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TESTIMONIANZA

«Giovani, non abbiate paura di scelte grandi»

Suor Daniela Sabatino: «Dall'Albania all'India per servire Cristo nei malati e nei sofferenti. E per indicare ai ragazzi un modello di vita felice».

Attualità 19_04_2011
suore

Suor Daniela Sabatino è la madre generale della congregazione delle «Suore dell’Addolorata Serve di Maria di Pisa». La congregazione  ebbe origine il 28 dicembre 1895 con la vestizione delle prime sette sorelle, Florida Pardelli, Giuliana Brogi, Concetta Sassetti, Maria Sassetti, Serafina Grisanti, Teresa Grisanti ed Eletta Dini. Queste suore provenivano dalle «Oblate Ospedaliere di Santa Chiara», una delle più antiche istituzioni pisane dedite al servizio negli ospedali, ed ebbero fin da subito una vocazione ad operare nelle strutture ospedaliere. «La svolta per la nostra Congregazione – spiega don Daniela – avvenne il 31 maggio 1907, quando il Cardinal Maffi consegnò alla nuova famiglia religiosa le prime Costituzioni. Da quel momento il nostro carisma iniziò a risplendere in tutta la sua bellezza e ricchezza spirituale. Nel luglio 1954 ricevemmo l’approvazione pontificia e proprio in quegli anni vivemmo la nostra stagione più felice».

Oggi, suor Daniela, non è più così felice?
Oh, lo è molto, abbiamo molte soddisfazioni. Ma in Italia non registriamo più vocazioni. Io credo sia un problema derivato dai tempi nuovi.

In che senso?
Le ragazze – un po’ come accade per la famiglia – sono spaventate da un impegno per tutta la vita. Non manca la vicinanza a Cristo, la fede in Lui, ma la caducità del tempo presente, la rapidità di cambiamenti della società in cui viviamo, trasmette alle giovani un senso di precarietà che si riflette nella riluttanza ad a compiere un passo così grande.

Eppure la sua è una vita piena, intensa. Come ha fatto lei, foggiana, a capitare proprio a Pisa?
È stata la Madonna, credo, ad avermici condotto. Il mio parroco, ritornando a Foggia da Lourdes, si fermò a Pisa ed ebbe modo di conoscere la congregazione. Si stabilì subito un buon rapporto e una intesa tra lui e la madre generale dell’epoca e così, quando maturai la mia vocazione, fui presentata a Pisa.

La vostra è una congregazione numerosa?
No, non lo è affatto. Ma non ci ha impedito di portare il nostro servizio in ogni parte del mondo. Operiamo in Italia, Albania, Filippine, India e Indonesia. Il nostro carisma prevede l’assistenza agli ammalati e ai bisognosi, ma in India ci siamo dedicati a ciò di cui c’era più bisogno, l’istruzione. In una sola di queste strutture ospitiamo ben 1800 alunni, bambine e bambini di diverse religioni.

Avete dovuto far fronte a episodi gravi di intolleranza nei vostri confronti?
Per fortuna no. L’area in cui lavoriamo è piuttosto tranquilla. All’estero le nostre vocazioni vanno meglio. Non tanto in India, dove si avvicina un’epoca moderna caratterizzata da un progressivo calo delle nascite e delle vocazioni, quanto in Indonesia. Anche in questo caso siamo state fortunate: siamo nei pressi di Bali, c’è una forte presenza cattolica nella regione, non abbiamo mai subito violenze o aggressioni e c’è una bella fioritura: dal 2003 abbiamo già professato una ventina di giovani e altre si sono avvicinate. Abbiamo realizzato una struttura destinata ai bambini che seguono i genitori al lavoro, vivendo ai margini dei campi di riso.

E in Albania?
Lì ci sono quattro sorelle. Si tratta di una presenza puramente destinata alla promozione umana, dove svolgiamo un servizio completamente gratuito. Ora, anche grazie al nostro impegno, è cambiato molto, ma quando siamo arrivate nel 2000 la situazione era delle più difficili. Curiamo un campo scuola protetto e le famiglie ci affidano volentieri i loro bambini perché sanno che sono al sicuro. Anche in Italia, però, lavoriamo bene, a La Spezia ad esempio, dove da anni gestiamo la casa di cura Alma Mater. Lì c’è una comunità con ben 12 sorelle e siamo in grado di offrire ben 27 posti letto per persone disagiate e lungo degenti.

Una volta le suore erano una presenza fissa negli ospedali, poi sono venute sempre meno e ormai – tranne alcune rare eccezioni – è praticamente impossibile trovarle in corsia. Lei pensa che la vostra presenza sia utile agli ammalati?
Più che utile. La trovo necessaria. Non è un luogo comune: c’è da curare non solo il corpo, c’è da curare anche l’anima. Lei sa che dove operiamo noi, svolgendo pastorale sanitaria, incontriamo di tutto e di più? Le persone si avvicinano a noi con una confidenza, un’apertura e una fiducia diversa. Sanno di poter contare su un aiuto concreto, corroborato dall’affetto e dalla vicinanza tipica di una “sorella”, appunto. Per questo la nostra esistenza è ricca di gioia e soddisfazioni, sappiamo ogni giorno di essere utili.