Gli ideologi dell'accoglienza preparano il disastro
Porte aperte a tutti gli immigrati? Un'Europa che si preoccupa solo di accogliere tutte le persone che arrivano con i barconi in nome del diritto umanitario? È quanto chiedono ecclesiastici e intellettuali. «Sono tesi folli» ci dice il demografo Blangiardo, «ci sono 100 milioni di giovani lavoratori che nei prossimi dieci anni potrebbero partire dall'Africa subsahariana alla volta dell'Europa».
A leggere in questi giorni tanti commenti e reazioni sul problema dell’immigrazione clandestina via Mediterraneo, si resta davvero basiti perché per sostenere le rispettive posizioni si continuano a fornire dati fantasiosi, con il risultato di dipingere realtà che esistono solo nella mente di chi le racconta. Se poi a fare queste affermazioni sono uomini di Chiesa, il risultato è ancora più sconfortante. Come dice il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti, non ci sono solo i numeri: «Dietro ogni migrante che muore in mare, o che arriva stremato sulle nostre coste, c’è un volto, una famiglia, una storia». Non possiamo non sentirci coinvolti, chiamati direttamente in causa, ma proprio per questo non si può barare sulla realtà per affermare un’ideologia, fosse anche quella della solidarietà o dell’accoglienza a tutti i costi.
E vediamo allora alcuni punti da mettere in chiaro:
MARE NOSTRUM
Tutti a invocare il ritorno a Mare Nostrum, l’operazione che per 14 mesi ha impegnato le navi militari italiane in un’opera di salvataggio in mare dei migranti fino a poche miglia dalle coste libiche. A sentire monsignor Perego, direttore della Fondazione Migrantes della CEI, è la prima iniziativa da riprendere, allargandola a tutta l’Europa (che però ha già detto che non ne vuole sapere) e per mons. Nunzio Galantino, segretario della CEI, è «l’unica strada per evitare i morti». Evidentemente le idee sono un po’ confuse.
Allora bisogna ricordare che Mare Nostrum ha provocato ancora più morti nel Mediterraneo che in precedenza, soltanto per il fatto che la presenza dei comodi “traghetti” italiani davanti alle coste libiche ha incentivato le partenze dalla Libia, in condizioni sempre più precarie, visto che tanto c’erano poche miglia da fare. I numeri sono lì a dimostrarlo: nel 2014 ci sono stati 200mila arrivi via Mediterraneo, il triplo degli anni precedenti, con almeno 3500 morti. Quattrocento sono gli scafisti fermati e poi per la maggior parte rilasciati e ovviamente liberi di farlo ancora. Il costo di un anno di operazioni è stato di un miliardo di euro.
Queste sono cifre da fallimento, altro che unica soluzione: un miliardo di euro per incentivare ulteriormente le partenze, con guadagni moltiplicati per le organizzazioni criminali e terroristiche che controllano questa tratta degli esseri umani. Non si deve poi dimenticare che l’ultima tragedia, la più grave mai vista nel Mediterraneo, è avvenuta proprio durante un’operazione di salvataggio: si dimentica che, per le condizioni in cui viaggiano queste persone, le operazioni di soccorso in mare comportano comunque alti rischi.
ACCOGLIENZA.
È la parola d’ordine che viene ripetuta in ogni sede, ecclesiale soprattutto, facendo peraltro confusione tra il dovere di soccorrere le persone in difficoltà e un presunto diritto delle persone soccorse a stabilirsi in Europa. Il cardinale Vegliò è arrivato a proporre che ognuno dei 28 paesi membri della UE si prenda 20mila rifugiati: un numero irrisorio, dice Vegliò, e ovvia l’accusa all’Europa di essere indifferente alla tragedia quando basterebbe così poco per risolvere il problema. E monsignor Perego, tanto per sottolineare il concetto, grida allo scandalo perché il Libano con 3 milioni di abitanti ospita un milione di immigrati e in tutta la UE ce ne sono soltanto 650mila.
Poi ieri Repubblica dedicava due pagine all’appello lanciato da ong e intellettuali europei per liberalizzare completamente la circolazione di persone, nella convinzione che in questo modo gli immigrati potrebbero arrivare senza ricorrere ai trafficanti di esseri umani e in numero che – miracolosamente – sarebbe limitato alle possibilità di accoglienza (per la teoria dei vasi comunicanti). In pratica è la stessa ricetta che si invoca per liberalizzare la droga: basta rendere tutto libero, che la criminalità perde il guadagno e tutto si aggiusta automaticamente.
«Sono tesi semplicemente folli – dice a La Nuova BQ il demografo Giancarlo Blangiardo, studioso delle migrazioni -, non si tiene conto della realtà. Qui non si tratta di svuotare lo stagno, prendendosi ognuno una parte, e poi dopo rimane pulito; invece abbiamo davanti un fiume in arrivo che si ingrossa». Ciò che questi fini pensatori non vedono è la realtà.
«I numeri parlano chiaro. Se non ci fossero le migrazioni l’Europa a 28 perderebbe in venti anni 20 milioni di abitanti. L’Africa sub-sahariana invece nei prossimi 10 anni vedrà aumentare le persone in età lavorativa di 140 milioni di unità. Non sono previsioni future, sono tutte persone già nate, che già ci sono. Ebbene, se prendiamo solo i più giovani – ovvero la fascia tra 20 e 44 anni – l’aumento nei prossimi dieci anni sarà di 103 milioni di unità. Vale a dire che ci sono 100 milioni di persone che nei prossimi dieci anni saranno tentate di andare altrove. Non è detto che ciò succeda, per tanti motivi, ma laddove non ci sono opportunità e si immaginano chissà quali possibilità in Europa, ci si illude molto facilmente. Lo abbiamo visto in un recente passato anche per l’Albania. Allora dobbiamo decidere se vogliamo continuare a creare queste illusioni collettive o se invece vogliamo vedere le cose con realismo. Se qualcuno pensa di risolvere i problemi portando qui decine di milioni di persone sta ponendo le premesse per un grande disastro».
Mentre il realismo e il rispetto vero della dignità di queste persone chiederebbe risposte ben diverse: «Sarebbe opportuno – dice Blangiardo - creare le condizioni per cui 100 milioni di giovani possano lavorare nel loro paese, valorizzando le risorse umane e quelle naturali, che nel caso dell’Africa sono in entrambi i casi dalle potenzialità enormi. Senza considerare che se proseguirà lo sviluppo tecnologico ai livelli attuali in Europa ci sarà sempre meno bisogno della manodopera».
C’è poi un altro aspetto, che abbiamo messo in evidenza anche nei giorni scorsi: molte delle persone che si imbarcano per l’Italia non fuggono affatto dalla guerra e non hanno perciò alcun diritto – dal punto di vista delle leggi internazionali – ad avere uno status di rifugiato o asilo politico nei paesi europei. Cercare una vita migliore è ovviamente legittimo, ma a questo non corrisponde l’obbligo di un paese ad ospitare laddove non ci sono le condizioni.
Anche per questo il paragone con il Libano, oltre alle cifre sballate che sono state dette, non ha alcun senso. Il Libano, che ha una popolazione di circa 4 milioni e mezzo, non ha “ospitato”, piuttosto si è ritrovato invaso da un milione di profughi in fuga dalla confinante Siria devastata dalla guerra civile. Ma vivono in stato di completo abbandono e le autorità libanesi hanno anche chiuso le frontiere proprio perché questo afflusso massiccio è destabilizzante per il paese. D’altro la UE non è proprio così chiusa come si vorrebbe far credere: ci sono già circa 20 milioni di immigrati regolari, e oltre due milioni sono quelli irregolari, clandestini. Solo in Italia ci sono circa 3 milioni e 900 mila residenti stranieri extracomunitari, a cui si aggiungono circa mezzo milione di clandestini; più o meno lo stesso numero di clandestini c’è in Germania e in Spagna, dai 2 ai 400mila in Grecia e così via. Quando si parla di Fortezza Europa, forse bisognerebbe riflettere maggiormente sulla realtà.
QUALE INFORMAZIONE
C’è inoltre un aspetto che non viene preso mai in considerazione, ci ricorda il professor Blangiardo: «Queste persone, quando decidono di partire dal loro paese, sanno a cosa vanno incontro?». Alcune testimonianze raccolte qua e là fanno nascere molti dubbi in proposito: «Sarebbe importante verificare con le persone che sono arrivate qui quali informazioni avevano alla partenza o cosa immaginassero di trovare». Proprio perché molti non sono spinti dalla guerra o dalla persecuzione si può facilmente intuire che non si aspettassero un’odissea simile. «Bisognerebbe fare una importante opera di informazione in questi paesi spiegando che la situazione per chi parte è drammatica, che si va incontro a pericoli di ogni genere prima ancora di arrivare sulle coste mediterranee», dove peraltro arrivano solo una parte di quanti lasciano il loro paese.
COSA FARE
«L’unica cosa sensata – dice ancora il professor Blangiardo - per evitare le morti in mare, stroncare il traffico di esseri umani e garantire i diritti di chi effettivamente ha titolo per essere accolto nei nostri paesi, è creare un’area di controllo sulla costa libica, ove poter svolgere il processo di riconoscimento e selezione dei migranti. In questo modo, quanti hanno diritto possono arrivare in tutta sicurezza, gli altri devono essere riportati nei loro paesi. E nel frattempo vanno distrutti barconi e barchini, come si fece con successo ai tempi della crisi dei profughi albanesi». È quanto da mesi sostiene la Nuova Bussola Quotidiana, e quanto riproponiamo oggi, con l’articolo di Robi Ronza, che invita anche a riprendere un modello già seguito negli anni ’70 e ’80 per la crisi dei profughi vietnamiti e cambogiani: si deve mettere attorno a un tavolo tutti i paesi coinvolti – di partenza, di transito e di arrivo – per trovare una strada comune.