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DOTTRINA

Giustizia sociale, questa sconosciuta

La giustizia sociale è sulla bocca di tutti, soprattutto in questi giorni del viaggio di Papa Francesco nelle Filippine e la sua denuncia della corruzione. La Dottrina Sociale considera giuste o ingiuste le regole del gioco, più che i suoi esiti. Ce lo ricorda il professor Martin Rhonheimer. E lo spiega attraverso Hayek, un economista troppo poco conosciuto e apprezzato.

Cultura 17_01_2015
Filippine, l'attesa del Papa nelle aree devastate

“Tutta la società, ad ogni livello, rifiuti ogni forma di corruzione che distoglie risorse dai poveri, e compia sforzi concertati per assicurare la inclusione di ogni uomo e donna e bimbo nella vita della comunità”, è il chiaro messaggio lanciato da Papa Francesco nelle Filippine. Lo Stato asiatico non brilla per l’onestà delle sue istituzioni, ma il senso è universale e ricorda una regola fondamentale per comprendere al meglio la Dottrina Sociale della Chiesa: l’ingiustizia si trova nelle regole del gioco, più che nei suoi esiti. In ogni realtà esistono ricchi e poveri, ma l’ingiustizia si trova lì dove un gruppo dominante detta regole che gli permettono di arricchirsi ai danni di tutti gli altri gruppi. Questo è vero per le Filippine, così come per il resto del mondo, con gradi più o meno forti di colpa.

A chiarire ulteriormente questo aspetto della Dottrina Sociale, la definizione cattolica della giustizia sociale, è il professor Martin Rhonheimer, sacerdote dell'Opus Dei e docente, a Roma, alla Pontificia Università della Santa Croce. Lo abbiamo incontrato a Milano questa settimana, ospite dell’Istituto Bruno Leoni, dove ha tenuto la sua lezione “Hayek e la giustizia sociale, una prospettiva cattolica”. Friedrich August von Hayek (1899-1992) non è un nome solitamente associato alla “giustizia sociale” comunemente intesa. Fu un economista e filosofo austriaco, premio Nobel nel 1974, critico del welfare state e ispiratore delle politiche di Margaret Thatcher. Il suo nome è piuttosto associato a quello del cosiddetto “turbo-liberismo” che anche tanti cattolici vedono come fonte di ogni male sociale. Eppure, il professor Rhonheimer, prende spunto proprio da Hayek per spiegare il concetto cattolico della giustizia in una economia di mercato.

“La giustizia sociale è sulla bocca di tutti, ma raramente se ne conosce il senso” – esordisce Rhonheimer. “La giustizia sociale è spesso vista come una giustizia nella distribuzione della ricchezza, la cosiddetta ‘giustizia distributiva’. Questa concezione della giustizia investe una parte della società, lo Stato, di un ruolo di comando, al fine di distribuire la ricchezza. Riguarda le tasse, i sussidi statali, il sostegno non solo materiale, ma anche politico, a certe categorie sociali. Uno dei più puntuali critici della giustizia distributiva fu proprio Friedrich August von Hayek, il quale mise in discussione il modo di intendere la ‘giustizia sociale’ solamente come una ‘giustizia distributiva’”. Per Hayek, prima di tutto, “si deve distinguere un ordine spontaneo, da un ordine che è stato intenzionalmente pianificato”. L’ordine spontaneo è quello che si genera in una società aperta, cioè “in ampi sistemi di leggi e di mercati in cui miriadi di individui perseguono fini differenti”, e gli delle cui azioni non sono intenzionali. Ad esempio certe aziende vincono la competizione su altre, certi imprenditori (e di conseguenza anche i loro dipendenti) si arricchiscono e altri no, ma nessuno determina in anticipo chi vince e chi perde, chi diventa ricco e chi povero.

Per Hayek, in questo caso, non si può parlare di ingiustizia, o nemmeno di giustizia, negli esiti, perché “solo azioni umane intenzionali possono essere giudicate moralmente. In una società libera, in cui la posizione sociale delle persone è determinata dal mercato libero, non da una pianificazione sociale intenzionale, le differenze sociali non possono essere definite come giuste o ingiuste”. Anche se l’esito della distribuzione della ricchezza, nelle mani di alcuni e non di tutti, può apparire “ingiusto” ai nostri occhi, Hayek ribatte che non si può parlare di “ingiustizia”, perché nessuno ne è responsabile. Un’economia di mercato è quella in cui “a ciascuno è permesso di usare la sua conoscenza e la sua capacità per perseguire i propri fini. Di conseguenza, il concetto di ‘giustizia sociale’ inevitabilmente si svuota di significato, nel momento in cui la differenza fra ricchi e poveri non impedisce ad alcuno di cambiare la propria condizione”.

Piuttosto, noi possiamo e dobbiamo giudicare, come giusta o ingiusta, una situazione in cui qualcuno decide, pianifica intenzionalmente, la distribuzione della ricchezza. Questo giudizio ha delle conseguenze molto profonde, “quando ineguaglianza, esclusione, discriminazione sono provocate da istituzioni e leggi che hanno determinati scopi distributivi della proprietà, mentre questi stessi esiti non si sarebbero prodotti se quelle istituzioni e leggi non fossero mai esistite”. Un esempio facile da comprendere è quello della discriminazione su base etnica, che prova una certa popolazione della possibilità di accedere a determinati lavori, ad arricchirsi a migliorare la propria condizione sociale, anche limitandone i diritti di proprietà. “In questo caso si può parlare di palese ingiustizia: quella delle leggi e delle istituzioni vigenti”. E in questo caso anche il “conservatore” Hayek suggerisce la legittimità di cambiamenti radicali.

Se vogliamo giudicare un sistema come “giusto” o “ingiusto”, insomma, non dobbiamo guardare tanto ai suoi esiti, a chi è povero (o a quanti siano poveri) e a chi è ricco (a quanto pochi siano i ricchi), come spesso si tende a fare. Si deve piuttosto a guardare alle norme che regolano quella società, scoprire se sono le sue leggi che rendono poveri i poveri e ricchi i ricchi. E non solo nel presente, ma anche nel passato. L’America del Sud, secondo Rhonheimer è un classico esempio di ingiustizie storiche accumulatesi nel corso dei secoli, un retaggio di proprietà terriere create con l’uso della forza e conservate grazie al privilegio. Ma, senza andare troppo indietro nel tempo, abbiamo casi anche molto più vicini, come quello della ex Germania Est, dove, dopo la riunificazione, i vecchi proprietari espropriati dai comunisti si sono trovati a confrontarsi con i nuovi proprietari che occupavano i loro immobili da due generazioni. In queste situazioni, secondo Rhonheimer, è sempre bene procedere “caso per caso, pragmaticamente e senza rivoluzioni”, alternando restituzioni, quando sono possibili, a risarcimenti, quando non sono possibili.

La Dottrina Sociale contempla gli stessi criteri di giustizia: valuta moralmente le azioni deliberate, la natura delle regole, non gli esiti di un processo spontaneo. Rhonheimer, che ha potuto assistere all’ultima stesura dell’enciclica Caritas in Veritate, di Benedetto XVI, può testimoniare che il Pontefice “aggiunse, a penna, un appunto: sono importanti le regole, non i loro esiti. In tutta la tradizione cattolica, sono le virtù morali della persona ad essere importanti. Il Beato Rosmini lo scrisse ne La Società e il suo Fine (1837): ‘Il bene pubblico deve trovarsi nei privati cittadini; la giustizia sociale nella giustizia individuale. La pietra angolare dell’edificio sociale deve essere la virtù, che giace nel profondo del cuore dell’uomo'”.