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LA SENTENZA

Gioielliere condannato. Una sentenza destabilizzante

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Mario Roggero, gioielliere, è stato condannato dalla Corte d’Assise di Asti a 17 anni di carcere e a risarcire 480mila euro alle famiglie delle sue due vittime: i ladri che lo hanno rapinato. 

Editoriali 06_12_2023
Rapina

Mario Roggero, 68 anni, gioielliere, è stato condannato dalla Corte d’Assise di Asti a 17 anni di carcere e a risarcire 480mila euro alle famiglie delle sue due vittime (oltre al superstite ferito). Le vittime sono i rapinatori del suo negozio.

Nel 2021 erano entrati con uno stratagemma nella gioielleria di sua proprietà a Grinzane Cavour, lo avevano minacciato, uno con un coltello e un altro con una pistola (che poi si rivelerà essere finta). La figlia Paola è stata legata, con le mani dietro la schiena. La moglie è stata picchiata ed è stata tenuta sotto tiro. Mario aveva subito un’altra rapina violenta nel 2015. In quel caso i ladri gli avevano spaccato il naso. Cosa sia successo nella sua mente, in quel 28 aprile 2021, non lo sapremo mai, ma appena i nuovi rapinatori hanno finito di raccogliere la refurtiva e sono usciti nel parcheggio per prendere la loro auto, lui ha impugnato la pistola, li ha inseguiti e ne ha uccisi due su tre. Il terzo, ferito a una gamba, è stato arrestato poco dopo. La sentenza che lo condanna per omicidio volontario, gli riconosce le attenuanti generiche e la circostanza di aver agito dopo aver subito un’aggressione e un furto. Però, sono 17 anni di carcere e un risarcimento salatissimo ai famigliari delle vittime.

La difesa di Roggero aveva puntato all’assoluzione per legittima difesa. Ma le telecamere di sorveglianza mostrano chiaramente come il gioielliere abbia sparato quando i rapinatori erano già fuori dalla sua gioielleria e non costituivano più una minaccia immediata alla sua vita. Praticamente si è trattato di un atto che ha tutte le caratteristiche di un’esecuzione: l’aggredito ha consumato la sua vendetta a caldo, facendosi giustiziere senza attendere i tempi delle forze dell’ordine e al di fuori di ogni aula di tribunale. Di qui la condanna.

La sentenza destabilizza l’opinione pubblica per molti motivi e non sono mancate le critiche dal mondo della politica, prima fra tutte la reazione del vicepremier Matteo Salvini che ha dichiarato: «Piena solidarietà a un uomo di 68 anni che, dopo una vita di impegno e di sacrifici, ha difeso la propria vita e il proprio lavoro. A meritare il carcere dovrebbero essere altri, veri delinquenti, non persone come Mario». La sentenza è destabilizzante per una serie di asimmetrie. 17 anni di carcere sono un anno in più rispetto alla condanna di tanti altri omicidi volontari, fra cui Annamaria Franzoni, condannata per l’uccisione di suo figlio (giusto per citare un celeberrimo caso di cronaca nera). Notevole che il pubblico ministero avesse chiesto 14 anni, ma è stata la Corte di Assise a decidere di aumentare ancora la pena. Suona come una sentenza spiccata per dare l’esempio.

Per la rapina alla gioielleria di Grinzane Cavour, l’assalitore superstite (autista della banda) è stato condannato a 4 anni e 10 mesi di prigione. Per la ferita riportata, ha incassato, di provvisionale, 10mila euro.

Già, a proposito di risarcimenti: alle famiglie dei due rapinatori uccisi sono stati versati 295mila e 175mila euro, più i 10mila al sopravvissuto ferito, fanno 480mila euro che il rapinato deve pagare subito. Nessuno riporterà in vita i due uccisi, ma per dare l’idea della proporzione: alla famiglia di un morto sul lavoro lo Stato risarcisce un massimo di 14.500 euro. Per le famiglie dei rapinatori defunti, quel mezzo milione di euro compensa tutta la refurtiva possibile di cui non hanno potuto godere i loro cari.

L’esempio che la sentenza dà all’opinione pubblica è chiaro: nessuno può farsi giustizia da sé. Si deve attendere che agiscano le forze dell’ordine e poi si svolga un regolare processo. Ma il messaggio che viene percepito dalla gente comune è un altro: un gioielliere, vittima di più rapine, è stato duramente punito, i ladri sono stati trattati come vittime e le loro colpe, praticamente, sono cancellate. Il crimine rende? Parrebbe di sì. Si rischia la vita, ma la famiglia è di fatto assicurata dallo Stato: quei risarcimenti sono come una polizza sulla vita, ma a spese del rapinato. È difficile che un magistrato se ne renda conto, ma questo episodio va ad arricchire quel “mondo al contrario” di cui un generale molto contestato va scrivendo da questa estate.

La magistratura ha certamente ragione (come nella vecchia barzelletta sovietica: “non ci possiamo lamentare”), ma è sulle leggi che dobbiamo interrogarci seriamente. Perché è la legge, alla fine, che i giudici devono applicare. In altri paesi, il codice penale ritiene che la difesa sia sempre legittima e che il ladro possa essere ucciso anche mentre scappa. La legislazione italiana non riconosce tale diritto.

La vita conta certamente più della proprietà: se non si difende la vita, la proprietà non ha neppure senso. Però qui abbiamo il caso di una persona che ha visto minacciare, oltre alla proprietà, anche la vita, sua e di sua moglie. La minaccia era concreta, oltre ogni ragionevole dubbio nessuno poteva sapere che la pistola fosse finta (e un coltello era vero, però). Una persona che agisce sotto la minaccia delle armi ha il diritto di difendersi. Per il Catechismo della Chiesa Cattolica, ha anche il dovere di difendere le persone affidate alla sua tutela, come i famigliari minacciati. Non ha comunque il diritto di farsi giustizia da sé. Ma sarebbe assurdo, in quelle circostanze, non riconoscere attenuanti forti, fino alla parziale incapacità di intendere e di volere dovuta allo shock di una rapina a mano armata. Inoltre si deve sempre distinguere l’aggressore dall’aggredito, chi ha dato inizio a una storia di sangue da chi, pur non volendola, ci si è trovato immerso. Da questa condanna, invece, tale distinzione non è affatto chiara.