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IL BELLO DELLA LITURGIA

Gli episodi della vita di san Benedetto parlano a tutti

Chi era San Benedetto ce lo racconta Luca Signorelli nell’abbazia di Monte Oliveto in quel di Asciano. Insieme al Sodoma, al secolo Giovanni Antonio Bazzi, realizzarono trentacinque episodi, il ciclo pittorico più completo della vita del Santo, basato sui testi di San Gregorio Magno che lo aveva definito “astro luminoso”. 

Ecclesia 14_07_2018

Tradizionalmente la festa liturgica di San Benedetto si celebrava il 21 marzo, in ricordo del suo genetliaco ovvero della nascita in cielo avvenuta con la sua morte nel 547 a Montecassino. Cadendo frequentemente in periodo di Quaresima, già dall’VIII secolo si decise di posticipare la ricorrenza all’11 luglio, in memoria della traslazione delle reliquie presso l’Abbazia di Fleury in Francia (A.D. 660). Tutte le comunità benedettine avrebbero, d’ora in poi, potuto esprimere, in onore del loro fondatore, la propria gioiosa riconoscenza. 

Chi era San Benedetto ce lo racconta Luca Signorelli, tra i maggiori interpreti del Rinascimento italiano. A lui, nel 1497, il generale dell’abbazia di Monte Oliveto in quel di Asciano, provincia di Siena, commissionò il ciclo di affreschi del Chiostro Grande. Ci lavorò dal 1497 al 1498, quando considerò più “prestigioso” il cantiere del Duomo di Orvieto in cui decise di spostarsi. Solo nel 1505 gli succedette il Sodoma, al secolo Giovanni Antonio Bazzi, che, dalla sua Vercelli si era già trasferito a Siena. Nell’insieme realizzarono trentacinque episodi, il ciclo pittorico più completo della vita del Santo, basato sui testi di San Gregorio Magno che lo aveva definito “astro luminoso”. 

Il racconto si snoda dall’ingresso orientale della chiesa e procede verso destra, cominciando, sul lato est, dall’immagine in cui Benedetto parte dalla casa paterna e va a studiare a Roma, per finire con un miracolo del santo che libera, solo guardandolo, un contadino precedentemente legato e imprigionato. Entrambe le scene sono firmate dal Sodoma.

Il Signorelli, in effetti, realizzò solo otto lunette, quelle predisposte sul lato ovest. Di queste, però, due sole sono considerate interamente autografe: l’incontro con re Totila e Benedetto che rimprovera due monaci che mangiano in una locanda. È quest’ultima la più riuscita, riportata da qualsivoglia manuale di storia dell’arte. L’attenzione è concentrata tutta nella resa del dato quotidiano: le domestiche in primo piano, la mensa imbandita cui i monaci rendono onore, il giovane in controluce sullo sfondo e Benedetto, che richiama con decisione i suoi confratelli. 

“Beato l’uomo che in Lui si rifugia” recita il salmo della liturgia del giorno.  Beato e benedetto, di nome e di fatto, nel nostro caso. I pennelli di questi due celebri pittori sottolineano, pur mostrando un diverso approccio nei confronti del racconto dipinto – l’uno più sereno, l’altro decisamente più ironico e tagliente - due aspetti importanti dell’agiografia del monaco.  La ricorrenza della tentazione, cui è soggetto non solo il protagonista ma anche coloro che gli stanno a fianco, in cui, molto realisticamente, spesso cadono e la capacità del Santo di sconfiggere il demonio, il male, sempre raffigurato sotto forma di piccolo diavolo.

Niente, dunque, di più umano, compresa l’evidenza che, nella vita, occorre un altro da seguire. La figura di San Benedetto, padre rigoroso e severo, compare in ogni episodio, mentre compie miracoli o si prende cura della comunità a lui affidata. Già protettore degli agricoltori, dei chimici, degli ingegneri, dei moribondi, degli speleologi, nonché patriarca del monachesimo occidentale, Benedetto fu proclamato da Paolo VI patrono d’Europa nel 1964.