Gaza, piccoli passi verso il cessate il fuoco
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Circola una bozza di accordo che prevede un processo di stabilizzazione in tre fasi. Ma intanto si infiamma la situazione in Cisgiordania. E un sondaggio rivela che la maggioranza della popolazione israeliana vuole il cessate il fuoco ed elezioni.
Prosegue a ritmo serrato il braccio di ferro tra Hamas e Israele, mentre i negoziatori, in modo particolare il Segretario di Stato americano Antony Blinken, fanno la spola tra Tel Aviv e il Cairo per trovare un punto d'incontro e pronunciare la parola fine a questa estenuante guerra. Lo scoglio da superare è quello del cessate il fuoco definitivo, anche se nelle ultime ore, sembra siano state raggiunte delle parziali intese che soddisfano le parti, in merito al graduale ritiro delle truppe israeliane da Gaza, e soprattutto al ritorno degli sfollati nel nord della Striscia.
Da ieri circola una bozza di accordo che prevede un processo di stabilizzazione in tre fasi, di quaranta giorni ciascuna, con il cessate il fuoco temporaneo. Nella prima fase è prevista la liberazione di 30 ostaggi israeliani e il rilascio di detenuti palestinesi con pene lievi. Nella seconda fase, si prospetta la scarcerazione di altri ostaggi in cambio di prigionieri, e infine, nell’ultima avverrebbe lo scambio delle spoglie degli israeliani uccisi nella Striscia, mentre Israele restituirebbe, in cambio, i corpi dei miliziani palestinesi. Sempre nella bozza si accenna inoltre alla fase della ricostruzione, che dovrebbe avvenire nell’arco di cinque anni.
Benyamin Netanyahu, da parte sua, però, ha ribadito, contro il parere dei militari, la decisione di entrare a Rafah, città del sud della Striscia «con o senza accordo» con Hamas. E, parlando ad una cerimonia in memoria dei soldati caduti ha dichiarato: «Siamo decisi a raggiungere la vittoria completa e faremo tutto ciò che è necessario per vincere e sconfiggere il nostro nemico, anche a Rafah». Parole pesanti quelle del premier Natanyahu, pronunciate, probabilmente, per placare le ire delle frange più estremiste della coalizione di governo, a partire dal leader di Potere ebraico, Itamar Ben-Gvir, passando per il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che ha condannato l'azione del governo, colpevole, secondo quest’ultimo, di condurre «trattative con coloro che non dovrebbero più esistere».
Il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha risposto "diplomaticamente" e in modo indiretto al primo ministro israeliano in questi termini: «Stiamo studiando la proposta di tregua con spirito positivo. Una nostra delegazione sarà al Cairo nei prossimi giorni». E al Cairo ci sarà anche una delegazione israeliana guidata dai vertici del Mossad e dello Shin Bet. L'ex capo del Dipartimento politico e della sicurezza del ministero della Difesa, Amos Gilad, ha messo in guardia il governo Netanyahu che un'eventuale invasione di Rafah metterebbe in serio pericolo la vita degli ostaggi attualmente detenuti nella Striscia. Gilad ha anche dichiarato: «Se entriamo a Rafah senza coordinamento con gli egiziani e gli americani, non forniremo una soluzione al nord (fronte libanese, ndr), e ci sarà una guerra a lungo termine che si estenderà a tutto Israele».
Che gli israeliani vogliano un cessate il fuoco lo rivela chiaramente un recente sondaggio: il 51% degli elettori di centrodestra e di destra è favorevole alla firma dell'accordo per il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas, anche a rischio di sciogliere la coalizione e andare in tempi brevi alle urne. Il sondaggio, che è stato condotto dalla Fondazione Berl Katznelson e dalla società Midgam, ha messo in evidenza che il 66% dell'opinione pubblica israeliana è favorevole alla firma di un accordo con Hamas. Dal sondaggio è inoltre emerso che il 64% degli israeliani ritiene che negli ultimi dieci anni i governi che si sono succeduti abbiano rinunciato ad affrontare la questione del rapporto con i palestinesi e si siano rifiutati di trattare con Hezbollah.
Anche una possibile proposta secondo cui Israele accetti in linea di principio uno Stato palestinese, in cambio di un’alleanza di difesa regionale che includa Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti trova un sostegno relativamente ampio tra gli israeliani: il 44%, mentre il 36% si oppone a questa idea.
Sono trascorsi 209 giorni dall'inizio della guerra, ma le armi non sono state ancora deposte. I soldati israeliani, appoggiati dall'aviazione, ieri hanno bombardato da nord a sud le città della Striscia. Nelle ultime ventiquattro ore sono state uccise altre 28 persone e ferite oltre 50. Secondo il ministero della Salute di Gaza, il bilancio delle vittime palestinesi, dall’inizio della guerra, è salito a 34.596, mentre 77.816 sono i feriti. La Protezione Civile ha dichiarato che più di 10mila persone sono ancora disperse sotto le macerie delle case rase al suolo.
Nel frattempo in Cisgiordania il clima diventa sempre più rovente. I coloni proseguono indisturbati nelle spedizioni punitive contro i palestinesi seminando terrore e morte. Azioni queste, che non fanno altro che aumentare la rabbia e l'odio degli abitanti della Palestina contro gli israeliani. I soldati con la Stella di Davide assistono indifferenti a queste azioni e non intervengono. Ma secondo alcune testimonianze raccolte dall’organizzazione Crisis Evidence Lab di Amnesty International per i diritti umani, nei villaggi di Aqraba e Kufr Maliq i soldati hanno persino preso parte agli attacchi. «Come possiamo accettare passivamente questi soprusi? - dice un abitante di Khirbet Twayyil, nei pressi di Aqraba, a sud di Nablus - La recente e orrenda ondata di violenza dei coloni fa parte di una campagna che va avanti da decenni ed è sostenuta dallo Stato israeliano, per sgomberare, opprimere e spossessare della loro terra i palestinesi della Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, nell’ambito del sistema israeliano di apartheid».
Preoccupano anche le continue provocazioni e l'occupazione degli spazi adiacenti alla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme. Ieri, quasi duecento coloni hanno varcato la Porta di Mughrabi per pregare in quello che un tempo era il luogo su cui sorgeva il Tempio, mentre la polizia israeliana impediva ai musulmani di entrare nella Spianata.
Nella foto: Il segretario di Stato USA Antony Blinken e il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant camminano al valico di frontiera di Kerem Shalom in Israele (LaPresse)
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