Giornata Terra, il solito circo sul clima
Oggi, 22 aprile 2016, in occasione della 46ma Giornata della Terra il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha voluto organizzare la cerimonia della ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima, siglato a dicembre. Per l’occasione riproponiamo il capitolo dedicato all’Accordo di Parigi del libro della Bussola “Il clima che non t’aspetti”.
Oggi, 22 aprile 2016, in occasione della 46ma Giornata della Terra (clicca qui per capirne origini e signifcato) il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha voluto organizzare la cerimonia della ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima, siglato lo scorso dicembre in occasione della 21ma Conferenza delle Parti (COP 21). Per l’occasione riproponiamo il capitolo dedicato alla COP 21 e all’Accordo di Parigi del libro della Bussola “Il clima che non t’aspetti”, scritto da Riccardo Cascioli (clicca qui per acquistarlo)
È in chiave politica che va letto l’accordo raggiunto in extremis a Parigi (COP 21) il 12 dicembre 2015 nell’annuale Conferenza delle Parti. Così si spiega come mai, a fronte di un risultato che dal punto di vista meramente tecnico-scientifico (stante le premesse su cui si basa la teoria del Riscaldamento globale antropogenico) è stato un flop, l’accordo sia stato salutato come un importante successo che cambierà il corso della storia. E perfino le sempre ipercritiche associazioni ecologiste più radicali non hanno calcato la mano per esprimere la loro delusione.
L’unico dato positivo dal punto di vista degli organizzatori è il fatto che un accordo sia stato firmato dai capi di Stato di 195 Paesi. E probabilmente era questo il vero obiettivo da raggiungere a prescindere dai contenuti, perché questo diventa un nuovo passo in avanti nel riconoscimento di una global governance da realizzare.
Dal punto di vista pratico però i punti dell’accordo hanno il vago sapore della truffa. Preceduta come solito da un crescendo di rapporti e dichiarazioni da ultima spiaggia, le attese per la Conferenza di Parigi erano per un accordo - che dovrebbe sostituire nel 2020 il Protocollo di Kyoto – con impegni ben precisi e vincolanti per tagli drastici delle emissioni di CO2. Le cose sono andate però diversamente, come risulta da un rapidissimo esame dei contenuti. I punti principali dell’accordo infatti sono:
• L’impegno a mantenere l’aumento di temperatura inferiore ai 2 gradi entro la fine del secolo rispetto all’era pre-industriale (quasi un grado, come abbiamo visto è già stato consumato), e a compiere sforzi per mantenerlo entro 1,5 gradi.
• Smettere di incrementare le emissioni di gas serra il prima possibile e raggiungere nella seconda parte del secolo il momento in cui la produzione di nuovi gas serra sarà sufficientemente bassa da essere assorbita naturalmente.
- Ogni paese dovrà presentare il proprio piano per il taglio di emissioni di CO2 (scelto liberamente) a cui però sarà vincolato.
• Controllare i progressi compiuti ogni cinque anni, tramite nuove Conferenze.
• Versare 100 miliardi di dollari ogni anno in un fondo destinato ai paesi più poveri per aiutarli a sviluppare fonti di energia meno inquinanti.
Se passiamo in esame i singoli punti ci accorgiamo immediatamente delle assurdità contenute in questo testo. Cominciamo dall’obiettivo: tutti i paesi si impegnano a mantenere per la fine del secolo l’aumento delle temperature al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale. Come abbiamo già scritto il solo pensare di poter regolare la temperatura della Terra implica la conoscenza perfetta di tutti i fattori che determinano il clima e l’esatta interrelazione che c’è fra di essi. Cosicché intervenendo di un tot su uno di questi fattori si dovrebbe essere sicuri di poter raggiungere la temperatura desiderata. Ma la scienza è lontanissima da questo traguardo, tanto che – come abbiamo visto – le stesse previsioni fatte nel 1990 risultano già sbagliate. Oltretutto l’impegno è anche generico, troppo vago per essere vero: sotto i 2°C, tendente a 1,5°C.
Ma andiamo avanti: l’impegno riguarda sostanzialmente solo uno dei gas serra, l’anidride carbonica (CO2), le cui emissioni di carattere antropico si devono all’uso dei combustibili fossili. Abbiamo già visto tutti i limiti dell’adozione di un parametro del genere vista l’impossibilità di misurare con precisione la relazione causa-effetto tra CO2 e temperature. E se anche questo fosse possibile, l’Accordo di Parigi non servirebbe a un granché, visto che l’Accordo evita di stabilire oggettivamente la quota di emissione per ogni paese. Ogni governo è tenuto a stabilire lui stesso l’obiettivo da raggiungere, obiettivo che sarà verificato poi ogni 5 anni. Quindi ci si impegna a non far crescere la temperatura della Terra sopra i 2°C stabilendo obiettivi a caso. Dal punto di vista scientifico un vero unicum.
Ma non è finita: l’«Accordo di Parigi» non prevede l’azzeramento delle emissioni di anidride carbonica, ma la loro neutralità; ovvero si potrà emettere nella quantità che alberi, terreni e mari possono assorbire naturalmente. Ma senza fretta: la neutralità dovrà essere raggiunta tra il 2050 e il 2100. Vale a dire che abbiamo circa 85 anni per metterci in regola e in base a obiettivi stabiliti su base volontaria. Ma se la decisione a contenere le temperature è attuale, come potrà mai incidere un rimedio che sarà a regime tra diversi decenni? Come si concilia l’estrema urgenza di un intervento con tempi di realizzazione lunghissimi? È chiaro allora che se si parla di «successo storico» la soluzione è altrove.