuramente un fatto grave. Il dibattito negli Usa, paradossalmente, si concentra solo sull’efficacia del programma. Se abbia permesso di estorcere informazioni utili o meno alla caccia ai terroristi. Il problema, però, è che lo scandalo non sta nell’assenza di informazioni utili ottenute con la tortura (come il rapporto del Senato suggerisce), ma il fatto che dei prigionieri siano stati torturati. E’ la tortura che avrebbe dovuto essere completamente eliminata dalla nostra civiltà. Vi è poi un dibattito tutto interno agli Stati Uniti, che è quello fra democratici e repubblicani. I primi puntano il dito sull’ex amministrazione Bush e sulla stessa Cia, ritenendo che l’una e l’altra abbiano occultato prove e tenuto all’oscuro il Congresso. I secondi, ancora all’opposizione (fino alla fine di quest’anno), hanno redatto un rapporto di minoranza per dimostrare quanto sia fazioso il rapporto di maggioranza. Anche questo dibattito, da un punto di vista etico, appare ben poco interessante. Un’agenzia ufficiale del governo federale americano ha condotto una massiccia campagna di interrogatori, usando prigioni segrete ovunque nel mondo, ovunque la tortura fosse non esplicitamente vietata. La responsabilità va dunque ricercata nel vertice del governo federale, che allora era l’amministrazione Bush e implicitamente anche nel Congresso, allora come oggi a maggioranza democratica, che poté sentire ben 40 relazioni della Cia sul programma degli interrogatori e che spingeva a "fare tutto il possibile per evitare un altro atto di terrorismo sul territorio nazionale", come ricorda un alto funzionario dell'intelligence.
Detto questo, ci sono tre trappole intellettuali in cui è facile cadere. E in cui, a giudicare dai primi commenti su social network e quotidiani, in tanti stanno già cascando. La prima trappola è quella di considerare il terrorismo e gli Stati Uniti sullo stesso piano (c’è chi è addirittura tentato di andare oltre e considera gli Usa peggiori dei terroristi, in quanto più potenti). Questa è la classica teoria dell’equivalenza morale, che ricorda da vicino quella del “né con lo Stato, né con le Br” e che oggi si trasforma in “né con gli Usa né con Al Qaeda”. E’ un’idea suggestiva, che piace a chiunque si senta controcorrente, ma non ha alcun fondamento nella realtà, né tiene conto delle reali dimensioni del problema. Il terrorismo, soprattutto quello islamico, ha ucciso circa 18mila innocenti nel corso di un solo anno, il 2013. Lo stesso attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, da parte di Al Qaeda, provocò la morte di 2996 cittadini americani e stranieri, completamente innocenti, in un solo giorno. Il rapporto di cui si sta parlando in questi giorni, invece, riguarda tecniche di interrogatorio definibili come “tortura” praticate su 119 presunti terroristi, 26 dei quali sono poi risultati innocenti. Nessuno di essi è morto sotto tortura. Nessuno di essi è rimasto invalido o ha riportato danni fisici permanenti. Il programma della Cia, insomma, fu brutale, condannabile moralmente, ma assolutamente non fuori controllo.
La seconda trappola intellettuale, che riguarda soprattutto la sinistra più politicamente corretta, è l’identificazione di Barack Obama come una sorta di salvatore della civiltà americana, apparentemente persa ai tempi di Bush. Obama, insomma, avrebbe riportato i valori di pace, libertà e democrazia tipici dell’America, abolendo la tortura nel 2009 e ripristinando metodi più umani per la lotta al terrorismo. Più umani? Ai tempi di George W. Bush, il grande scandalo era Guantanamo, il campo di prigionia dove vennero detenuti 759 presunti terroristi, fuori dalla giurisdizione americana. C’è chi arrivò a definirlo il lager dei giorni nostri. Ebbene, Guantanamo è ancora in funzione. Vi sono detenuti, attualmente 138 prigionieri. Gli altri sono tornati in libertà. A decine, fra gli scarcerati, sono coloro che son tornati a combattere e a organizzare attentati contro gli Stati Uniti e i loro alleati locali, un tasso di recidiva stimato in (ma mai confermato) 1 su 7. La differenza di Barack Obama rispetto a Bush, oltre che la sospensione del programma di torture, consiste nell’aver varato il piano di uccisioni mirate dei presunti terroristi. Che non vengono più rapiti, torturati, incarcerati e magari lasciati andare se innocenti, ma, appunto, vengono uccisi sul colpo, nella maggior parte dei casi con un missile lanciato da un drone. In cinque anni, le vittime di questa campagna sono stimate in 2400 morti. Indeterminato il numero delle vittime collaterali, cioè dei civili uccisi dagli stessi missili. Secondo il Bureau of Investigative Journalism, vanno dai 416 ai 951 morti. Questo è il modo più “umano” di combattere il terrorismo?
La terza, infine, consiste nell’invertire il rapporto fra aggredito e aggressore. L’intellighenzia di sinistra europea lo ha sempre detto: tutto il fenomeno del terrorismo islamico è dovuto all’arroganza o all’aggressione occidentale. Ora assistono al proliferare di promesse di vendetta dello Stato Islamico (che ha subito iniziato a istigare la violenza contro gli americani via social network) e sentono ancora una volta che la loro tesi è confermata: la violenza americana chiamerà altra violenza. E di fronte all’11 settembre, un attacco gratuito, avvenuto di punto in bianco, contro due città americane inermi, cosa dicono? Perché è comunque l’11 settembre che ha provocato la guerra in Afghanistan, il varo del programma di interrogatori potenziati della Cia, indirettamente anche l’Iraq e tutta la politica americana nel Medio Oriente che ormai ben conosciamo, nel bene e nel male. Di fronte al singolo evento storico dell’11 settembre, gli anti-americani ad oltranza hanno solo due reazioni possibile: la rimozione (non parlarne più), o la negazione (attribuire alla Cia o al Mossad la pianificazione dell’attentato stesso). Entrambe queste reazioni celano il semplice fatto che il terrorismo non è affatto una “reazione” ad una qualsivoglia “arroganza” occidentale, ma è attivo, è la realizzazione violenta di un progetto islamico, ideologico, totalitario. Un metodo di esportazione della violenza che colpisce soprattutto i musulmani, che ebbe inizio ben prima dell’11 settembre durante la guerra civile in Algeria (più di 100mila morti) e che tuttora insanguina Siria e Iraq, dove le vittime sono musulmani, cristiani, yezidi locali e dove gli americani non sono neppure indirettamente coinvolti.
Solo una volta ammesso che il problema è il terrorismo (questo terrorismo, in particolare, religioso, fanatico, suicida, che non lascia spazio ad alcun compromesso) si può comprendere la natura della lotta contro di esso. Gli Stati Uniti, trovandosi di fronte a un nemico di tipo nuovo, hanno reagito a volte male, a volte bene, a volte esagerando, commettendo gravi abusi specie quando la risposta è affidata ad un apparato che, per sua natura, deve agire nell’ombra. Ma quella degli americani è una reazione e come tale deve essere giudicata dalla storia.