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AL CINEMA

Genitori che salvano i figli, due film per riscoprire la famiglia

Due film ci immergono negli affetti profondi della famiglia, quando irrompono drammi che la travolgono. La madre che cerca di fare l'impossibile per salvare marito e figli dal massacro di Srebrenica in Quo vadis, Aida? e il padre che difende la figlia finita in carcere in Francia in La ragazza di Stillwater sono esempi di maternità e paternità autentici. 

Cultura 25_10_2021
Srebrenica, memoriale del genocidio

Due nuove pellicole, attualmente proiettate nei cinema finalmente riaperti, ci immergono negli affetti profondi della famiglia, quando irrompono drammi sociali o personali che la sconvolgono o addirittura la travolgono.

La prima, Quo vadis, Aida? (in concorso a Venezia nel 2020 e ora approdata nelle sale italiane), della regista di Sarajevo Jasmila Zbanic, ci scaraventa con rigoroso realismo nella tragedia di Srebrenica, 25 anni dopo. Nel luglio del 1995 le truppe serbe del generale Ratko Mladić, definito “il macellaio dei Balcani” (condannato per crimini di guerra e genocidio dal tribunale internazionale dell’Aja, sconta attualmente lergastolo) massacrarono senza pietà più di ottomila bosniaci musulmani, fuggiti dalla loro cittadina per chiedere protezione al contingente dell’Onu, presente sul territorio. Tragicamente i caschi blu olandesi, responsabili della tutela dei civili in quella che era stata dichiarata “zona sicura”, non garantirono affatto un rifugio sicuro, ma assistettero imbelli e impotenti alle menzogne, alle prepotenze di Mladić e infine allo sterminio degli abitanti di Srebrenica. Non si tratta in realtà di un film “contro l’Onu”, come precisa la regista, anche se la fragilità e l’inettitudine del Palazzo di Vetro, soprattutto ai suoi vertici, emergono in modo imbarazzante in questa pagina vergognosa e tragica della storia delle Nazioni Unite.

Il terribile episodio della recente guerra nell’ex Jugoslavia viene ripercorso attraverso gli occhi di Aida (un’ottima Jasna Duricic) che lotta disperatamente per la sopravvivenza della sua famiglia. La donna, un’insegnante di mezza età che lavora come interprete per l’Onu, corre trafelata nei corridoi della base militare olandese per difendere l’incolumità dei suoi concittadini, ma soprattutto dei suoi familiari: il marito e i  due figli che adora. Sono fuggiti dalla spietata occupazione serba e ora cercano rifugio nel recinto delle Nazioni Unite. L’interprete fa di tutto per salvare i suoi compaesani, quando gli invasori si presentano con arroganza nella zona presidiata dai caschi blu, ma di fronte alla pavidità e inettitudine dei soldati che dovrebbero tutelare i più deboli, cerca di nascondere almeno i suoi cari, facendo leva su tutte le sue conoscenze e i suoi piccoli privilegi. Non arretra nemmeno davanti allo sguardo stranito dei suoi conoscenti e amici, che si vedono abbandonati e scavalcati dai familiari di Aida, che vuole trovare a tutti costi una via di salvezza per i suoi familiari.

Il dramma si consuma in tutto il suo gelido orrore: 8372 maschi bosniaci di tutte le età, anche giovanissimi, vengono trucidati in nome di una delirante pulizia etnica. L’interprete dell’Onu si salva, protetta dalla sua attività lavorativa, senza però riuscire a portare con sé marito e figli. Aida, che era disposta a tutto pur di sottrarli alla morte, si ritroverà nel dopoguerra a convivere con i vincitori che le hanno strappato i suoi cari. Ma forse adesso più che mai, quando tutto è perduto, l’ostinata donna diventa simbolo del coraggio e dell’amore di tutte le madri,  mogli e  sorelle che subirono quell’orrore: nelle scene finali del film la vediamo di nuovo nel suo ruolo di maestra, che  insegna la conoscenza e la bellezza ai figli di coloro che le hanno portato via tutto, casa e famiglia: la speranza dunque è l’unica  parola rimasta per ricostruire.

È un padre il protagonista del secondo film, La ragazza di Stillwater di Tom McCarthy, che vuole salvare la figlia, dopo averla abbandonata per anni. Presentata fuori concorso al Festival di Cannes 2021, la pellicola ha come protagonista un convincente Matt Damon, pienamente nella parte: interpreta magistralmente il dramma di Bill Baker, un trivellatore petrolifero dell’Oklahoma. L’uomo è deciso a riscattare assenze ed errori di gioventù aiutando la figlia Allison detenuta nel carcere di Marsiglia, dove deve scontare nove anni con l’accusa di aver ucciso la propria coinquilina, ai tempi dei suoi studi in Francia. Fedele almeno alle abituali visite in prigione alla figlia, di cui ha ben poco seguito l’infanzia, Bill spera di poter aiutare la ragazza a dimostrare la propria innocenza, seguendo una nuova pista in un caso che all’epoca fece scalpore, viziato com’era da facili pregiudizi. Uomo religioso (prega sempre prima di mangiare e in particolare proprio per la figlia), si ferma  in una città e in un Paese a lui sconosciuti, di cui non capisce nemmeno la lingua, e combatte senza sosta per scagionare la giovane con l’aiuto di incontri provvidenziali: un’attrice di teatro anticonvenzionale e la sua simpatica bambina, Maya, cui si affeziona profondamente. Con loro entra in un nuovo mondo, ben più complesso del suo elementare modello americano, in cui riscopre il valore della paternità, che in fondo non ha mai vissuto nel suo passato di padre alcolizzato e assente. 

Tormentato dai sensi di colpa per le scelte sbagliate dei tempi trascorsi, Bill ritrova speranza e capacità di amare nei nuovi incontri francesi. È proprio l’affetto per la piccola Maya, la figlia di 9 anni dell’attrice Virginie (Camille Cottin), che gli permette di recuperare gradualmente un dialogo vero con la sua Allison, che gli rimprovera gli anni di incomunicabilità e l’inaffidabilità. Si apre così una seconda possibilità per l’operaio americano: ricucire un rapporto incrinato, attraverso un percorso struggente di ascolto e perdono. Potrà cosi tornare nella sua Stillwater in Oklahoma insieme con una figlia ritrovata, in un mondo tutto  da riscoprire, con occhi nuovi. La riconciliazione del padre con la figlia non annulla gli errori, ma consente di  accettarli in un orizzonte di amore e di speranza.

Che cosa ci è particolarmente piaciuto dei due nuovi film? Proprio la riscoperta del valore della maternità e della paternità autentici, perché capaci di superare colpe e omissioni in uno slancio di apertura verso un cambiamento, che salva la vita nostra e di coloro a cui siamo legati da profondo affetto.