Gli jihadisti avanzano in Mali, minoranza cristiana braccata
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Dopo il ritiro delle missioni europea e Onu, il Mali sta finendo nelle mani dei jihadisti del Jnim (Al Qaeda). I russi non riescono a fermarli. I cristiani, minoranza esigua, sono cacciati dalle loro terre. Annullato il pellegrinaggio mariano al santuario di Kita.
Con due colpi di stato, nel 2020 e nel 2021, i militari hanno preso il potere in Mali, acclamati nel 2020 da una popolazione stanca di povertà e insicurezza, fiduciosa che l’esercito potesse fare meglio del governo civile destituito. I cittadini maliani confidavano in, e chiedevano, meno corruzione e maggiore efficacia nel contrasto al movimento separatista Tuareg e, soprattutto, al jihad che minacciava vaste estensioni di territorio nel nord est, contenuto a partire dal 2013 grazie soltanto ai caschi blu della missione di peacekeeping Onu Minusma, alle truppe francesi dell’Operazione Barkhane e a quelle dell’Unione Europea.
La giunta militare guidata dal generale Assimi Goita, aveva accolto bene, addirittura con sollievo, il ritiro dei francesi e dell’Ue nel 2022 e dell’Onu nel 2023. Rinfacciava all’Onu e specialmente alla Francia e agli altri paesi europei presenti militarmente nel paese di non essere riusciti a sconfiggere i gruppi jihadisti. Il Mali avrebbe fatto da sé d’ora in poi, finalmente libero da ingerenze esterne, avrebbe dimostrato di saper gestire da solo le proprie crisi – così assicurava il generale Goita – grazie al sostegno militare della Russia in logistica, armi, addestramento e combattenti. Nel 2021 la giunta aveva assoldato i mercenari della compagnia privata russa Wagner che sono rimasti in Mali fino al giugno scorso quando sono stati sostituiti dall’Africa Corps, sempre una compagnia miliare privata russa ma sotto il diretto controllo del Ministero della Difesa.
«Abbiamo portato a termine la nostra missione e stiamo tornando a casa», questo è stato il comunicato della Wagner alla vigilia della partenza. Ma la sua missione era aiutare il governo maliano a rendere sicuro il paese e respingere oltre confine i terroristi islamici e, in realtà, ha fallito. Dopo la partenza dei caschi blu e dei militari europei i jihadisti hanno rapidamente riguadagnato terreno. Nel 2024 erano già in grado di mettere a segno attacchi e attentati, colpendo obiettivi civili e militari, nel centro del paese. Quest’anno si sono spinti più a sud ancora e il Jnim (Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin), il più forte gruppo jihadista affiliato ad al Qaeda attivo in Africa Occidentale, ha praticamente raggiunto la capitale Bamako e la accerchia da settimane.
Si ritiene che non sia in grado di conquistare la capitale e probabilmente non è neanche questa la sua intenzione, almeno per il momento. Piuttosto sta adottando la tattica di isolarla. Da settembre blocca le importazioni di carburante, attacca e sequestra i convogli delle autocisterne che lo trasportano, in particolare quelli diretti a Bamako dove la carenza di carburante ha già costretto molte attività economiche e molte scuole a chiudere.
Gli abitanti del Mali, oltre il 94% dei quali sono musulmani, subiscono con crescente apprensione l’ulteriore radicamento dell’integralismo islamico. Oltre all’insicurezza, alla violenza degli attentati, sperimentano l’imposizione della sharia, la legge islamica, nella vita di tutti giorni e nella sua forma più radicale. Si riportano casi di donne malmenate perché trovate a capo scoperto, di persone giudicate per furto alle quali sono stati amputati gli arti.
I cristiani sono una minoranza, circa mezzo milione, e ormai forse meno, su circa 22 milioni di abitanti. Quasi di loro non si ha notizia. Eppure anche in Mali tante chiese sono state bruciate, tanti cristiani sono costretti a fuggire temendo per la loro vita e perché senza mezzi di sussistenza, essendo privati dai jihadisti dell’accesso all’acqua e alle terre coltivabili. Anche così si realizza la missione di sottomettere all’islam il mondo: si attuano operazioni di pulizia etnica terrorizzando e affamando gli infedeli tanto da indurli a cercare scampo altrove e liberando così della loro presenza dei territori in cui avevano vissuto per secoli.
Con l’avanzata del Jnim adesso i cristiani maliani sono quasi senza scampo, anche dove prima potevano godere di relativa sicurezza. Conferma la gravità della situazione del paese, e dei cristiani in particolare, la decisione annunciata il 12 novembre dalla Conferenza episcopale del Mali di annullare il 54° pellegrinaggio nazionale al santuario mariano di Kita, a meno di 200 chilometri a ovest di Bamako, a causa della difficoltà di reperire carburante e più ancora dell’insicurezza, del timore di attentati e di rapimenti.
Il pellegrinaggio a Kita vede ogni anno la partecipazione di migliaia di cristiani, provenienti anche dai paesi circostanti. Il Santuario di Nostra Signora del Mali si trova nella parrocchia più antica del paese, fondata nel 1888 dai Missionari Spiritani. Da lì partì l’evangelizzazione della regione che all’epoca era una colonia della Francia. Fu uno di quei primi missionari a realizzare la statua in terracotta di Maria, tuttora venerata dai pellegrini, e fu nel 1965, al termine del Concilio Vaticano II, che i vescovi maliani decisero di fare di Kita la meta di un pellegrinaggio nazionale. Il primo risale al 1966. In ragione del grande afflusso di fedeli, la Conferenza episcopale nel 1990 decise di costruire un nuovo santuario, più grande, che fu inaugurato nel 1994.
L’edizione 2025 del pellegrinaggio si doveva svolgere dal 22 al 23 novembre. Il tema scelto era “Pellegrino di speranza”. Se i jihadisti riuscissero a impadronirsi del Mali, quello dello scorso anno potrebbe essere ricordato come l’ultimo pellegrinaggio mariano del paese.

