Gli acquisti (low cost) della Cina nella politica italiana
Parlare dei rapporti fra l’Italia e la Cina è doppiamente difficile. Perché quasi mai sono trasparenti e perché avvengono tramite associazioni informali del Partito Comunista Cinese. Un rapporto di Sinopsis (progetto di ricerca ceco) svela gli arcana della politica di influenza cinese in Italia. Non fiumi di denaro, ma tanti "amici" da coltivare, anche gratis, per ideologia.
Parlare dei rapporti fra l’Italia e la Cina è doppiamente difficile. Prima di tutto perché nessuno, in Italia e in Cina, ritiene che questi rapporti debbano essere del tutto trasparenti, specialmente in questo clima di “nuova guerra fredda”. In secondo luogo perché la diplomazia formale è solo l’aspetto più superficiale ed evidente di un vasto lavoro condotto da una serie di associazioni informali, legate direttamente al Partito Comunista Cinese. Un rapporto a firma di Livia Codarin, Laura Harth e Jichang Lulu, per Sinopsis (progetto di ricerca ceco) e per il Comitato globale per lo Stato di diritto “Marco Pannella”, svela gli arcana della vera politica estera cinese in Italia. Il titolo è eloquente: Una preda facile. E mostra tutto il lavoro che viene compiuto dal Partito per farsi alleati, ottenere partnership e soprattutto diffondere in Italia la visione del mondo della Cina comunista. Il rapporto è una miniera di informazioni su nomi, date, partiti e associazioni coinvolte in questa gigantesca impresa di influenza. Ma, contrariamente all’immaginario collettivo, non troviamo alcun passaggio di “fiumi di denaro” (come era ai tempi dell’Urss con il Pci), neppure l'equivalente di un "dossier Mitrokhin" sullo spionaggio di Pechino, bensì una campagna acquisti a basso costo, di politici, anche a livello locale, entusiasti dell’idea di essere amici del colosso comunista.
Tracciare la mappa delle associazioni attraverso cui agisce il partito è un compito immane, da mal di testa, reso deliberatamente difficile dalla moltiplicazione di ruoli, organismi, sigle cacofoniche. Tale complessità ha uno scopo: rendere la “vittima” del contatto inconsapevole di avere a che fare con il Partito Comunista, facendole credere che si tratti di un incontro vis-a-vis con rappresentanti di organizzazioni culturali, indipendenti, commerciali, comunque non governative (e neppure ideologiche). Lo scopo, però, è sempre politico ed ideologico: la Cina alleva nuovi alleati. Non nei Partiti comunisti (ormai ininfluenti) e neppure nei gruppuscoli maoisti che proliferano dagli anni Settanta, bensì in partiti e testate giornalistiche non comuniste, spesso anche anticomuniste. Fa parte del gioco che qualche “critico della Cina”, talvolta ne parli bene: risulta doppiamente credibile. Si tratta, a tutti gli effetti, di un lavoro di intelligence, di una misura attiva, anche se non c’è nulla di segreto: tutto avviene alla luce del sole.
Per semplificare al massimo, gli organismi attraverso cui agisce il Partito Comunista Cinese sono essenzialmente di tre tipi: politici, culturali ed economici. Alla testa della piramide delle associazioni politiche c’è il Dipartimento per i contatti internazionali (Ild), una versione moderna del vecchio Comintern sovietico. Compito dell’Ild è contattare nuovi alleati, amici e “nemici-amici” (critici che riconoscono meriti) fra i partiti stranieri. Al vertice della piramide delle associazioni culturali c’è l’Associazione di amicizia del popolo cinese con l’estero (Cpaffc) che interagisce soprattutto con la politica locale e associazioni territoriali. Quando vediamo città gemellate con quelle cinesi, oppure territori che aderiscono alla Nuova Via della Seta (come la provincia di Brescia, in Lombardia) questo è il risultato del lavoro delle associazioni che, direttamente o indirettamente fanno capo alla Cpaffc. Infine, la politica estera economica che viene gestita informalmente dalle Camere di Commercio cinesi e dal Consiglio Cinese per la Promozione del Commercio Internazionale (Ccpit). Tutte e tre le branche risultano essere legate a doppio spago, non solo con il partito, ma anche con le istituzioni di intelligence cinesi, sia civili che militari, perché ne condividono i vertici.
Sembra uno schema facile, detto così, ma non lo è. Perché l’Ild non contatta quasi mai un politico italiano in veste di “Ild”, ma tramite una delle sue numerose associazioni, teoricamente private, informali o non governative. E mai, ufficialmente, per motivi politici. C’è per esempio la Cafiu (l’Associazione Cinese per la Comprensione Internazionale) che ha cooptato numerosi partner influenti in Europa e all’Onu. La Cpaffc agisce tramite associazioni nazionali e locali di amicizia con la Cina. Il Ccpit si muove attraverso i suoi partner, sia nazionali che (più spesso) regionali. La dimensione mediatica della politica estera “informale” è molto importante. Il China Media Group è ormai un colosso internazionale e in Italia ha rapporti di partnership con Rai, Mediaset e Class Editori. Ottiene di trasmettere un po’ di Cina in Italia, come le citazioni letterarie di Xi Jinping, in onda sul TgCom24 nel corso della sua visita in Italia. Anche l’Ansa ha stipulato accordi con Xinhua, agenzia di Stato cinese, e ne rilancia le notizie.
Che cosa vogliono i cinesi, da noi? In sostanza: che si parli bene, o per lo meno non si parli male, del loro modello e delle loro politiche. E poi che si taglino i contatti con i nemici del regime di Pechino. Per quanto riguarda l’Italia, il rapporto si sofferma a lungo su due organizzazioni: l’Associazione parlamentare di Amicizia Italia-Cina e soprattutto l’Istituto per la Cultura Cinese (Icc fondato nel 2016) che, nonostante il nome, ha molti più contatti con la politica italiana che non con le nostre istituzioni culturali. Il metodo di cooptazione di amici e alleati è quello classico sovietico: delle gran belle gite collettive in Cina, anche nelle regioni più represse dal regime (come il Tibet) per mostrare agli ospiti efficienza e benessere, convincendoli che nonostante le “menzogne occidentali”, vada tutto bene. I cinesi si dimostrano anche esigenti: vogliono che queste visite abbiano anche un seguito. Basti un esempio, del 2019, tratto da fonti mediatiche cinesi: «Un articolo citava la richiesta fatta a Marino (Mauro Maria Marino, senatore di Italia Viva, ndr), dal segretario del Partito “di non offrire una piattaforma a nessun evento scissionista sull’indipendenza tibetana” e di non consentire “al Quattordicesimo Dalai Lama o alla sua cricca di visitare con spudoratezza l’Italia”, né di permetterne contatti con politici italiani».
Nel rapporto, i partiti che compaiono maggiormente come principali contatti della Cina popolare sono il Pd, il Movimento Cinque Stelle e Italia Viva. Un politico di spicco è Pietro Grasso, ex presidente del Senato e attuale senatore di Liberi e Uguali. «L’interesse di Grasso nelle relazioni italo-cinesi precede il lancio dell’Icc: due anni prima, a seguito di un incontro con il premier della Repubblica Popolare Cinese, Li Keqiang, durante una visita che lo vide tenere una lezione di “etica politica” alla Scuola Centrale del Partito, Grasso dichiarò il suo obiettivo di rilanciare i rapporti tra l’Italia e la Cina e di “promuovere nuove sinergie in settori strategici”. Un ulteriore sviluppo favorevole al Pcc sotto la Presidenza di Grasso si verificò a pochi mesi dal lancio dell’Icc, quando un importante attivista uiguro non solo si vide negato l’ingresso in Senato dove era atteso per una conferenza stampa su invito di un Senatore della Repubblica e fu detenuto dalla polizia anti-terrorismo». Il Movimento 5 Stelle risulta essere in prima linea nei contatti amichevoli con Pechino, anche indirettamente, considerando il ruolo importante assegnato da Di Maio all’ex ambasciatore italiano in Cina, «Ettore Sequi (poi capo di gabinetto del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e nel 2021 nominato segretario generale del ministero, sempre sotto Di Maio)».
Ad ulteriore riprova che questa “diplomazia informale” abbia avuto successo, l’Italia è stata la prima a firmare i protocolli politici di intesa per la Via della Seta. E anche la prima nel mondo occidentale a seguire il “modello cinese” di lotta al Covid. Fatto di lockdown e rigoroso controllo dello Stato sui cittadini. Secondo un sondaggio Pew condotto in tutti i Paesi industrializzati, durante la pandemia la popolarità della Cina è crollata ovunque, meno che in Italia. Qualcosa vorrà dire.