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RIVOLUZIONI

Gli islamisti vincono le elezioni, ma perdono gli elettori

I partiti fondamentalisti islamici hanno avuto decenni a disposizione per crearsi una base di fiducia. Ma alla prova del governo non hanno soddisfatto gli elettori. Spaventando la gente comune con l'applicazione intransigente della shariah.

Esteri 20_08_2013
Belaid

In Marocco il Partito islamista Giustizia e sviluppo, vincitore delle elezioni legislative del novembre 2011, è in difficoltà. Il mese scorso il partito laico Istiqlal, seconda forza politica del Paese, ha annunciato l’abbandono della coalizione di governo guidata dagli islamisti, che fino a quel momento poteva contare sulla maggioranza parlamentare, e sei suoi ministri si sono per conseguenza dimessi.


Assai più critica è la situazione in Tunisia, il Paese che aveva dato inizio nell’inverno 2010-2011 alla cosiddetta primavera araba, ora governato da Ennahda, il partito islamista che ha vinto nell’ottobre del 2011 le prime elezioni dopo la caduta del regime di Zine el-Abidine Ben Ali. Lì le manifestazioni popolari non si sono praticamente mai interrotte e, negli ultimi mesi, si sono intensificate in seguito all’omicidio del politico di sinistra, Chocri Belaid, sei mesi fa, e del deputato Mohamed Brahimi, il 25 luglio, entrambi espressione dell’opposizione laica. Determinato a non dimettersi, malgrado le proteste e il crescente dissenso, il governo, il 7 agosto, ha dovuto accettare, seppure molto malvolentieri, la decisione dell’Assemblea nazionale costituente di sospendere i lavori finché non sarà aperto un dialogo nazionale che includa tutte le parti politiche. Ennahda si è inoltre dichiarato favorevole all’eventuale formazione di un governo di unità nazionale comprensivo delle diverse forze politiche, auspicando l’adozione di una carta costituzionale e di una legge elettorale entro settembre, in tempo per riuscire a indire prima della fine dell’anno nuove elezioni.


Non è dunque solo in Egitto che i partiti islamisti si scontrano con un’opposizione determinata e soprattutto con la sfiducia, il risentimento e infine il rifiuto popolare. Hanno avuto decenni a disposizione in Africa e Asia per crearsi una base di fiducia, consenso e sostegno tra la gente povera, insoddisfatta e sofferente. Tra le generazioni di giovani privati di un futuro hanno reclutato militanti disposti a tutto. È bastato denunciare la corruzione, il malgoverno, le ingiustizie sociali di governi autoritari, incapaci e irresponsabili, giustamente accusandoli del mancato sviluppo, della miseria prevalente.


Ma, dove hanno avuto finalmente l’opportunità di mettersi alla prova, hanno deluso le aspettative della maggior parte dei loro connazionali, rivelando il loro obiettivo fondamentale, le loro intenzioni: conquistare il potere e, tramite il potere, imporre la shari’a, la legge coranica, o almeno una costituzione quanto più possibile fedele alle prescrizioni islamiche; e forse neanche quello, in molti casi, ma, come chi li ha preceduti, il potere semplicemente per controllare l’apparato statale e trarne profitto.


I Fratelli Musulmani in Egitto erano riusciti a imporsi in parlamento e nell’assemblea costituente, stavano estendendo il controllo sull’apparto giudiziario e su quello amministrativo sostituendo giudici e governatori con uomini fidati. Ma di politiche economiche e sociali non si sono curati se non per qualche parvenza di progetto allo scopo di ottenere aiuti internazionali. Lo stesso è successo in Tunisia.


Le persone comuni scendono in piazza e protestano quindi prima di tutto per la situazione economica dei loro Paesi, allarmate perché non vedono segnali di cambiamento né una volontà politica di avviare riforme ben pensate, efficaci. I protagonisti della primavera araba, da parte loro, poiché chiedevano democrazia oltre che buon governo, si sono riattivati nella certezza che i partiti islamisti intendano ripristinare i regimi autoritari di sempre, questa volta con la legittimazione suprema di un volere divino dimostrato nei testi sacri.


Ma c’è dell’altro che forse conta persino di più. Un punto debole degli islamisti è il divario tra ciò che essi vogliono e quel che la maggior parte dei mussulmani vuole: che non è una versione così austera e intransigente della shari’a, versione di cui molti islamici neanche sono consapevoli, finché non si imbattono nei loro confratelli fondamentalisti. La tutela dei diritti umani e delle libertà personali, impedendo la promulgazione di costituzioni ispirate alla shari’a, la difesa di uno stile di vita ragionevolmente libero – nel vestire, abitare, mangiare, frequentare familiari e conoscenti, disporre del proprio tempo, svagarsi… – sono senza dubbio ulteriori motivazioni, decisive, che inducono le masse a protestare, a ribellarsi, a coalizzarsi e a combattere i partiti islamisti al potere. È possibile che questo i partiti islamisti non l’avessero messo in conto.