Fra Quirinale e governo inizia la lotta per la Finanziaria
Dopo il primo voto di fiducia, il governo Conte affronta la sfida vera. Non contro le deboli opposizioni, ma contro il "partito del Quirinale" fedele al presidente Mattarella e rassicurante nei confronti dell'Ue. Il monito del Presidente a Salvini, sul caso Diciotti è un primo avviso. La battaglia vera sarà soprattutto sulla prossima Finanziaria
E’ vero, i governi precedenti avevano fatto un uso eccessivo dello strumento della fiducia. L’attuale esecutivo, dopo circa cento giorni di navigazione, a tratti tempestosa, ha per la prima volta dovuto farvi ricorso per non correre rischi. E infatti è andato tutto secondo le previsioni.
ll decreto milleproroghe, contenente le norme sul taglio ai fondi alle periferie e quelle sulla autocertificazione per i vaccini, ha ottenuto la fiducia della Camera con 329 voti a favore, 220 contrari e quattro astenuti. Ma è già polemica, perché per il Partito Democratico, Forza Italia e Fratelli d’Italia, la fiducia risulta essere illegittima in quanto autorizzata dal consiglio dei ministri un giorno prima che il decreto venisse pubblicato nella Gazzetta ufficiale. Tuttavia, a turbare il sonno degli alleati di governo sono ben altre e più complesse questioni. A cominciare dalle parole di Sergio Mattarella, che due giorni fa, in occasione delle celebrazioni per ricordare il centenario della nascita di Oscar Luigi Scalfaro, ha chiaramente preso le distanze dai gesti e dagli atteggiamenti del vicepremier, Matteo Salvini, ribadendo il primato della legge: "Nessuno è al di sopra della legge. Neanche i politici".
Mentre il Ministro dell'Interno, di fronte ad un avviso di garanzia per le vicende della nave Diciotti, aveva sostenuto di essere un eletto del popolo e di godere di un vasto consenso popolare, il Capo dello Stato ha spiegato che "nel nostro ordinamento non esistono giudici elettivi: i giudici traggono la loro legittimazione dalla Costituzione. Il rispetto delle regole è rispetto della democrazia". La replica di Salvini per la verità non si è fatta attendere ed è arrivata su Facebook: "Il presidente Mattarella oggi ha ricordato che nessuno è al di sopra della legge. Ha ragione. Per questo io, rispettando la legge, la Costituzione e l'impegno preso con gli italiani, ho chiuso e chiuderò i porti a scafisti e trafficanti di esseri umani. Indagatemi e processatemi, io vado avanti!".
Dunque il braccio di ferro tra uno dei due leader di governo e il Quirinale prosegue e c’è da scommettere che non mancheranno altre schermaglie a distanza, considerata la delicatezza delle vicende giudiziarie in evoluzione che riguardano Salvini e il suo partito. Peraltro anche le distanze tra Lega e Cinque Stelle sono destinate a crescere con l’approssimarsi della discussione sulla manovra di bilancio. In particolare il “partito del Quirinale” (espressione giornalistica molto in voga per indicare i ministri come Giovanni Tria e Enzo Moavero Milanesi, considerati vicini a Mattarella) sarebbe molto irritato con i due partiti di governo per l’enormità di certe promesse elettorali che, secondo il titolare del dicastero di Via XX Settembre, sarebbero irrealizzabili e insostenibili.
La coperta inizia ad essere troppo corta. Il leader della Lega, in questo, è stato molto abile. Ha puntato tutto sulla questione migranti, che di fatto non ha un costo economico ma fa guadagnare i voti di tanti milioni di cittadini esasperati dall’invasione di irregolari e clandestini. I Cinque Stelle, invece, per gratificare i propri elettori, devono portare a casa provvedimenti come il reddito di cittadinanza e la chiusura di vertenze aziendali come l’Ilva o ambientali come il Tap, che inevitabilmente avrebbero ricadute di tipo finanziario e che potrebbero rivelarsi irrealizzabili a causa della loro insostenibilità finanziaria.
Se il muro contro muro tra Tria e i ministri leghisti dovesse costringere il primo a fare un passo indietro e a dimettersi, di fatto il rapporto tra esecutivo e Quirinale si incrinerebbe e le tensioni sui mercati esploderebbero. Il Ministro dell’Economia viene infatti visto dall’establishment europeo come un argine ai populismi anti-europei e, soprattutto, come la principale garanzia di tenuta dei conti pubblici italiani. Se la linea del rigore dovesse prevalere, l’elettorato pentastellato resterebbe a bocca asciutta e il calo di consensi per i Cinque Stelle, in parte registrato anche dagli ultimi sondaggi, potrebbe evidenziarsi come ancora più vistoso.
In definitiva, Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sentono un po’ accerchiati da Quirinale, magistratura, vertici Ue e speculatori finanziari internazionali. L’incubo spread aleggia sempre sulle loro teste e nelle prossime settimane si capirà quanto il contratto di governo potrà reggere, in presenza di vincoli europei insormontabili e di promesse mirabolanti e di difficile realizzazione.