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LA LETTERA

Giorgio Napolitano prepara l'addio?

Con la lettera pubblicata sulla prima pagina del Corriere, il presidente Giorgio Napolitano ventila la possibilità di fare un passo indietro. Sempre che regga il patto per le riforme Renzi-Berlusconi e la situazione si normalizzi.

Politica 19_04_2014
Giorgio Napolitano

«Confido, in sostanza, che stiano per realizzarsi condizioni di maggior sicurezza, nel cambiamento, per il nostro sistema politico-costituzionale, che mi consentano di prevedere un distacco comprensibile e costruttivo dalle responsabilità che un anno fa mi risolsi ad assumere entro chiari limiti di necessità istituzionale e di sostenibilità personale». E’ questo lo stralcio più significativo della lettera che ieri il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al Corriere della Sera, che l’ha pubblicata in prima pagina.

Cosa ha voluto intendere l’inquilino del Colle con quella frase? Un anno fa gli venne chiesto all’unanimità o quasi di restare in sella per completare la transizione riformatrice, oggi ricorda a tutti la provvisorietà di quell’impegno e la sua intenzione di preparare il terreno al successore.

Tornano a rincorrersi le voci di un suo passo indietro nel 2015, subito dopo il semestre italiano di presidenza europea, con il compimento dei 90 anni di età.

Nella lettera al Corriere il Capo dello Stato denuncia i bizantinismi della politica italiana e le strumentalizzazioni demagogiche dei partiti, ma torna ad auspicare un ampio concorso di forze attorno a un disegno di riforma dello Stato e della politica. Un’apertura neppure troppo velata all’ampia maggioranza che va da Renzi a Berlusconi passando per tutte le forze di centro moderato e che sta tentando in queste settimane di approvare la riforma del Senato, una nuova legge elettorale, la riduzione dei costi della politica e altri punti qualificanti del riassetto della vita dello Stato.

È escluso che questa fase si completi entro la fine di quest’anno, anche in considerazione degli adempimenti previsti dall’art.138 della Costituzione che, per modifiche della Carta, richiede tempi di deliberazione molto dilatati. Tuttavia, Napolitano potrebbe anche considerare concluso il suo mandato qualora si ponessero le basi per una stabilizzazione del quadro politico.

Se il patto Berlusconi-Renzi reggesse, si potrebbe eleggere l’anno prossimo, con un’ampia maggioranza parlamentare, la stessa delle riforme, un nuovo Presidente della Repubblica che realizzi fino in fondo la pacificazione, magari concedendo la grazia a Berlusconi e inaugurando quella Terza Repubblica tanto invocata negli ultimi mesi.

Che sia Gianni Letta o Emma Bonino o Pietro Grasso, il prossimo Capo dello Stato dovrà essere il garante di nuovi equilibri istituzionali e di una dialettica democratica fondata su un vero bipolarismo, traguardo raggiungibile solo se e quando si potrà mandare definitivamente in soffitta il “muro contro muro” tra berlusconiani e antiberlusconiani. Napolitano, per come si sono messe le cose, non può più adottare provvedimenti di clemenza nei riguardi del leader del centrodestra, ma magari il suo successore potrebbe farlo, tanto più se Berlusconi dimostrasse correttezza e rispetto delle regole durante il periodo dei servizi sociali e decidesse di uscire definitivamente dalla scena politica.

Un nuovo Presidente, legittimato da un Parlamento unito e autoriformato, potrebbe a quel punto sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Si chiuderebbe la fase dell’emergenza democratica e della delegittimazione della politica, con governi nominati e non eletti dal popolo, e si aprirebbe forse la strada a una normalizzazione del confronto tra centrodestra e centrosinistra.

Utopia? Approdo problematico ma possibile, a patto che il clima non si avveleni, magari con interventi a gamba tesa di una parte della magistratura o con una crescita smisurata delle forze antieuropee.

Nella lettera al Corriere, ma anche in recenti interviste, Napolitano si è speso molto per la difesa dell’Europa e ha evidenziato l’importanza del voto del 25 maggio. Un trionfo dei grillini e delle altre forze politiche che auspicano un ritorno alla sovranità nazionale sul piano monetario significherebbe una battuta d’arresto decisiva per le riforme in Italia e costringerebbe il Presidente Napolitano a nuovi interventi di stampo presidenzialista come quelli da lui ciclicamente operati negli ultimi anni.

Se nelle urne per Strasburgo il Movimento Cinque Stelle risultasse il secondo partito dopo il Pd, potrebbero accelerarsi due processi: la ricomposizione del centrodestra e il suo posizionarsi sempre più saldamente all’opposizione del governo Renzi, al fine di recuperare terreno sui grillini. Il tavolo delle riforme rischierebbe di saltare, nonostante il rinnovato impegno del premier e di Berlusconi, che dicono di volerlo portare avanti, a prescindere dalle sorti dell’esecutivo. Nella sciagurata ipotesi di una rottura della collaborazione tra le principali forze politiche sulle riforme, le carte nelle mani di Napolitano sarebbero ben poche e il caos istituzionale prenderebbe definitivamente il sopravvento. Che cosa resterebbe alla portata del Presidente? Un altro governo nominato da lui e senza legittimazione elettorale? Uno scioglimento anticipato delle Camere col rischio che non esca dalle urne una maggioranza chiara e definita? Interrogativi che al momento Napolitano non vuole neppure porsi, ma che potrebbero imporsi se il Movimento Cinque Stelle dovesse accreditarsi come principale forza di opposizione, rappresentativa di un’ampia fetta di elettorato.