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ARTE

Gli angeli di Giotto

La Cappella degli Scrovegni
a dieci anni
dal restauro.
Vale un viaggio contemplativo. Ecco come.

Cultura 21_01_2012
Giotto, particolare del Compianto sul Cristo Morto, Cappella degli Scrovegni, Padova
A dieci dal restauro, la Cappella degli Scrovegni si trova in “condizioni stabili”: è quanto emerge dalla recentissima ricognizione effettuata per saggiare lo stato di salute degli affreschi. Meta annuale di oltre 250mila visitatori, l’edificio possiede una storia singolare che unisce in maniera indissolubile sia il committente che l’autore del ciclo pittorico.

Dal 1303 al 1305, Giotto di Bondone e i suoi aiuti sono impegnati a completare gli affreschi della Cappella, a Padova. Un’opera assoluta della pittura occidentale, che segna la rinascita della “realtà” dopo i secoli dell’Alto Medioevo, non di certo bui come vengono di solito descritti, in cui l’arte esprimeva i limiti umani di fronte al mistero dell’avvento ultimo. Con Giotto, il cielo ritorna sulla terra, teatro di una nuova era di prosperità e di ripresa tanto materiale quanto spirituale.

Vediamo da vicino gli attori di questa impresa. Giotto in quegli anni è già a Padova, chiamato dai minori conventuali ad affrescare la Basilica di Sant’Antonio, dopo il passaggio da Assisi a Rimini sempre su richiesta dei Francescani. È un artista di fama crescente, che Dante celebra nei versi dell’XI canto del Purgatorio: «ed ora ha Giotto il gridoV, per indicare la notorietà universale del pittore poco più che trentenne, capace di oscurare perfino il nome del proprio maestro, Cimabue. Nel Decameron, Boccaccio lo renderà protagonista della quinta novella della sesta giornata, descrivendone il carattere popolare e arguto, pronto alla battuta e al mot d’esprit.

Enrico (o Arrico) degli Scrovegni è figlio di Reginaldo, un mercante che era riuscito ad accumulare un ingente patrimonio più con l’usura che con il commercio, concedendo denaro a prestito pure alla Repubblica di Venezia. L’usura è, secondo la teologia medievale, un peccato compiuto contro Dio e gli uomini. Ambrogio, Tommaso d’Aquino, lo stesso Antonio da Padova, accusano gli usurai descrivendoli con “denti di leone” e “mani grondanti del sangue dei poveri” (da una predica di Sant’Antonio del 1231, anno della sua morte). Con la pratica dell’anatocismo, per cui si pretendono gli interessi maturati giorno dopo giorno sugli stessi interessi, lo strozzino si appropria del tempo che appartiene solo a Dio. Dante pone gli usurai nel terzo girone del  settimo cerchio (Inferno, canto XVII), in mezzo ai violenti contro Dio e ai peccatori contro natura, tormentati da un’incessante pioggia di fiammelle. Ed è qui che il divino poeta incontra Reginaldo degli Scrovegni, identificato dall’insegna – la scrofa azzurra in campo bianco - sulla scarsella che gli pende dal collo. Alla morte del padre, Enrico vuole espiare il peccato di famiglia dedicando alla Madonna della Carità la Cappella del palazzo che ha appena costruito a Padova, sull’area dell’arena romana. Perciò chiama Giotto, il quale pare non sia stato affatto esente dall’aver imprestato “a strozzo” il denaro guadagnato con la propria ricercata attività.

Dall’espiazione di un peccato, nasce la Cappella degli Scrovegni. Enrico viene ritratto a mani giunte dallo scultore Giovanni Pisano, figlio di Nicola d’Apulia, altro gigante del ‘300, che renderà l’arte plastica più morbida, umana, sentimentale. Come la Madonna col Bambino posta sull’altare della Cappella, in cui la madre guarda con trepidante affetto l’infante sorretto in braccio. Il committente sarà raffigurato anche da Giotto nel Giudizio Universale dipinto sulla controfacciata, nell’atto di porgere il modello dell’edificio ultimato nelle mani della Mater Dei, a cui l’opera è dedicata.
Il ciclo degli affreschi narra in 40 riquadri le Storie di Gioacchino e Sant’Anna, genitori della Santa Vergine, le Storie di Maria, le Storie di Gesù. Un cielo blu intenso, trapunto da 400 stelle e interrotto da 10 tondi, domina sulle scene suddivise in tre registri lungo le pareti. Non vogliamo qui riportare l’intera iconografia, ma soffermarci sugli angeli che dialogano con i personaggi dei vari episodi. Dall’arcangelo ripreso di lato mentre annuncia a Sant’Anna la nascita di Maria, sporto da una finestra in mezzo a oggetti della vita quotidiana, all’angelo che presenzia al Sacrificio di Gioacchino

Il messaggero alato che si precipita giù, a velocità crescente, nel Sogno di Gioacchino; o Gabriele che, nell’Annunciazione dipinta sull’arco trionfale, troneggia a lato di Maria; il gaudio degli angeli in preghiera sopra la capanna della Natività di Cristo; l’angelo solitario testimone dell’Adorazione dei Magi; o, ancora, l’essere celeste che spalanca le braccia al momento della Presentazione al Tempio. E’ un angelo ad accompagnare la Sacra Famiglia durante la Fuga in Egitto; e sono sempre loro a porgere le vesti nel Battesimo di Cristo tra le acque del Giordano. Per giungere alla Crocifissione, quando piangono strappandosi le vesti e alzando le mani più in alto possibile, oltre il cielo dipinto. Nel Compianto sul Cristo Morto compaiono altri angeli, tra i quali uno che, a pugni chiusi, grida muto il proprio incontenibile dolore. Così parlano agli uomini gli angeli di Giotto.



Sotto, a sinistra: Giotto, particolare del Compianto sul Cristo Morto, Cappella degli Scrovegni, Padova

Sotto, a destra: Giotto, particolare del Sogno di Gioacchino, Cappella degli Scrovegni, Padova