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SHIREEN ABU AKLEH

Gerusalemme, violenza al funerale. La condanna delle Chiese di Terra Santa

Una scena di violenza, a Gerusalemme, ha lasciato il mondo attonito: manganellate della polizia israeliana sul funerale della famosa giornalista palestinese, cattolica, Shireen Abu Akleh, uccisa a Jenin l'11 maggio. Le Chiese di Terra Santa condannano la violazione della libertà religiosa.

Libertà religiosa 18_05_2022
Mons. Pizzaballa alla conferenza stampa del San Giuseppe

Una scena di violenza, a Gerusalemme, ha lasciato il mondo attonito: manganellate della polizia israeliana sul funerale della famosa giornalista palestinese, cattolica, Shireen Abu Akleh, uccisa durante uno scontro a fuoco a Jenin, l’11 marzo scorso. Già la morte della giornalista aveva provocato molto scalpore in Medio Oriente. Era un volto molto popolare nelle Tv di tutto il mondo arabo. Ma le manganellate al funerale hanno provocato un’indignazione universale.

Il funerale si stava svolgendo il 17 maggio nel cortile dell’ospedale San Giuseppe di Gerusalemme, detto “ospedale francese” dove era custodita la salma della giornalista. I video mostrano una carica della polizia contro una folla di palestinesi che partecipava al corteo funebre. Le manganellate sono arrivate anche ai portatori della bara che, a stento, sono riusciti a non farla cadere a terra. Le telecamere di sorveglianza dell’ospedale hanno ripreso gli agenti che facevano irruzione anche all’interno dell’istituto provocando il panico tra i pazienti. Gli scontri hanno provocato, in tutto, 13 feriti tra i palestinesi.

In un momento di unità di tutte le Chiese di Terra Santa, al San Giuseppe è stata indetta una conferenza stampa congiunta del patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, con il patriarca greco-ortodosso Theophilos III, Dobromir Jatzal (vicario della Custodia di Terra Santa), Yaser Al-Ayyash, vescovo greco-cattolico di Gerusalemme e i rappresentanti delle Chiese copta, maronita e protestante. Unanime la condanna. «Entrando in una struttura sanitaria cristiana, la polizia ha mancato di rispetto alla Chiesa, all’istituto in questione e alla memoria della defunta. La polizia israeliana ha fatto ricorso a un uso sproporzionato della forza. Il che costituisce una grave violazione delle norme e dei regolamenti internazionali, compreso il diritto umano fondamentale alla libertà di religione, che deve essere rispettato anche in uno spazio pubblico», ha dichiarato Pizzaballa, leggendo un comunicato scritto a nome dell’ospedale e delle varie Chiese di Terra Santa.

«L’Ospedale San Giuseppe – prosegue il comunicato congiunto - è sempre stato fiero d’essere un luogo di incontro e di cura per tutti, indipendentemente dalle appartenenze religiose o culturali, e intende continuare ad esserlo. Quanto accaduto venerdì scorso ha ferito profondamente non solo la comunità cristiana, le suore di San Giuseppe dell’Apparizione, titolari dell’Ospedale, e l’intero personale ospedaliero, ma anche tutti coloro che in quel luogo hanno trovato e continuano a trovare pace e ospitalità. Le suore e il personale dell’ospedale San Giuseppe manterranno il loro impegno ad essere un luogo di guarigione. Il tragico episodio di venerdì scorso rende questo impegno più forte che mai».

Come è stato possibile che la polizia israeliana abbia commesso un atto di violenza così irrispettoso, creando uno scandalo internazionale? Secondo il comunicato della polizia: «Trecento agitatori sono arrivati all’ospedale San Giuseppe di Gerusalemme e hanno impedito ai membri della famiglia di caricare la bara sul carro funebre per recarsi al cimitero. Durante i tafferugli indotti dalla folla, sono state lanciate bottiglie di vetro e altri oggetti, ferendo sia le persone in lutto sia gli agenti di polizia». La polizia premette che il percorso e le modalità del funerale fossero state concordate con la famiglia della giornalista: carro funebre, niente slogan politici, niente bandiere palestinesi.

Ma la famiglia nega che vi siano state tensioni sul carro funebre e che vi fosse un reale coordinamento con le autorità. «Non c’è stato alcun coordinamento», ha dichiarato Lina Abu Akleh, nipote della giornalista, a margine della conferenza stampa. Secondo il fratello, Anton Abu Akleh, intervistato dal The Times of Israel: «Mio padre li ha informati sugli accordi presi e sul percorso che avevamo pianificato di percorrere tra la Porta di Giaffa e il Monte Sion. La polizia aveva chiesto che non si sventolassero bandiere e non si cantassero slogan, oltre a una stima del numero dei partecipanti». Ma: «Ho replicato che non avrei potuto esercitare un simile controllo sul funerale».

Il reportage dei due inviati del Washington Post, Steve Hendrix e Sufian Taha, conferma però anche la versione della polizia. «A mezzogiorno, una folla di centinaia di persone si è radunata all’ingresso dell’ospedale San Giuseppe, a Gerusalemme Est, dove il corpo di Abu Akleh era custodito. Nei minuti precedenti la processione, decine di uomini musulmani si sono allineati per le preghiere del venerdì, inginocchiandosi nel parcheggio. Dietro di loro, due convenuti portavano grandi croci floreali. Allora la folla si è radunata, sventolando bandiere palestinesi e qualcuno inneggiava “Dio è grande”. “da Gerusalemme a Jenin, Dio benedica la tua anima, Shireen”. Ma un gruppo di uomini, nella folla, ha impedito a un carro funebre di fare retromarcia fino alla porta dell’ospedale, dicendo che avrebbe voluto portare la bara a spalla. Lo stallo ha fatto sì che il fratello della Akleh, seduto sulle spalle di un uomo, supplicasse la folla di lasciar passare il carro funebre: “In nome di Dio, lasciatela entrare nel carro”. “Sulle spalle! Sulle spalle!” gridava la gente e picchiava sul carro funebre con i bastoni, mandandolo via per la seconda volta». Il resto lo abbiamo visto: la bara è stata portata a spalla. Ma a questo punto la polizia israeliana ha perso la pazienza. In ogni caso si è trattato di un duro colpo all’immagine di Israele nel mondo e ha provocato una crisi nei rapporti fra lo Stato ebraico e il Vaticano.

Della morte di Shireen Abu Akleh, non si conosce l’assassino. La giornalista aveva il corpetto anti-proiettile con la scritta “Press”. Non può essere stata scambiata per un militare (se a ucciderla sono stati i jihadisti) o per un terrorista (se sono stati gli israeliani). Ma chi ha sparato? Per i palestinesi non ci sono dubbi: sono stati gli israeliani ed hanno deliberatamente mirato alla giornalista. In un primo reportage di Al Jazeera si diceva anche che i palestinesi, in quel momento, non stessero sparando. Ma la notizia è stata smentita dalla stessa Jihad Islamica. La giornalista si è trovata in mezzo ad uno scontro a fuoco. Israele ha chiesto un’indagine congiunta. L’Autorità Palestinese ha però declinato l’invito.