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MEDIO ORIENTE

Gerusalemme insanguinata un odio primordiale

Massacro palestinese in una sinagoga: quattro ebrei uccisi a sangue freddo all'arma bianca. Mai si era vista una violenza così gratuita e un odio primordiale, accanirsi soprattutto contro i simboli religiosi. È il frutto del tramonto della politica, ormai incapace di mediare.

Esteri 19_11_2014
Dopo l'attacco nella sinagoga

Con le asce e i coltelli contro un gruppo di rabbini dentro una sinagoga. Rimasti a terra in un lago di sangue, ancora avvolti nel tallit, il manto della preghiera. È una Gerusalemme dove l'odio ormai si è trasformato in un corpo a corpo quella che l'attentato di ieri mattina nel quartiere di Nar Hof ci ha posto di nuovo davanti agli occhi. Non ha più il volto naive della rivolta delle pietre la violenza di queste giornate tragiche a Gerusalemme. Non ha nemmeno il volto macabro degli uomini bomba che si facevano saltare in aria sugli autobus. È come se - sprofondando di un ulteriore girone più profondo del suo abisso - l'odio fosse ritornato a uno stadio primordiale: quello degli assalti all'arma bianca.

Non è la solita storia quella che passa sugli schermi dei nostri televisori. C'è qualcosa di diverso nel copione che ormai da quattro mesi - dal giorno dell'uccisione dei tre ragazzi della yeshivà e della reazione altrettanto omicida ai danni di un loro coetaneo palestinese - Gerusalemme sta vivendo. Lontano dai riflettori del mondo nel pericolosissimo gioco degli opposti estremismi il rancore è continuato a crescere: non è passato praticamente giorno senza uno scontro fisico, una provocazione, una dichiarazione infuocata, un tentativo di colpo di mano travestito da licenza edilizia. Un gioco al massacro di fronte al quale le diplomazie di mezzo mondo non sanno più fare altro che ripetere un disco rotto di parole vuote: negoziato, moderazione, due Stati... Parole ripetute a leadership altrettanto in crisi: proprio l'altra sera - subito prima della tragica mattinata di Nar Hof - il governo Netanyahu era sull'orlo di cadere con Israele avviato verso elezioni anticipate; quanto poi Abu Mazen sia avvertito come un leader poco credibile dalla piazza palestinese non c'è nemmeno più bisogno di ricordarlo; ma anche Hamas a Gaza non è che stia poi molto meglio. Che cosa succede - però - quando in un conflitto svanisce la politica? Resta solo il corpo a corpo. Una forma di violenza del tutto fuori controllo. Facile da cavalcare - come ha puntualmente fatto ieri Hamas – e anche da stigmatizzare con parole di fuoco - come ha fatto Netanyahu. Ma la verità è che oggi nessuno dei due a Gerusalemme è in grado né di governarla né di fermarla.

Ed è una violenza che ci colpisce in maniera particolare per il suo accanirsi sui simboli religiosi. Come accadde nel 2000 è stata ancora una volta la questione della «moschea di al Aqsa minacciata» ad infiammare in queste settimane polveri già abbondantemente preparate a prendere fuoco. Con quello pomposamente presentato come «il primo governo laico» della storia recente di Israele - il governo nato tenendo fuori i partiti religiosi e in grado di imporre il servizio militare agli haredim - alla fine rivelatosi più debole dei precedenti nei confronti di quei coloni che usano l'ebraismo per fini politici e pretendono di fare ciò che un ultra-ortodosso non farebbe mai: andare a pregare sulla Spianata delle Moschee dicendo pubblicamente che un giorno lì ricostruiranno il Tempio. Adesso Netanyahu punta il dito contro Abu Mazen, dicendo che è stato lui a incitare alla violenza; ma che cosa ha fatto il premier israeliano in queste settimane per fermare quei suoi ministri che giocavano con il fuoco almeno quanto il presidente palestinese?

Abbiamo tutti troppo cara Gerusalemme per lasciare che si autodistrugga in questa violenza senza fine. C'è un solo modo, però, per fermarla: aiutarla a ripartire dal suo carattere religioso. Quello vero. Che non è la follia di chi nega agli ebrei il loro legame unico con questa terra. Ma nemmeno quella di chi sa solo ripetere lo slogan muscoloso «della capitale unica e indivisibile», nascondendo il dato di fatto che un terzo dei suoi abitanti sono arabi. Ci sarebbe bisogno di realismo oggi a Gerusalemme. Ma è proprio ciò che manca del tutto ai suoi politici, da una parte come dall'altra. Ed è quanto invece proprio le religioni potrebbero indicarle come strada per uscire dal corpo a corpo: la via di un'accettazione reciproca, con un rispetto vero dei luoghi e dell'identità dell'altro. Tutti citano sempre gli scontri tra religiosi, ma Gerusalemme è anche l'unico posto al mondo dove la Via Crucis sulla Via Dolorosa ogni venerdì comincia nel cortile di una scuola coranica. E dove anche ieri sera alcuni rabbini e alcuni imam pronunciavano insieme parole di condanna delle violenze. La storia di Gerusalemme è piena non solo di tragedie, ma anche di esempi concreti di convivenza resi possibili dagli uomini delle diverse religioni. Dopo lo scempio dei tallit insanguinati avrà il coraggio di ripartire da qui?