ARTE
Giotto e il demone che non c'è
Ad Assisi, nella Basilica Superiore, sarebbe spuntato il volto di un demone nascosto fra le nuvole. Ma forse la spiegazione è più semplice.
Attualità
10_11_2011
La notizia ha fatto il giro del mondo: ad Assisi, nella Basilica Superiore, Giotto avrebbe dipinto un demone nascosto tra le nuvole dell’affresco che ritrae la morte e il transito in cielo di San Francesco. E nessuno se ne era mai accorto. A scoprire quel volto dai tratti molto marcati è stata la storica Chiara Frugoni, specialista francescana e autrice di importanti libri sull’iconografia medievale.
Subito sono partite le ipotesi sul perché quel profilo di demone stia lì. La spiegazione attualmente più accreditata è quella che descrive la stessa Frugoni: «Nel Medioevo si credeva che anche nel cielo abitassero i demoni che ostacolavano la salita delle anime: è un significato ancora da approfondire, ma che sembra destinato a dare buoni frutti». Raffaele Iannuzzi, sulle pagine de Il Tempo, approfondisce il tema e vede nel dipinto di Giotto un “esorcismo per via estetica”. Padre Enzo Fortunato, responsabile della sala stampa del Sacro Convento, suggerisce che «questa scoperta può farci comprendere a livello catechetico l’importanza di oggettivare il male per non accoglierlo nella propria vita. Il bene e il male, gli angeli e i demoni sono presenti nella vita di ogni uomo e richiedono sempre un attento discernimento».
Tutto interessante e affascinante, eppure qualcosa non torna. Affermare che quel volto sia un demone presenta argomentazioni piuttosto macchinose. Invece, può essere proposta anche un’altra lettura di quanto c’è lì, dipinto sul muro, da otto secoli. Un’ipotesi diversa, ma forse più semplice e lineare: quel volto è il profilo di una luna, anzi di una mezzaluna. Quel volto è la luna con le fattezze umane, è la luna che sorride, come se ne vedono in moltissimi dipinti, nelle miniature, negli stemmi araldici. Quelle che sono state viste come “le corna del demone”, in realtà, possono essere la parte terminale e più scura della sagoma della mezzaluna nella quale l’iconografia tradizionalmente incastonava il volto dalle sembianze umane. Di esempi di lune con quel profilo accentuato, il naso e il mento lungo, ce ne sono a bizzeffe.
Ne consegue quindi un’altra domanda: ma che ci fa lì la luna tra quelle nuvole luminose? Occorre provare a prendere in mano quanto aveva potuto leggere su San Francesco lo stesso Giotto per ispirare il proprio lavoro creativo.
Se prendiamo, ad esempio, la "Vita seconda di san Francesco" scritta da Tommaso da Celano, al capitolo CLVXIII, nel punto in cui è descritta la morte del Santo di Assisi, troviamo: Un frate suo discepolo, assai rinomato, vide l’anima del padre santissimo salire direttamente al cielo. Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida.
Ecco allora la scena, dipinta da Giotto esattamente come descritta da Tommaso da Celano. Giotto ha dipinto la luna per restituire quel paragone che troviamo nel testo, per dare evidenza al fatto che l’anima di san Francesco era come una stella, ed una stella non come quelle che vediamo normalmente in cielo ma grande almeno quanto la luna.
Questa dunque è la nostra ipotesi. Anzi, la nostra proposta di metodo: cercare di pensare come Giotto. O, perlomeno, di leggere come Giotto. E questo per andare ai codici che hanno presieduto alla composizione dell’opera pittorica, ovvero a quei testi cui Giotto faceva riferimento per rimanere fedele alla storia della vita di San Francesco. Così come San Francesco aveva fatto a sua volta col Vangelo, il codice che sta a monte di tutti gli altri codici, per essere fedele alla vita di Cristo, fino a portarne i sigilli della croce.