Francesco e il patriarca armeno: «Cristiani uniti nel martirio».
Il Papa e il patriarca Karekin II ricordano il genocidio di inizio secolo degli armeni e l'esilio delle minoranze etniche in medio Oriente: «I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del sangue” che trascende le divisioni storiche tra cristiani». Ma la Turchia non ci sta e attacca: «Papa e papato portano ancora tracce della mentalità da crociata. Commenti che non hanno alcun rapporto con la realtà».
«L’attività del Papa e il papato portano ancora tracce della mentalità da crociata. I suoi non sono commenti imparziali, non hanno alcun rapporto con la realtà». Con queste parole del vice primo ministro turco, Nurettin Canikli, è arrivata puntuale la reazione di Ankara al chiaro riferimento di Papa Francesco al “genocidio” armeno del 1915.
Il Papa questo riferimento al “genocidio” lo aveva fatto venerdì scorso nel suo primo giorno del XIV Pellegrinaggio internazionale, il settimo in una Nazione asiatica, parlando alle autorità politico-diplomatiche armene. Era andato oltre il testo scritto che parlava di “tragedia” in riferimento allo sterminio di un milione e mezzo di armeni perpetrata dagli Ottomani. Ma Bergoglio quella parola, “genocidio, l'aveva già detta nell'aprile 2015, citando la dichiarazione congiunta che Giovanni Paolo II aveva fatto nel 2001 con il Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II, sollevando così una crisi diplomatica proprio con Ankara che aveva perfino richiamato il suo ambasciatore vaticano.
La crisi del 2015 aveva fatto presagire che difficilmente Papa Francesco avrebbe ripetuto quella parola, invece, ha dimostrato che “non bisogna aver paura di chiamare le cose con il proprio nome”. E adesso si prende del “crociato” dal vice di Erdogan, il quale se l'è presa anche con il governo tedesco che recentemente aveva riconosciuto quel “genocidio”, perché per i turchi ci sono stati sì dei morti, ma usare quella parola non corrisponde a realtà.
Il direttore della Sala Stampa vaticana, P. Federico Lombardi, ha fatto notare che che se «si legge bene il Papa si vede che non c’è nulla dello spirito di crociata» e che «non aveva intenzione di fare nessuna guerra di religione ma semplicemente di mettere le premesse su una base di riconoscimento delle sofferenze del passato perché invece in futuro queste sofferenze o mancanze di rispetto per la vita e per i diritti degli altri non avvengano mai più». La memoria, un concetto chiave del viaggio in Armenia appena concluso, non può essere salvifica se non è chiara e riconosciuta; in questo bisogna ammettere che Papa Francesco è stato molto incisivo, per un futuro di giustizia e pace.
Un altro tassello che dimostra una certa determinazione del Papa, è stata la firma della dichiarazione congiunta con Karekin II, una dichiarazione che fino a poco prima della firma sembrava non dovesse avvenire. Un altro segnale che mostra le difficoltà che vi erano prima del viaggio, e che molto probabilmente riguardavano proprio il passaggio sul “genocidio”, per cui gli armeni volevano parole chiare. Il fatto che poi la dichiarazione ci sia stata, ponendo un autorevole sigillo sul viaggio di Papa Francesco, deve essere anche il frutto della determinazione mostrata dal pontefice.
Infatti, anche la Dichiarazione congiunta riprende, letterali, le parole che Giovanni Paolo II aveva sottoscritto nel 2001: «Siamo grati di aver avuto la grazia di essere insieme in una solenne liturgia nella Basilica di San Pietro a Roma il 12 aprile 2015, nella quale ci siamo impegnati ad opporci ad ogni forma di discriminazione e violenza, e abbiamo commemorato le vittime di quello che la Dichiarazione Comune di Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Karekin II menzionò quale «lo sterminio di un milione e mezzo di Cristiani Armeni, che generalmente viene definito come il primo genocidio del XX secolo».
Ma la Dichiarazione non si ferma qui, non si ferma alla memoria; dal passato offre uno sguardo molto chiaro, per chi vuole saperlo leggere, anche sulla situazione attuale di un medio-oriente martoriato, dove i cristiani muoiono come martiri perseguitati. Si tratta, da un altro punto di vista di quell'ecumenismo “del sangue” che il Papa stesso ha ricordato in più di un occasione.
«Siamo purtroppo testimoni - dichiarano Francesco e Karekin II - di un’immensa tragedia che avviene davanti ai nostri occhi: di innumerevoli persone innocenti uccise, deportate o costrette a un doloroso e incerto esilio da continui conflitti a base etnica, politica e religiosa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo. Ne consegue che le minoranze etniche e religiose sono diventate l’obiettivo di persecuzioni e di trattamenti crudeli, al punto che tali sofferenze a motivo dell’appartenenza ad una confessione religiosa sono divenute una realtà quotidiana. I martiri appartengono a tutte le Chiese e la loro sofferenza costituisce un “ecumenismo del sangue” che trascende le divisioni storiche tra cristiani, chiamando tutti noi a promuovere l’unità visibile dei discepoli di Cristo».
La giustificazione di questi crimini, aggiungono le due autorità religiose, è «inaccettabile (…) sulla base di idee religiose». Inoltre non manca un chiaro riferimento alle responsabilità delle comunità internazionali di fronte a questa situazione: «Imploriamo i capi delle nazioni di ascoltare la richiesta di milioni di esseri umani, che attendono con ansia pace e giustizia nel mondo, che chiedono il rispetto dei diritti loro attribuiti da Dio, che hanno urgente bisogno di pane, non di armi».
Un riferimento non è mancato anche per il conflitto che vede lo scontro tra armeni e azeri (che hanno i turchi come alleati) per l'enclave del Nagorno-Karabakh. «Proprio perché siamo cristiani, siamo chiamati a cercare e sviluppare vie di riconciliazione e di pace. A questo proposito esprimiamo anche la nostra speranza per una soluzione pacifica delle questioni riguardanti il Nagorno- Karabakh».
Infine, merita ricordare che la Dichiarazione non sfugge al tema chiave della famiglia. Un tema che, in qualche modo, era entrato anche nell'omelia che Karekin II aveva tenuto ieri mattina nella celebrazione da lui presieduta sul Piazzale di San Tiridate del Palazzo Apostolico di Etchmiadzin. «Il processo di secolarizzazione – aveva detto il Catholicos – che non cessa di accelerare, scuote la concezione dei nostri valori spirituali e morali». Ed ecco che nella dichiarazione congiunta si legge che «la secolarizzazione di ampi settori della società, la sua alienazione da ciò che è spirituale e divino, conduce inevitabilmente ad una visione desacralizzata e materialistica dell’uomo e della famiglia umana. A questo riguardo siamo preoccupati per la crisi della famiglia in molti Paesi».
Il viaggio del Papa si è concluso con la visita al Monastero di Khor Virap, laddove Gregorio l'Illuminato fu imprigionato per tredici anni e che poi fece dell'Armenia la prima nazione cristiana al mondo (301 d.C.). Dal monastero la vista verso il Monte Ararat, laddove si sarebbe arenata l'Arca, è meravigliosa. Siamo a pochi chilometri dal confine turco, e siamo sicuri che il Papa avrà pregato in modo speciale anche per il popolo turco. Un uomo di pace Francesco, ma che in Armenia ha mostrato che la pace si costruisce anche con la chiarezza.
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