Gesù, un prototipo di bellezza abbagliante
A prescindere dallo stile o dalla tecnica di volta in volta utilizzati, dall’XI secolo in poi anche nell’arte occidentale il volto di Cristo presenta sempre le stesse caratteristiche, prototipo della bellezza scaturita dall’incontro tra il divino e la dimensione umana. Un esempio superbo è il Pantocratore dell’abside del Duomo di Monreale dove la figura di Cristo si staglia in tutta la sua bellezza abbagliante.
Cristo Pantocratore, Duomo di Monreale (PA)
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. Dal Sal 23
«Chi ha visto me, ha visto il Padre», dice perentoriamente Gesù ai discepoli riuniti nel Cenacolo, rispondendo a Filippo che Gli ha appena chiesto di mostrare loro il Padre. In questa e molte altre occasioni raccontate dai Vangeli, sinottici e non, Gesù conferma di essere Lui, il Figlio, l’immagine del Dio invisibile che diventa realtà percepibile, manifestante al mondo la bellezza e la gloria dell’Eterno. Chi vuole conoscere Dio, deve, dunque, guardare Cristo, Sua icona.
Sono due le primordiali tipologie iconografiche relative alla figura di Gesù, ereditate entrambe dall’immaginario pagano cui i primi cristiani attinsero, conferendo all’antica simbologia un significato completamente rinnovato. Sulle pareti delle catacombe o nei rilievi dei primi sarcofagi è facile trovare Gesù, nuovo Apollo, nelle vesti di un adolescente imberbe e riccioluto, il Buon Pastore, la cui perenne giovinezza ha a che fare con la Sua “eterna preesistenza”.
Altrimenti, Cristo compare adulto, la barba folta e i capelli lunghi, maestoso come Giove, sovrano dell’universo. Assume quest’aspetto già dal IV secolo, nelle basiliche romane e costantiniane. Tale iconografia andrà, sempre più, consolidandosi grazie ai cristiani d’oriente che diffusero e replicarono la medesima fisionomia di Gesù, il Pantokrator, l’Onnipotente, destinata a diventare l’unico modello.
Una ragione c’è: questo “ritratto” sembra essere il più vicino al volto storico di Cristo, così come lo avevano descritto i primi testi cristiani e, soprattutto, così come appare in quelle immagini dette “acheropite” ovvero non dipinte da mani d’uomo. Una fra tutte, il Mandylion di Edessa, che alcuni studiosi identificano nella Sacra Sindone.
A prescindere dallo stile o dalla tecnica di volta in volta utilizzati, dall’ XI secolo in poi anche nell’arte occidentale il volto di Cristo presenta sempre le stesse caratteristiche, prototipo della bellezza scaturita dall’incontro tra il divino e la dimensione umana. Un esempio superbo è il Pantocrator dell’abside del Duomo di Monreale, che veste, infatti, di rosso, il colore dei re, e di azzurro, indice di divinità.
Eseguita tra il XII e la metà del secolo successivo, da maestranze sicule e veneziane di scuola bizantina, la figura di Gesù, a mezzo busto, occupa quasi interamente la superficie musiva del catino absidale, elemento architettonico che rappresenta simbolicamente il cielo. Il Suo sguardo, leggermente rivolto a destra, è severo e molto umano. Tessere rosa e ocra disegnano l’incarnato cercando di definire le linee anatomiche del volto, incorniciato da una chioma fluida che ricade sulle spalle. La folta barba conferisce all’uomo – Dio un aspetto decisamente autorevole.
Il Pantocratore si staglia su tessere dorate disposte in modo concentrico per creare un alone luminoso. Citando Giovanni, così recita, infatti, la pagina del libro che tiene aperto nella mano sinistra: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.”
La Sua è, dunque, una bellezza abbagliante, “un abisso di luce” diceva Kafka che si ostinava a non fissare il volto di Cristo, chiudendo gli occhi “per non precipitarvi”. Esattamente l’opposto di quello che il mosaico di Monreale, e una miriade di tante opere d’arte di analogo soggetto, ci invitano a fare.