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Gesù, la Vergine e i monaci di bianco vestiti

Un palazzo medievale in mattoni rossi, con tanto di torre merlata e ponte levatoio, è il punto di accesso all’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, sede dell’abate generale della Congregazione dei Benedettini di Monte Oliveto. Il complesso, che domina le Crete senesi,  è uno dei più importanti monumenti religiosi toscani. 

Cultura 12_09_2015
L'affresco all'interno dell'abbazia di Monte Oliveto Maggiore

Un palazzo medievale in mattoni rossi, con tanto di torre merlata e ponte levatoio, è il punto di accesso all’abbazia di Monte Oliveto Maggiore, sede dell’abate generale della Congregazione dei Benedettini di Monte Oliveto. Il complesso, che domina le lunari Crete senesi, immerso in una selva di pini, cipressi, querce e olivi, è uno dei più importanti monumenti religiosi toscani. 

La sua storia inizia nel marzo del 1319 quando Giovanni dei Tolomei e i suoi due fraterni amici Patrizio Patrizi e Ambrogio Piccolomini, decisero di abbandonare una vita di agi per intraprendere un percorso ascetico.  In seguito ad una visione di Giovanni, divenuto nel frattempo Bernardo in onore del Santo di Clairvaux, cui erano apparsi, in cima a una scala, Gesù, la Vergine e gli angeli che accoglievano una moltitudine di monaci di bianco vestiti, i tre amici fondarono una congregazione sotto la regola benedettina, riconosciuta da Papa Clemente VI nel 1344. 

Un rilievo di scuola robbiana con la Madonna e il Bambino, posto sopra la porta d’ingresso, rivela, fin sulla soglia, la profonda devozione mariana dell’Ordine. Sul luogo dell’apparizione, tra il 1400 e il 1417, venne eretta la chiesa abbaziale, ovvero la Cattedrale della Natività di Maria di Monte Oliveto Maggiore. La chiara struttura gotica, trasfigurata all’interno dal sobrio rifacimento barocco, resta leggibile all’esterno dell’edificio, anch’esso in mattoni rossi, con facciata a capanna su cui si aprono il portale cuspidato e il rosone circolare.  I fianchi sono supportati da contrafforti mentre un alto campanile, con cuspide conica, svetta all’altezza dell’abside. 

L’unica, ampia, navata interna, suddivisa in tre campate, è coperta da volte a botte come pure il transetto, al centro del quale si ammira una tela cinquecentesca con l’Assunzione di Maria di Jacopo Ligozzi.  Allo stesso autore appartiene la tela dell’altare maggiore che rappresenta la Natività della Vergine.  Di particolare pregio è, senz’altro, il coro ligneo intagliato da Giovanni da Verona nei primissimi anni del Cinquecento, che presenta due ordini di stalli intarsiati con grande dovizia di motivi: strumenti musicali, uccelli di ogni colore, vasi, profili di città, paesaggi.  Nella cripta quattrocentesca sottostante il presbiterio, si officiano le celebrazioni nel periodo invernale. 

Dalla chiesa si accede al chiostro grande, cuore del monastero, che l’abate generale Domenico Airoldi volle fare affrescare alla fine del Quattrocento, affidando il compito al cortonese Luca Signorelli, grande interprete del Rinascimento italiano. Il ciclo, che rappresenta la più completa opera pittorica sulle Storie di San Benedetto, come le racconta San Gregorio Magno, venne teatralmente completato dal Sodoma nel 1505. Si tratta, complessivamente, di trentacinque lunette che si leggono dall’ingresso orientale della chiesa procedendo verso destra. Fedele alla millenaria tradizione benedettina, ancora oggi la comunità monastica accoglie chiunque desideri vivere un’esperienza di autentica spiritualità e partecipare ai momenti liturgici che scandiscono la giornata dei monaci, nella moderna foresteria.