Gli immigrati dove li mettiamo? L'Ue si interroga
Domenica 24 giugno si svolgerà a Bruxelles un vertice informale preliminare a quello del Consiglio Ue del 28 e 29 giugno in cui si parlerà della revisione del Regolamento di Dublino. Il problema più difficile da risolvere è la gestione degli immigrati illegali che sono già arrivati in Europa e quelli che ancora arriveranno. La riallocazione riguarda solo i richiedenti asilo. Ma tutti gli immigrati chiedono asilo, entrando illegalmente.
Domenica 24 giugno si svolgerà a Bruxelles un vertice informale preliminare a quello del Consiglio Ue del 28 e 29 giugno in cui si parlerà della revisione del Regolamento di Dublino e delle misure da adottare per una politica europea di gestione degli emigranti e di contrasto all’emigrazione illegale. Al summit parteciperanno solo 13 paesi, tra cui l’Italia. Non tutti gli stati membri dell’Ue infatti ritengono utile l’incontro. I paesi del gruppo Visegrad, ad esempio, sostengono che la bozza di revisione di Dublino IV è già stata bocciata il 5 giugno dal precedente Consiglio Ue e intendono rimandare ogni discussione a fine mese. L’Italia porta a Bruxelles la richiesta che gli stati periferici dell’Ue, in particolare le coste italiane, vengano finalmente considerati frontiere europee il che renderebbe responsabilità collettiva i confini marittimi. Inoltre il primo ministro Giuseppe Conte ha anticipato che il governo italiano sosterrà il rafforzamento delle frontiere europee, la creazione di centri per la raccolta e la valutazione delle richieste di asilo in paesi non europei e il rafforzamento della collaborazione con stati non europei – di provenienza e di transito degli emigranti – per contrastare l’emigrazione illegale e il contrabbando di emigranti.
La necessità di proteggere le frontiere europee trova crescenti consensi. Francia e Germania hanno proposto il potenziamento della guardia costiera, un incremento del suo personale fino a 10.000 unità, per pattugliare più efficacemente le coste del Nord Africa. “L’Europa deve essere in grado di proteggere le sue frontiere e deve poter garantire sicurezza ai suoi cittadini – ha dichiarato il premier ungherese Viktor Orban a nome del gruppo Visegrad rivolgendosi al cancelliere austriaco Sebastien Kurz – speriamo che dopo il semestre di presidenza austriaca l’Europa sarà più forte, una comunità più equa di quello che è oggi. E speriamo che l’Ue sarà più sicura, queste sono le speranze che abbiamo in comune”. Al termine del summit del vertice del 5 giugno il ministro dell’interno austriaco, Herbert Kickl, aveva annunciato che Vienna, durante la sua presidenza, farà una proposta per un nuovo paradigma, una “rivoluzione copernicana nel settore del sistema d’asilo”. “Non penso che abbiamo una chance realistica di compromesso – aveva detto – la solidarietà deve essere rinnovata nel settore della protezione delle frontiere”.
Più difficile, anzi realisticamente assai arduo, è prevedere un accordo su come gestire gli emigranti già presenti in territorio europeo e quelli che ancora arriveranno. La discussione sulla riallocazione riguarda i richiedenti asilo, non gli emigranti illegali. Ma di fatto, almeno per i flussi attraverso il Mediterraneo, le due categorie quasi coincidono dal momento che chiedere asilo, dichiarando di essere profughi e invocando l’applicazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, è l’espediente usato da centinaia di migliaia di emigranti illegali per non essere respinti. I paesi europei centrali rifiutano le quote di riallocazione dei richiedenti asilo decise nel 2015, peraltro non rispettate, e che sono state riproposte dall’ultima riforma del regolamento di Dublino. Inoltre sono contrari alle sanzioni previste per chi non accetta di ospitare i richiedenti e i rifugiati assegnati in base alle quote stabilite. Le rifiutano anche se la bozza presentata a Bruxelles il 5 giugno avrebbe ridotto le penali per ogni riallocazione mancata da 250.000 a 30.000 euro.
Altro punto delicato è la proposta di ridurre drasticamente i movimenti cosiddetti secondari, quelli all’interno dell’Ue, impedendo gli attraversamenti illegali delle frontiere tra gli stati membri da parte sia di richiedenti asilo che di emigranti e attivando procedure rapide di trasferimento dei trasgressori nei paesi competenti. Questo originerebbe flussi di ritorno in Italia e negli altri stati periferici e ne aggraverebbe i problemi.
Un’iniziativa su cui c’è larga convergenza, ma che è destinata a suscitare forti reazioni contrarie, soprattutto negli ambienti favorevoli all’accoglienza indiscriminata, è la creazione di hotspot, centri di filtro delle richieste di asilo in paesi terzi: quelli che si affacciano sul Mediterraneo meridionale ed eventualmente quelli di origine della maggior parte degli emigranti illegali. “Non saranno dei Guantanamo” ha assicurato il commissario Ue per le migrazioni Dimitris Avramopoulos durante una conferenza stampa. “Li intendiamo come un accordo con i paesi attorno al Mediterraneo – ha spiegato – per garantire agli emigranti la protezione necessaria e la dignità che meritano. Ma questo significa anche che salire a bordo di una imbarcazione non garantisce ingresso libero in l’Unione Europea”.
Se verranno istituiti, gli hotspot saranno gestiti, come tutti gli altri, dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e i governi degli stati coinvolti.
Piuttosto le perplessità, più che sul trattamento riservato agli emigranti, sorgono sulla loro efficacia. Chi intende raggiungere l’Europa e si finge profugo per essere accolto – attualmente la maggior parte degli emigranti illegali – difficilmente si rivolgerà a questi centri per inoltrare la propria richiesta e continuerà a cercare altre vie.