Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
COMUNISMO

Gli ostaggi occidentali della Corea del Nord

Corea del Nord. Torna a casa, negli Usa Otto warmbier, studente statunitense nell'Ohio. Recatosi nel paese per un viaggio del capodanno 2016, è stato arrestato con un'accusa assurda: aver rubato un cartello di propaganda. Ora torna a casa, ma è in gravi condizioni. Un anno e mezzo di carcere, come ostaggio, nelle galere di Kim.

Esteri 15_06_2017
Otto Warmbier

Un viaggio in un paese esotico e proibito. Il brivido di vivere un’esperienza in un paese totalitario congelato nel tempo. Il divertimento di prendere un cartello di propaganda comunista (autentico e ancora in uso) per portarlo dagli amici a casa. Tutto questo si è trasformato in un incubo per uno studente americano, Otto Warmbier, dell’Ohio. Imprigionato nelle carceri della Corea del Nord per un anno e mezzo, il giovane è tornato solo ieri a casa, ma è in coma. E’ probabile che abbia contratto il botulismo e che questo sia stato mal curato, a seguito di un’intossicazione in carcere. Le autorità statunitensi dovranno ora stabilire quanti maltrattamenti ha subito e se il coma sia una conseguenza diretta di una tortura. 

Otto Warmbier era in coma già dal marzo scorso, secondo le informazioni ricevute dal Dipartimento di Stato americano. La diplomazia statunitense, che non ha contatti diretti con il regime di Pyongyang, secondo la ricostruzione di Fox News, sarebbe venuta a conoscenza delle gravi condizioni del suo cittadino solo all’inizio di giugno. Da quel momento in poi il processo di scarcerazione e rimpatrio è accelerato notevolmente. Il 12 è giunta a Pyongyang una delegazione del Dipartimento di Stato, con medici al seguito. Il 13 è avvenuta la scarcerazione. Il giorno dopo è avvenuto il rimpatrio negli Stati Uniti. Secondo le dichiarazioni dei genitori dello studente, Fred e Cindy Warmbier, “Vogliamo che il mondo adesso sappia come noi e nostro figlio siamo stati brutalizzati e terrorizzati da un regime paria quale è quello della Corea del Nord”.

L’incubo, per Otto Warmbier, inizia il 2 gennaio 2016, alla fine di un viaggio di capodanno in Corea del Nord. Era all’aeroporto e stava preparandosi a lasciare il paese, quando la polizia lo ha fermato, separato dal suo gruppo di viaggio e portato in carcere. L’accusa era pesantissima: “atti ostili” contro lo Stato. Questi “atti ostili”, considerati alla stregua di un sabotaggio, sono stati confessati dallo studente, fra le lacrime, in un’autocritica pubblica organizzata dalla Tv di regime, a febbraio. In quella occasione, è stato costretto ad ammettere di aver commesso “un crimine molto grave e premeditato”, con l’intento di “danneggiare la motivazione e l’etica del lavoro del popolo nordcoreano”. Il crimine contestato? Aver preso per ricordo un cartello della propaganda comunista. Crimine, per altro, mai dimostrato da prove o testimonianze attendibili: lo studente non ha mai avuto alcun difensore al processo. Processo che si è tenuto in tempi record nel marzo successivo, in un tribunale volante del popolo che lo ha condannato a ben 15 anni di lavori forzati in un gulag. Secondo la sentenza di questo tribunale, Warmbier avrebbe addirittura commesso un crimine che “obbedisce alla logica ostile del governo statunitense contro la Corea del Nord, con l’intento di minare l’unità del suo popolo dopo essere entrato nel paese come turista”.

Da allora ad oggi, i contatti con Warmbier e le notizie sulle sue condizioni sono diventate rarissime. Secondo informazioni di intelligence rese pubbliche in questi giorni, sarebbe stato ripetutamente picchiato e maltrattato. La prima visita diretta del personale diplomatico americano al concittadino prigioniero, è solo quella del 12 giugno scorso, quando il Dipartimento di Stato, accertato il suo stato di salute, ha chiesto il suo rilascio immediato per motivi umanitari.

Sarebbe facile, per molti in America e in Europa, giungere alla conclusione che “certe bravate non si fanno all'estero”. Come nel caso dei ragazzi alto atesini che l’inverno scorso erano stati arrestati perché avevano strappato una bandiera in Thailandia, ad esempio. Ma al di là della generica imprudenza, qui dovrebbe saltare all’occhio la drammatica sproporzione fra la colpa e la pena (15 anni di lavori forzati, confessioni, auto-critica, maltrattamenti, tortura... per un cartello?). Una sproporzione che suggerisce una cosa molto chiara: il motivo dell’arresto è solo un pretesto. La realtà è che il regime comunista nordcoreano tiene ostaggi e li usa come pedine nelle trattative diplomatiche. La scarcerazione di Otto avviene contemporaneamente alla visita di Dennis Rodman, ex campione di basket, il preferito di Kim Jong-un, che compie il suo quinto viaggio nella veste di "ambasciatore informale" degli Usa. Rodman dichiara che non c'è alcun nesso fra la sua visita e la scarcerazione del ragazzo. D'altra parte, non potrebbe dire altrimenti. La Corea del Nord, piuttosto, ha altre tre persone con passaporto Usa nelle sue patrie galere, tre coreani con cittadinanza americana: Kim Dong-chul, Kim Sang-duk e Kim Hak-song, il primo condannato l’anno scorso a 10 anni di lavori forzati, gli altri arrestati ad aprile e maggio scorsi e ancora sotto processo.

Piuttosto, mai sottovalutare la brutalità del regime nordcoreano. Mai dire, come fanno certi nostri rappresentanti politici (e negli ultimi due anni lo dicono anche piuttosto di frequente) che tutto sommato la Corea del Nord è un paese diverso ma dignitoso, in cui regnano ordine, pulizia, frugalità e semplicità. E’ un errore colossale scambiare un quadro di miseria nel terrore per un esotismo da buon selvaggio. Il regime nordcoreano è una dittatura comunista a tutti gli effetti, come l'Urss ai tempi di Stalin e la Cina ai tempi di Mao. Entrarci può essere una trappola. Il rispetto per la persona, una volta nei suoi confini, è pari a zero. Se un cittadino straniero serve come ostaggio, come merce di scambio, il regime comunista non ci pensa due volte a prenderlo.