Gli immigrazionisti ripassino la Convenzione sui rifugiati
Il 28 luglio del 1951 una conferenza speciale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Essa definisce in modo chiaro i diritti e i doveri dei rifugiati e degli Stati che li ospitano. Termini oggi confusi e applicati anche agli emigranti economici.
Il 28 luglio del 1951 una conferenza speciale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Pochi mesi prima, il 14 dicembre 1950, l’Assemblea generale dell’ONU aveva fondato l’Alto commissariato per i rifugiati (Acnur). Da 70 anni la Convenzione rappresenta un fondamentale strumento giuridico internazionale per definire chi ha diritto allo status di rifugiato e indicare quali sono i suoi diritti e l’Acnur si incarica di soccorrere, assistere, proteggere e, non appena possibile, accompagnare nel processo di ritorno a casa i rifugiati e più in generale i profughi: quindi anche gli sfollati e i richiedenti asilo.
Il miglior modo per celebrare questo anniversario è ricordare che cosa prescrive la Convenzione di Ginevra, chi rientra nella definizione di rifugiato e deve perciò essere posto sotto mandato dell’Acnur.
La Convenzione riconosce lo status giuridico, personale di rifugiato a chi “nel giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”. Questo recita l’articolo 1. I successi articoli (in tutto sono 45) definiscono diritti e doveri sia dei rifugiati sia degli stati contraenti che attualmente sono 149 (l’Italia l’ha ratificata nel 1955). Tra i doveri dei rifugiati il primo citato è quello, nei confronti del paese in cui risiede, di conformarsi obbligatoriamente “alle leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento dell’ordine pubblico” (articolo 2). Tra quelli degli Stati contraenti il primo è l’applicazione delle disposizioni della Convenzione “senza discriminazioni quanto alla razza, alla religione o al paese d’origine” (articolo 3).
Due successivi articoli in particolare sono da evidenziare. L’articolo 33 prescrive che “nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Precisa inoltre che tale disposizione non può essere fatta valere da un rifugiato che “per motivi seri debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese”.
L’articolo 31 asserisce che “gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolari”.
Rileggere queste disposizioni è tanto più utile perché in certi ambienti si è andata affermando la tendenza ad attribuire gli stessi diritti dei rifugiati alle persone che emigrano per motivi economici e che entrano in un Paese straniero illegalmente o clandestinamente, pertanto incoraggiate e aiutate a chiedere asilo, a dichiararsi rifugiati per non essere fermate alla frontiere e respinte.
È una tendenza che sembra ormai condivisa persino dall’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi. Nel comunicato diffuso per il 70° anniversario della Convenzione, l’Alto commissario avverte del pericolo di tradirne i principi. “Alcuni governi – dice – talvolta subendo e altre volte purtroppo incoraggiando la spinta di un populismo gretto e spesso disinformato, hanno tentato di respingere i principi che stanno alla base della Convenzione”. È molto probabile che Grandi si riferisca agli stati europei e nordamericani che tentano di fermare l’emigrazione illegale, perché poco dopo dice che in alcuni paesi si assiste addirittura alla “negazione del diritto di asilo” e denuncia gli “stati ricchi e bene organizzati” che “rispondono a chi bussa alla propria porta erigendo muri, chiudendo le frontiere e respingendo le persone in arrivo per mare”.
Ma è proprio questa posizione e quel che ne consegue che invece rappresenta una minaccia per i rifugiati: perché nega la specificità della loro condizione e l’urgenza dei loro bisogni proprio mentre i paesi ricchi di cui parla Grandi sono costretti a impiegare ingentissime risorse finanziarie e umane per far spazio e provvedere a milioni di emigranti irregolari.
I paesi oggetto della riprovazione dell’Alto commissario sono infatti gli stessi che forniscono ogni anno gran parte dei fondi di cui l’Acnur ha bisogno per prendersi cura dei rifugiati e degli sfollati sotto suo mandato. Nell’anno in corso un aggiornamento parziale pubblicato dall’Acnur a giugno porta a oltre 97 milioni le persone da assistere, in 130 Stati, con un preventivo di spesa di 8,6 miliardi. La cifra è elevata e circa l’87% dei fondi messi a disposizione dell’agenzia ogni anno provengono da Stati Uniti, Unione Europea e diversi Paesi europei.
Anche di questo Grandi sembra non rendersi conto dal momento che sempre porta a esempio di generosità i Paesi poveri che ospitano tanti rifugiati come se non fosse l’Acnur a intervenire con i propri fondi con la collaborazione di altre agenzie umanitarie Onu anch’esse finanziate soprattutto dai Paesi industrializzati occidentali.