Funzionari onnipotenti e pochi soldi: l'Emilia è al palo
Per spingere la nomina di Errani a supercommissario in Lazio e Marche è stato creato il Modello Emilia. Ma è un'invezione mediatica. Sotto il Po a 4 anni dal sisma che ha distrutto la Bassa è ancora tutto fermo. Colpa di una burocrazia onnipotente e dei pochi soldi dello Stato che fa la cresta sui progetti di antisismicità.
Si fa presto a dire “Modello Emilia”, il problema semmai è guardare nelle pieghe della ricostruzione per comprendere che non è certo oro tutto quello che luccica. E non solo perché a 4 anni dal sisma, ben pochi sono i cantieri che sono stati riconsegnati. Lo ha dovuto ammettere anche il quotidiano La Stampa che nei giorni scorsi, per lanciare la volata a Vasco Errani commissario in pectore per la ricostruzione in Lazio e Marche, è andata a vedere come stanno le cose nella Regione che Errani guidava quando alle 4 di mattina del 29 maggio 2012 la terra tremò.
“Quattro anni dopo la gran parte dei cantieri deve ancora partire, un po’ perché si è data la precedenza alle abitazioni e alle aziende, ma anche a causa della complessità delle procedure… e così la torre medievale di Finale Emilia sbriciolata dalle scosse, immagine simbolo del terremoto del 2012 deve continuare ad aspettare”. E se lo dice la Stampa, un quotidiano non certo ostile al governo, c’è da prenderlo per buono.
E’ anche per questo che quando il nome di Errani è stato fatto dal premier Renzi per la nomina a commissario per la ricostruzione di Amatrice e Accumolo, in molti hanno storto il naso. Non sono mancati pareri positivi bipartisan, come quello del governatore lombardo Maroni, ma chi ha a che fare con la ricostruzione nel cratere emiliano, il neologismo Modello Emilia non evoca certo garanzia di successo. Per molte ragioni.
Anche il senatore modenese Carlo Giovanardi si è detto scettico: «Leggo grandi elogi su quanto fatto nella nostra regione dopo il terremoto del 2012 - spiega - ma la realtà è che dopo quattro anni non è ancora stato fatto nulla, con gravi ritardi nella ricostruzione, anche per quanto riguarda i privati. Dopo il 2009 - prosegue ancora il senatore - tutti hanno demonizzato il modello L’Aquila, ma oggi in Abruzzo tantissime persone vivono in case vere, nelle ‘new town’ costruite vicino ai paesi crollati, mentre da noi questa soluzione è stata esclusa, con il risultato che nella Bassa abbiamo ritardi gravissimi e centri fantasma”, ha detto al quotidiano modenese Prima Pagina.
E come dargli torto. Certo, sulla carta il modello è improntato alla massima efficienza e trasparenza, ma nei fatti ha risentito troppo di una burocrazia elefantiaca che ha rallentato quando non proprio stoppato i lavori. Colpa anche del fatto che certe ricostruzioni funzionano se lo Stato di soldi ce ne mette. E in Emilia i soldi arrivano col contagocce. Vediamo perché.
In Emilia si è data la precedenza ai fabbricati industriali e alle abitazioni. Ma i primi hanno avuto un finanziamento di tipo europeo perché gli aiuti di Stato si sarebbero potuti configurare con aiuti di illecità concorrenza. Ce li ha messi di fatto la Commissione europea. E sono arrivati con discreta soddisfazione degli imprenditori che sono potuti ripartire in tempi accettabili.
Discorso diverso per le abitazioni. Qui sono stati utilizzati i canali telematici per la presentazione delle pratiche oggetto del finanziamento del 100%, preteso proprio da Errani quando era ancora alla guida dell’ente di via Aldo Moro. Ma con un piccolo inconveniente. Ogni abitazione gravemente lesionata, quindi marcata come E, viene inserita in un comparto che tenga conto della gravità del danno e della superficie. Sulla base di questi coefficienti si arriva ad una sorta di jackpot che è il fondo destinato a quella singola abitazione. Ma il più delle volte non basta. La pratica inoltre si intoppa negli uffici, dove funzionari onnipotenti possono decidere a discrezione se la pratica è ammissibile al finanziamento. Per motivi di statica antisismica non rispettata? No. Perché in verità, certe messe in sicurezza sono consdierate troppo dispendiose o addirittura esageratamente antisismiche. Un’arbitrarietà che sta frustrando i progettisti. I quali denunciano il potere discrezionale dei funzionari.
Gianluca Nicolini è architetto, ma anche coordinatore provinciale di Forza Italia per Reggio Emilia oltre che consigliere comunale. Conosce dunque il modello Emilia non solo in quanto professionista impegnato nella ricostruzione, ma anche come amministratore pubblico. E nei giorni scorsi ha messo in evidenza le falle del tanto decantato Modello Emilia: “Tutti i tecnici che stanno seguendo la ricostruzione post sisma dell'Emilia o della Lombardia si scontrano con funzionari-burocrati che hanno il solo compito di tagliare fondi alla ricostruzione. Non si opera mai in un clima di fiducia e di responsabilità ma vi è il gioco allo scarica barile”.
Il risultato è che “tutta la responsabilità resta in capo al tecnico che si trova tra due fuochi: un cliente che non vuole investire le risorse aggiuntive necessarie e dall’altra parte un burocrate che deve far risparmiare la struttura commissariale per la ricostruzione in nome di un’efficienza che è falsa e dannosa”.
Secondo l’esponente azzurro “la politica è totalmente inerme” perché “i centri di comando sono così diversi che al più si può agire sui vertici, ma non nel ventre molle di chi materialmente segue le pratiche”.
E anche sulle opere pubbliche la musica non cambia: “La Regione Emilia Romagna ha composto il piano pluriennale delle opere pubbliche in cui sono state fatte delle perizie "empiriche" di parte, vagliate da funzionari che non hanno mai visto i fabbricati da finanziare. Ne consegue – spiega – che le cifre stimate vengono decurtate in base al sentimento degli stessi funzionari. Il valore così stabilito è stato iscritto nel piano, ma in fase di approvazione degli interventi capita spesso che il tecnico debba rivedere le sue scelte non perché errate ma perché non finanziabili o troppo costose e quindi prive della necessaria copertura. Vi pare il metodo corretto di operare per la salvaguardia del patrimonio edilizio e la vita delle persone?”.
Le cronache hanno riportato ad esempio degli ospedali di Mirandola e di Carpi che alla fine del cantiere avranno una copertura antisismica fino al 60%. Più di prima, certo. Ma meno di quanto consentirebbe la legge. E anche su questo la polemica politica divampa.
Che il modello Emilia non sia il più virtuoso degli schemi di ricostruzione lo dimostra anche la nuova ideologia applicata alla ricostruzione. Quella della legalità. Scottata dall’inchiesta Aemilia, che portò in carcere centinaia di edili sospettati di essere affiliati della ‘Ndrangheta, la Sinistra al governo ha alzato così tanto l’asticella dell’Antimafia, ma a tal punto che tutto è diventato impossibile: l’obbligo di effettuare gare anche per interventi al di sotto dei 40mila euro, contrariamente a quanto stabilisce la normativa vigente, ha ingessato così tanto la macchina della ricostruzione che dalle parti del Po la gestione post sisma viene definita "recessiva". Altro che Pil in crescita come si augurano Bruno Vespa e Graziano Delrio.
C’è poi l’aspetto fondamentale: senza soldi addio ricostruzione e addio pil. Ne sanno qualcosa in Umbria dove per l’ultima volta, siamo nel 1997, lo Stato ha inserito accise per la ricostruzione. E si sono rimessi in piedi. Insomma: senza la prospettiva di nuove risorse, prese dalla fiscalità generale, lo Stato sarà sempre impotente. A patto che non si scelga un'altra strda, ma la mentalità dello Stato italiano è tipicamente anti-sussidiaria. In Emilia non sono state inserite tasse di scopo, il risultato è lo stallo più completo con il governo che dà i fondi col contagocce. E’ un meccanismo che fa sbottare i tecnici come Nicolini: “La verità è che con questo sistema lo Stato fa la cresta sulla sicurezza dei cittadini”.
A questo si aggiunge la burocrazia d’ufficio che, se nelle intenzioni doveva arrivare a pratiche veloci, nella pratica i tempi medi di partenza sono anche di un anno e mezzo. Intanto i cittadini comtinuano a restare nei prefabbricati ormai diventati dei dormitori anonimi e spersonalizzati.
C’è poi il fronte dei Beni Culturali. Su questo versante la Nuova BQ aveva raccontato in esclusiva che cosa era accaduto a Mantova e come la situazione sull’altra sponda del Po fosse diametralmente opposta a quella emiliana. A questo, si aggiunga il fatto che gli interventi sui Beni Culturali non sono tesi al ripristino dell’opera d’arte nella sua funzionalità, ma come materiale archeologico. Puro e semplice estetismo della materia.
Il caso celebre è quello di Vittorio Sgarbi che, indignato, si oppone alla distruzione del palazzo comunale di Sant'Agostino di Ferrara dove sorgerà al suo posto un “casermone informe”. Ma singolare è anche l’episodio che viene da Mirandola dove il crocifisso ligneo di Santa Maria Maggiore è stato restaurato, ma monco. Con una gamba e un braccio assenti (frutto della caduta dopo il sisma) perché la nuova moda predilige che tutto rimanga come il sisma ha disposto. Una scelta che ha sconcertato gli esperti e che denota una concezione materialistica dell’opera d’arte. Riparare le ferite del trauma significa anche riparare gambe e braccia di statue che sono non solo testimonianze artistiche, ma anche simboli di fede e di pietà e hanno soprattutto ancora una loro funzionalità. A proposito di pietà: sarebbe come se il naso scheggiato dalla Pietà di Michelangelo fosse rimasto così come il folle vandalo aveva disposto. Se si è potuto ricostruire per Michelangelo…
In conclusione: siamo sicuri che il Modello Emilia sia il più fortunato? La Nuova BQ aveva proposto il modello Mantova, che è sicuramente meno Stato dipendente e più sussidiario, ma il sisma, come noto, è anche una grande occasione per tutti: a cominciare dallo Stato. Che può fare cassa risparmiando. Certo, ci sono diverse linee di pensiero, ma in Emilia si è scelta la via dello Stato onnipresente. E se scegli quella strada devi garantire un'erogazione costante, che grava pur sempre sulle tasche dei contribuenti, ma comunque sicura. In Emilia questa sicurezza però l'hanno persa per strada.