Giornalisti o yes man? Quanti tromboni nell'informazione
In Tromboni (Rizzoli), il giornalista Mario Giordano svela tutte le bugie di chi ha sempre la verità in tasca: nella scienza, nella giustizia, nella politica, nell'economia. Ma anche nel giornalismo, dove troviamo cacciatori di bufale bufalari, maestri della penna invitare i medici a non spaventare la gente e cronisti in ginocchio, ma in piedi ad applaudire il premier Mario Draghi come Fantozzi e Filini in sala mensa.
È inutile stracciarsi le vesti se il Corriere della Sera pubblica una lista di proscrizione di giornalisti e intellettuali considerati filo putiniani, ma poi non si perita di emendarsi perché risulta farlocca. Se l’informazione in questo Paese è così sensibile al padrone del vapore - del momento - non è certo un problema di oggi. Il fatto è che l’Italia è affascinata ontologicamente da questi scenari con quel misto di nemico del popolo e velata emergenza democratica.
E i giornalisti vendono ai lettori questa merce che però il più delle volte è avariata.
Mario Giordano ad esempio, li chiama “Tromboni” e sono quelli che hanno sempre la verità in tasca, i manovratori che salgono in cattedra salvo poi svelare le loro misere pudenda con un cambio d’opinione o una smentita, buona però per l’ospitata successiva.
Ed è così che il giornalista di Mediaset ha chiamato il suo ultimo libro, edito da Rizzoli, Tromboni appunto, sottotitolo: Tutte le bugie di chi ha sempre la verità in tasca. Del resto, in questi due anni, tra pandemia e guerra, di “fenomeni” impancati ne abbiamo visti: virostar che non hanno mai curato ma dalla battuta facile, un giorno catastrofisti, l’altro in ritirata, intellettuali proni al cambio d’opinione a seconda delle convenienze, ieri putiniani di ferro oggi anti russi da copione.
Giordano ha sviscerato in 258 pagine un catalogo piuttosto variegato dell’italica virtù del raccontare balle dicendoti la verità. E di tromboni se ne incontrano tanti nel campo delle scienze, dell’economia, della politica, della giustizia e dell’ambiente.
Ma anche nel mondo del giornalismo il piatto è piuttosto ricco e il direttore di Fuori dal Coro lo racconta alla fine con lo stile sferzante di chi ridendo, castigat mores.
Si incontrano così personaggi collodiani come i debunker, presunti controllori della notizia per conto di non si sa chi, che scivolano su bucce di banana piuttosto evidenti. C’è David Puente, ad esempio che nella sua qualifica di vicedirettore di Open, il giornale di Enrico Mentana, fa del fact cecking – altrui - una ragione di vita. Ebbene: scivola su un no vax che finisce all’ospedale perché aveva provato a fermare il vaccino con un laccio emostatico. Grande risalto, solo che la notizia era farlocca. Scuse? Mai, è una regola. Ma di scivoloni Open ne ha commessi anche altri. Come, ad esempio, quando ha scambiato per razzisti degli attori o ha spacciato degli studenti (vivi) di un liceo di Brooklyn per malati di covid (morti) per le strade.
Nonostante, queste perle, Puente è finito nella commissione governativa per il contrasto della fake news anti covid. Abbiamo visto in termini di informazione come siamo andati a finire.
Non che la prerogativa della topica sia solo degli allievi di Mentana.
C’è anche bufale.net, sito che si proclama custode del vero giornalismo fact cecker salvo però essere smaccatamente filo Pd. Certo siamo pur sempre nel Paese in cui un “maestro” di giornalismo come Gianni Riotta si inalbera in televisione perché c’è chi sostiene che nel primo articolo della Costituzione la “sovranità appartiene al popolo” oppure un’altra firma del Corriere come Federico Fubini, anch’egli in una qualche commissione europea di controllo delle bufale, viene rampognato dal suo stesso giornale perché nel 2018 aveva scritto che l’Ue aveva aperto una procedura di infrazione contro l’Italia. Cosa però che non si realizzò.
Ma siamo anche nel Paese in cui a Otto e mezzo, un altro sacro vate della penna, Beppe Severgnini rimprovera candido candido a un esterrefatto professor Crisanti che non bisogna sollevare dubbi sui vaccini perché «sennò la gente si spaventa: ci sono i congressi medici per questo, fateveli tra di voi». Con tromboni di questo tenore si comprende perché in Italia non si è potuto parlare serenamente di reazioni avverse da vaccino.
A proposito di Lilli Gruber. La conduttrice di Otto e mezzo non è che sia proprio la più adatta a insegnare indipendenza, soprattutto dopo che nell’agosto 2021, la mezzobusto è salita a bordo del nuovo yatch di Carlo De Benedetti. Prima di lei, anche Gad Lerner, un altro trombone col ditino puntato, aveva goduto dello stesso trattamento nella villa in Sardegna del magnate ed ex editore di Repubblica, oggi del Domani.
Certo, ma di che ci stupiamo? L’Italia è il Paese in cui il presidente del Consiglio Mario Draghi è stato applaudito a “spellamani” da un nutrito gruppo di giornalisti accreditati. L’occasione era la conferenza stampa con la L maiuscola, cioè quella di fine anno organizzata dall’Ordine dei giornalisti. Si tratta di un evento in cui il cronista, il vero cronista, che da manuale dovrebbe essere il cane da guardia della democrazia, ha finalmente l’occasione per sbranare la sua preda. È finita con uno dei colleghi accucciato che chiedeva a Draghi come ci si sentiva ad aver ricevuto i complimenti di tutto il mondo per come ha gestito la pandemia. E con gli altri che si sono alzati in piedi a battere le mani. In piedi, ma comunque in ginocchio. Ci mancavano solo Filini e Fantozzi a salmodiare in sala mensa: “È un bel presidente! È un santo! È un apostolo!”