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COSTA D'AVORIO

Gbagbo assolto, flop della Corte Penale Internazionale

Si conclude con un'assoluzione il primo processo della Corte Penale Internazionale (Cpi) a un ex capo di Stato africano: Laurent Gbagbo, ex presidente della Costa d'Avorio. Con la sua assoluzione si incrina ancor di più l'immagine della Cpi, costosa ma lenta e incapace di portare alla sbarra i criminali veri.

Esteri 16_01_2019
Costa d'Avorio, sostenitori di Gbagbo festeggiano l'assoluzione

La Corte penale internazionale ha assolto l’ex presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, dall’accusa di aver commesso crimini contro l’umanità nel corso della crisi post elettorale del 2010-2011, conclusasi con un bilancio di 3.000 morti e mezzo milione di profughi.

Le elezioni che avrebbero dovuto concludere il processo di pacificazione e riunificazione del paese dal 2002 diviso a metà – la parte settentrionale in mano a milizie antigovernative, quella meridionale controllata dal governo – avevano invece aperto una nuova crisi perché i due principali candidati, il presidente in carica Gbagbo e lo sfidante Alassane Ouattara, rivendicavano entrambi la vittoria. La Commissione elettorale, notoriamente schierata con lo sfidante, alla fine ha proclamato vincitore Ouattara, ma superando di molto i termini di tempo previsti dalla legge. Secondo la costituzione, a quel punto spettava al Consiglio costituzionale, organo supremo, pronunciarsi. Vicino al presidente, il Consiglio ha dato la vittoria a Gbagbo. Il paese è di nuovo precipitato nella guerra civile. Con il pretesto di proteggere la popolazione, ma in realtà per sostenere Ouattara, è intervenuta militarmente la Francia. Il bombardamento aereo della residenza presidenziale e la cattura di Gbagbo hanno messo fine alla crisi, ma non ai dubbi sull’ esito elettorale. Sconfitto, Gbagbo è stato consegnato alla Cpi per essere processato. Ouattara governa tuttora, avendo vinto le successive presidenziali del 2015.

L’assoluzione di Gbagbo dopo un processo durato più di sette anni solleva nuovi dubbi sull’utilità di una istituzione, la Cpi, che appare sempre più inconcludente, nonostante il suo costo crescente per i paesi firmatari: dai 20 milioni di dollari all’anno iniziali a oltre 170 milioni di dollari. La sua competenza sono i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, i casi di genocidio e i crimini di aggressione. 

Le 300 organizzazioni non governative che hanno condotto la campagna per la sua istituzione, con un contributo importante del Partito Radicale italiano, l’hanno presentata al mondo nel 2002 come un indispensabile, decisivo strumento di giustizia internazionale. Ma, da quando è operativa, ha esaminato 28 casi, concludendone finora solo 6, anche perché, non disponendo di proprie forze di polizia, per effettuare un arresto e anche per giudicare un caso dipende dalla collaborazione degli Stati membri, nei quali il reato è stato commesso o di cui sono cittadini gli imputati, non sempre disposti a farlo.

Laurent Gbagbo, il primo capo di Stato a essere giudicato dalla Cpi, è stato consegnato alla corte solo perché è stato sconfitto. Dopo di lui ne sono stati incriminati altri due, ma non sono stati condannati e neanche hanno perso potere e cariche per il fatto di essere oggetto di mandato di cattura. Omar Hassan al Bashir, presidente del Sudan dal 1993, ha vinto le elezioni che lo hanno riconfermato nel 2010 e nel 2015 anche se nel 2009 la Cpi ha emesso un primo mandato internazionale di cattura contro di lui accusandolo di crimini di guerra e contro l’umanità commessi nella regione del Darfur, e nel 2010 ne ha emesso un altro, aggiungendo alle precedenti l’accusa di genocidio. Non solo al Bashir è stato rieletto, ma ha soggiornato più volte in Paesi che hanno aderito alla Cpi senza essere arrestato. Addirittura nel 2012 ha partecipato in Ciad alle nozze del presidente di quel paese, Idriss Déby Itno, seduto allo stesso tavolo di Ibrahim Gambari che all’epoca era capo dell’Unamid, proprio la missione di peacekeeping istituita nel 2007 dall’ONU e dall’Unione Africana per proteggere le popolazioni del Darfur e consentirvi assistenza umanitaria. Fatto ancora più clamoroso, nel giugno del 2015 al Bashir si è recato in Sudafrica per partecipare a Johannesburg a un vertice dell’Unione Africana. La Cpi ha sollecitato il suo arresto, un tribunale sudafricano ha ordinato il suo fermo e tuttavia il governo ha permesso che lasciasse il paese.

Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta nel 2009 è stato accusato insieme a William Ruto di essere il mandante e l’istigatore di crimini contro l’umanità commessi dopo le contestate elezioni del 2007 seguite da mesi di scontri etnici cruenti, con oltre 1.200 morti e circa 600.000 sfollati. Kenyatta è stato poi dichiarato vincitore, riconfermato nel 2013, con Ruto vicepresidente. Entrambi i casi sono stati dichiarati archiviati, rispettivamente nel 2014 e nel 2016, così come quello di un imputato minore, Joshua arap Sang, chiuso anch’esso nel 2016. La formula di archiviazione specifica che i casi sono chiusi, “a meno che e finché l’accusa non presenterà nuove prove”, un’eventualità del tutto improbabile almeno finché Kenyatta sarà presidente. È stato infatti il suo governo a mettere in difficoltà la Corte rifiutando di collaborare. Ha sempre ignorato la reiterata richiesta della Cpi di consegnare il materiale necessario alle indagini e ha omesso di proteggere i testimoni a carico che, minacciati e sottoposti a intimidazioni (si sospetta da parte di membri del governo kenyano stesso), uno dopo l’altro hanno ritrattato.  

“Ogni accusa che cade – ha commentato Mark Kersten, docente canadese di relazioni internazionali, autore di saggi sulla Cpi – danneggia la percezione della Corte come efficace istituzione di giustizia internazionale. Molti temono che la Cpi finisca per sembrare una istituzione in grado di perseguire con successo solo dei ribelli”. E neanche di tutti se si pensa che alcuni sono liberi e continuano a combattere.

Di sicuro agli occhi degli africani la Cpi non solo è tutto sommato innocua, perché incapace di imporsi, ma è anche una istituzione parziale, al servizio dell’Occidente e delle sue mire “neocolonialiste”, usata unicamente per cercare di colpire i leader africani. Tutti i casi finora esaminati dalla Cpi, per un totale di 45 imputati sono in effetti africani.