Galles, centinaia di bambini abortiti per errore
Sistemi diagnostici superati, questa la spiegazione: così in sette anni un famoso ospedale gallese ha indotto all'aborto centinaia di donne facendole credere che il feto fosse già morto. Il caso è esploso per la denuncia di una donna.
Sono centinaia i bambini perfettamente sani che potrebbero essere stati abortiti per errore in un famoso ospedale di Cardiff, in Galles. Una storia che ha dell’incredibile e ancora più incredibili sono le reazioni di giudici e opinionisti, che hanno derubricato lo scandalo a semplice «errore» medico per quanto «sgradevole».
La vicenda ha cominciato a emergere lo scorso anno quando una donna di 31 anni, Emily Wheatley, incinta di nove settimane, con una gravidanza a rischio, si è recata all’University Hospital of Wales di Cardiff per un controllo. Dopo l’ecografia si è sentita dire che il suo bambino purtroppo era morto per cui si doveva procedere alla revisione della cavità uterina (raschiamento). Per questo intervento però la signora Wheatley decideva di andare in un altro ospedale, il Nevill Hall Hospital di Abergavenny, dove le hanno fatto un’ulteriore ecografia scoprendo che il bambino era ancora vivo e perfettamente sano.
Emily Wheatley è fortemente traumatizzata dalla situazione, ci pensa sua madre a sporgere immediatamente denuncia al Public Services Ombudsman for Wales, il difensore civico gallese per i disservizi pubblici. Segue un’approfondita inchiesta, i cui dati – riferiti nei giorni scorsi - si rilevano agghiaccianti. Si scopre, infatti, che presso l’University Hospital of Wales si applica fin dal 2006 un protocollo ormai superato dalle nuove linee guida emanate dal Royal College of Obstetricians and Gynaecologists per prevenire i margini di errori diagnostici degli aborti spontanei nel primo stadio della gravidanza. In pratica si usano ecografie addominali laddove è disponibile e consigliata l’ecografia transvaginale. In quell’ospedale nascono ogni anno seimila bambini, mentre si registrano tra i 600 e i 1200 aborti spontanei. Da qui la stima che le donne vittime di diagnosi sbagliate possano essere state centinaia.
Le conseguenze di questa incredibile vicenda appaiono, però, più surreali degli antefatti che le hanno generate. L’ospedale, infatti, si è semplicemente scusato imputando tutto ad un semplice «errore medico»; dovrà solo provvedere a cambiare immediatamente il metodo di accertamento delle condizioni del feto. La Wheatley, la cui figlia scampata all’aborto ha ora 8 mesi, è stata risarcita con la risibile somma di 1.500 sterline, mentre l’Ombudsman, Peter Tyndall, nel rapporto ufficiale se ne è uscito con una sortita dal tipico aplomb anglosassone: «Le donne a cui è stato recentemente diagnosticato un aborto spontaneo all’University Hospital of Wales, e a cui è stata conseguentemente praticata un’evacuazione uterina, troveranno tutto ciò estremamente sgradevole (“extremely disturbing”)».
Insomma, è stata compiuta una vera e propria strage ma tutto si risolve con delle scuse. Del resto, anche da noi in Italia il fatto non ha trovato alcuna eco. Il che non dovrebbe neanche sorprendere più di tanto vista la concezione che ormai sta diventando comune. Ricordiamo come non più di un mese fa Filomena Gallo e Gianni Baldini, rispettivamente Segretario dell’Associazione Luca Coscioni e docente di Biodiritto Università di Firenze, abbiano dichiarato senza mezzi termini che «gli embrioni sono di proprietà della coppia» che li ha generati, e come tali nella loro piena e assoluta disponibilità, al punto da potersene disfare come meglio aggrada.
Di fronte a vicende come quella di Cardiff appare sempre più evidente come l’uomo moderno abbia perso il senso della ragione. Quando si giunge a teorizzare la reificazione dell’essere umano, considerandolo alla stessa stregua di un “prodotto”, di cui si può rivendicare la proprietà e persino distruggere con assoluta nonchalance – essendo semplice “cosa” –, allora tutto diventa possibile e accettabile. Anche la storia di ordinaria follia accaduta all’University Hospital of Wales.
Non può non venire alla mente, a questo proposito, il noto concetto di banalità del male di Hanna Arendt, un male che sembra trascendere ogni possibilità di comprensione e persino di attribuzione di responsabilità personale. La banalità del male in questo caso, oltre che nella tragedia dell’uccisione di centinaia di innocenti perpetrata presso il prestigioso ospedale gallese, sta anche nelle incredibili reazioni a quella strage: nessuna conseguenza concreta di carattere giuridico a livello di sanzioni, ma soprattutto l’assenza di qualunque sincero sentimento di umana compassione. A questo siamo ormai ridotti.