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IL CASO DJ FABO

Fragili equilibrismi, ma Cappato andrà a processo

Il Gip rifiuta la richiesta di archiviazione per Marco Cappato e sarà così processato per induzione al suicidio di dj Fabo. L’ordinanza del giudice Gargiulo si fonda su alcuni principi non condivisibili, come il sostegno alle Dat ed altri assai condivisibili, in bilico tra la volontà di non contraddire i propri colleghi che si espressero sui casi Eluana e Welby e l’impossibilità di chiudere gli occhi di fronte ad un fatto evidente: Cappato ha aiutato Fabo a morire e questa condotta è qualificata come reato dal nostro ordinamento.

Vita e bioetica 19_07_2017
Marco Cappato

Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, il febbraio scorso aveva accompagnato Dj Fabo, al secolo Fabio Antoniani, presso la clinica svizzera Dignitas affinchè fosse sottoposto alla pratica del suicidio assistito.

I Pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini avevano chiesto l’archiviazione perché il leader radicale aveva aiutato Fabo semplicemente ad esercitare un fantomatico diritto alla dignità personale. Inizialmente il giudice per le indagini preliminari, il dott. Luigi Gargiulo, aveva fatto sapere alle parti che per il tramite di un’udienza di discussione voleva acquisire da loro altre informazioni prima di pronunciarsi sull’archiviazione.

Il 10 luglio scorso Gargiulo ha respinto la richiesta di archiviazione e ha chiesto ai Pm di Milano Tiziana Siciliano e Sara Arduini l’imputazione a carico di Cappato di aiuto al suicidio ex. art. 580 cp., cosa che è avvenuta ieri. Ora la palla passerà al Gip e vedremo quali sviluppi processuali ci saranno.

Interessante è l’analisi delle motivazioni per cui Gargiulo ha chiesto l’incriminazione di Cappato. In sintesi la condotta dell’esponente radicale è qualificabile come aiuto al suicidio “per aver rafforzato il proposito suicidario di Antoniani” prospettandogli la possibilità di morire presso la clinica Dignitas, “attivandosi per mettere in contatto la Dignitas con i prossimi congiunti di Antoniani facendo pervenire presso la loro abitazione il materiale informativo e, infine, per aver agevolato il suicidio di Antoniani trasportandolo fisicamente presso la Dignitas il giorno precedente al suicidio”.

Il Gip si interroga se la vita per il nostro ordinamento giuridico sia un bene indisponibile. Da una parte riconosce la sua indisponibilità, citando gli artt. 5 cc e 579 e 580 cp, dall’altro però ammette anche che tale indisponibilità è stata seriamente intaccata da alcune norme (v. legge 194 sull’aborto) e dalla giurisprudenza (v. casi Englaro e Welby). In merito a questi due casi l’interpretazione di Gargiulo non è condivisibile. Infatti per il Gip esisterebbe in ambito clinico un diritto a morire che implicherebbe, laddove necessario, l’attivazione di terzi per soddisfare questo diritto. Da qui anche la sua benedizione al Testo unico sulle Dat in esame attualmente al Senato. In realtà nel caso di Eluana fu omicidio ex art 575 cp e nel caso di Welby omicidio del consenziente ex art 579 cp. Nel nostro ordinamento allo stato attuale esiste sì un diritto al rifiuto delle cure anche salvavita – e quindi esiste un diritto a morire – ma ciò non deve comportare che terzi si attivino positivamente per procurare la morte, esempio staccando il respiratore, altrimenti è omicidio del consenziente.

Per il Gip, in modo contraddittorio, esisterebbe un “diritto a lasciarsi morire”, ma non un “diritto a morire con dignità”, quando invece entrambi questi “diritti” poggiano sul medesimo principio di autodeterminazione inteso in senso assoluto. Più in particolare Gargiulo sostiene che il caso Dj Fabo è diverso da quelli di Eluana e Welby perché Antoniani non ha chiesto l’interruzione di terapie, ma ha chiesto di morire. In realtà la sostanza è assai simile e l’unica differenza è tra compiere un male morale e collaborare al compimento di un male morale: il dott. Riccio ha provocato la morte staccando il respiratore, Cappato ha aiutato a morire Fabo portandolo in Svizzera.

Nell’ordinanza invece appare chiaro che per il Gip, soprattutto quando commenta il Testo unico sulle Dat, l’omicidio del consenziente e l’aiuto al suicidio compiute nelle corsie degli ospedali non sono tali perché si applicherebbe la scriminante dell’adempimento di un dovere ex art 51 cp e ritornano ad essere reati solo al di fuori dei presidi ospedalieri (seppur in chiusura affermi che il diritto al rifiuto delle cure salvavita non possa coinvolgere l’operato di un terzo). Cappato non è un medico e quindi non può farla franca, ci dice in sintesi Gargiulo. Argomentazione erronea e fragilissima: se Tizio è medico può uccidere su richiesta e aiutare a far morire e se invece non lo è finisce in galera? Non dice questo il nostro ordinamento giuridico che non applica scriminanti ai reati di omicidio del consenziente e aiuto al suicidio in base alla professione svolta da chi ha ucciso o ha aiutato a togliersi la vita.

Nonostante queste rilevanti incoerenze, è meritorio che il Gip abbia sottolineato che nel nostro ordinamento non esiste un “diritto a morire con dignità”, né un diritto al suicidio, altrimenti occorrerebbe abrogare gli artt. 579 e 580 cp e si innescherebbe inoltre un effetto domino che travolgerebbe in primis i soggetti più fragili. Oltre a ciò dovremmo ammettere che “vi sarebbero vite meritevoli di essere vissute ed esistenze non meritevoli” distinguendo così i cittadini tra persone di serie A e di serie B in base a criteri incerti ed assai opinabili. Meritorio poi che abbia rammentato ai due Pm, nonostante il loro parere contrario, che nemmeno la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha mai sancito un diritto al suicidio.

Meritorio inoltre che il Gip abbia affermato in modo limpido che “l’art. 580 cp, precetto entro cui si deve valutare la condotta ascritta a Cappato, protegge, in modo particolarmente intenso, la vita: un bene giuridico che, nell’ordinamento italiano, assume rilievo prioritario, in quanto costituisce il presupposto necessario ed indefettibile perché ogni altro diritto – ivi incluso quello alla dignità dell’esistenza umana e all’autodeterminazione – possa dapprima esistere e poi essere goduto”.

Meritorio infine il rifiuto ad accogliere il principio del “diritto” a vivere e a morire con dignità perché altrimenti “il vero bene protetto delle stesse norme che puniscono l’omicidio non sarebbe più la vita ma la volontà di vivere”. Infatti gli artt. 579 e 580 cp tutelano la vita di per sé, anche se la persona non vuole più vivere perché ormai non ritiene la propria esistenza degna di essere vissuta. Questi due articoli quindi ci confermano che la vita merita sempre di essere vissuta anche se il diretto interessato non fosse persuaso di ciò.

In breve l’ordinanza del Gip Gargiulo si fonda su alcuni principi non condivisibili ed altri assai condivisibili, forse tentando così un’acrobazia da equilibrista, in bilico tra la volontà di non contraddire i propri colleghi che si espressero sui casi Eluana e Welby e l’impossibilità di chiudere gli occhi di fronte ad un fatto evidente: Cappato ha aiutato Fabo a morire e questa condotta è qualificata come reato dal nostro ordinamento.