Giallo-verdi saldi al potere. Sempre che non litighino
I ballottaggi delle elezioni comunali, domenica, hanno dimostrato ancora una volta che i partiti dell'attuale governo possono anche governare per cinque anni senza problemi. Perché Pd e Forza Italia stanno scomparendo. Il maggior ostacolo del governo è il governo stesso. La tenuta dell'alleanza Lega-5S non è affatto scontata.
I risultati definitivi delle elezioni amministrative di domenica scorsa (turno di ballottaggio) danno ulteriori indicazioni sull’evoluzione della politica italiana e sui nuovi equilibri che si stanno determinando. E’ utile partire dal dato definitivo di affluenza alle urne, fermo al 47%, contro il 60% del primo turno. Significa che due giorni fa più di un avente diritto su due non è andato a votare, perché non si riconosceva in nessuna delle due alternative.
E’ la riprova che gli italiani non si sono ancora abituati a votare per il meno peggio e non sono molto attratti da opzioni che non rispecchino la propria scelta iniziale di voto espressa nelle urne al primo turno. La rappresentatività delle giunte elette con il ballottaggio risente dunque di questo deficit. Molte di queste amministrazioni sono state votate dalla metà della metà dei cittadini, quindi da un quarto della popolazione. Un punto da meditare da parte di chi propone di estendere il sistema del doppio turno anche su base nazionale per le elezioni politiche. Probabilmente alimenterebbe il “mercato delle vacche”, le negoziazioni occulte e i compromessi al ribasso.
Entrando più nel dettaglio dei risultati, desta clamore la disfatta del Pd, con il crollo di molte roccaforti rosse, in particolare Massa, Siena e Pisa, ma anche Ivrea e Imola. Nelle prime 4 prevale il centrodestra, mentre nella città dell’Autodromo, a due passi dalla rossa Bologna, vincono i Cinque Stelle, dopo 73 anni di dominio incontrastato di comunisti e postcomunisti. I pentastellati prevalgono in modo sorprendente anche ad Avellino, mentre perdono Ragusa. Il centrodestra appare sempre più a trazione leghista. Sembra che Forza Italia abbia esaurito la sua forza attrattiva e che sia in corso un lento ma costante processo di annessione azzurra da parte del Carroccio. Qualcuno dice che sia solo questione di tempo. D’altra parte se ne ha quotidiana conferma seguendo le diatribe interne agli azzurri, con un Berlusconi sempre più silente e i suoi colonnelli l’un contro l’altro armati. Ad aprire il processo al governatore ligure Giovanni Toti è bastata la vittoria, a Imperia, del “civico” Claudio Scajola, che ha corso contro tutti, anche contro il suo ex partito. Ha vinto contro il candidato di centrodestra appoggiato da Toti e ciò ha riaffermato la centralità della componente moderata di quell’area politica, dalla quale lo stesso vincitore Scajola proviene.
In casa Pd, invece, è notte fonda. Il reggente Maurizio Martina invoca nuove idee e nuove persone, l’ex ministro Carlo Calenda propone di andare oltre il Pd, mentre i renziani si defilano, visto che proprio in Toscana si sono registrati i tonfi più cocenti per i dem. Quanto alle forze di governo, la Lega ha registrato un vero e proprio exploit. Evidentemente i toni accesi usati da Matteo Salvini nelle ultime settimane, in particolare sui migranti, sono stati apprezzati dall’elettorato, anche da quello moderato, che evidentemente è stufo di soluzioni morbide e poco incisive e chiede una svolta su tanti fronti, non ultimo quello dell’immigrazione.
In alcune aree del Paese i bacini elettorali di Lega e Cinque Stelle appaiono sempre più promiscui. Un sondaggio rivela che oltre il 70% degli elettori pentastellati sarebbe favorevole alla chiusura dei porti per impedire l’attracco delle navi provenienti da Paesi stranieri con a bordo centinaia di migranti. Forse la base dei Cinque Stelle e quella della Lega sono molto più in sintonia di quanto non appaiano ultimamente i vertici dei due partiti, che su temi qualificanti del contratto di governo sembrano avere posizioni inconciliabili.
Ma l’agonia prolungata di Pd e Forza Italia mette i due alleati di governo in una posizione di forza. Se non litigano e trovano una sintesi attorno alla figura del premier Giuseppe Conte, possono governare indisturbati per l’intera legislatura. In qualunque momento, però, possono decidere di staccare la spina, magari trovando un pretesto qualsiasi, e tentare di andare a un voto anticipato che di fatto sancirebbe una polarizzazione degli elettori e un consolidamento dei due maggiori partiti, Lega e Cinque Stelle. In particolare Matteo Salvini sembra aver lanciato da tempo un’Opa sul centrodestra, nel tentativo di scalarlo e di diventarne il leader incontrastato per poi proporsi, al prossimo giro, già a febbraio 2019 secondo alcuni, come candidato premier. I Cinque Stelle sono attesi al banco di prova del reddito di cittadinanza, della riduzione degli sprechi e dei privilegi (vitalizi in primis) e della risoluzione di alcune importanti crisi aziendali come Alitalia e Ilva, che dipendono dal Ministero del lavoro e da quello dello Sviluppo economico, entrambi ricoperti dal leader grillino e vicepremier Luigi Di Maio.
Ora ci sarà qualche mese di tregua, ma già a novembre in Trentino Alto Adige e Basilicata si voterà per le regionali. Entrambe le regioni potrebbero dare ulteriore slancio all’avanzata giallo-verde.