Forze di polizia in agitazione Ecco perché hanno ragione
L'atteggiamento strafottente del presidente del Consiglio nei confronti delle forze di polizia è fuori luogo: gli effettivi in servizio sono meno che in altri paesi europei, hanno l'età media più alta, sono pagati male. Nel sistema sicurezza è possibile risparmiare ma senza andare a scapito delle retribuzioni degli agenti.
I primati del governo Renzi includeranno a breve la prima astensione dal lavoro delle forze di polizia? È così elevata l’esasperazione dei poliziotti? Ci sono margini per scongiurare uno sciopero che non ha precedenti? Per rispondere è necessario soffermarsi su alcuni aspetti della vertenza.
1. Quanti poliziotti ci sono in Italia? Sui media, sul presupposto che abbiamo ben cinque forze di polizia, si è soliti mettere a confronto la consistenza complessiva di esse con quella delle polizie di altri Stati: per concludere che i nostri poliziotti sono troppi, e quindi lavorano poco. Già così partiamo male: in ogni Paese vi è un corpo che – abbia o non abbia la qualifica di “polizia” – si occupa della sicurezza delle carceri, ve ne è almeno uno dedicato alla tutela dell’ambiente (come fa da noi la Forestale), e vi è chi si interessa in modo specifico dei crimini finanziari, pur senza un ordinamento militare come la Guarda di Finanza. Altrove gli agenti della vigilanza privata hanno competenze e poteri superiori a ciò che in Italia è consentito alle guardie giurate: per questo in Germania il loro numero è più che quadruplo rispetto a noi. Dunque, perché sia seria la comparazione va operata tra le forze di polizia di competenza generale: ponendo a fianco la Polizia e i Carabinieri con i loro omologhi in altri Stati si constata che, in rapporto alla popolazione, i corpi corrispondenti in Francia o in Spagna sono più numerosi. E non solo: hanno anche una età media inferiore, grazie a un turn over meno rigido. Le conseguenze operative sono evidenti: un poliziotto cinquantenne impegnato in servizi di ordine pubblico rischia e fa rischiare più di un trentenne.
2. “Grasso che cola” nel sistema sicurezza? “Per iniziare a ridurre le tasse bisogna avere il coraggio di ridurre le spese nella pubblica amministrazione. Lì c’è troppo grasso che cola.” Il limite di affermazioni come questa – resa dal presidente del Consiglio sabato, all’inaugurazione delle Rubinetterie Bresciane – sta nel porre sullo stesso piano il lavoro dei poliziotti e quello di qualsiasi altro dipendente pubblico. Salvare migranti che affogano, trovarsi di fronte a rapinatori che sparano, monitorare siti pedopornografici, indagare sui patrimoni delle mafie, infiltrarsi in una cellula terroristica… non è esattamente la stessa cosa che operare un visura catastale (con tutto il rispetto per chi svolge tale servizio). Sorprende doverlo ricordare; meraviglia ancor di più ricordarlo a seguito di esternazioni del capo del Governo! Il quale, sempre a Brescia, ha aggiunto che “chi prende mille euro al mese, con fatica ce la fa. Se viene chiesta una riduzione del 2% ce la si può fare. Lo abbiamo chiesto agli operai e agli imprenditori. Ma chi non ha fatto tutto questo è la macchina pubblica”. Dire questo significa ignorare che dal 2010 per tutti i dipendenti pubblici, poliziotti inclusi, opera il blocco dei tetti stipendiali: il che significa non blocco di aumenti, ma progredire in carriera senza che alla qualifica superiore che di volta in volta si raggiunge corrisponda lo stipendio più adeguato previsto dalla legge. Un sottosegretario dell’attuale esecutivo ha attribuito anche questo alla responsabilità di Berlusconi: tre anni dopo la conclusione del suo governo! Quella fu una misura di emergenza che nelle intenzioni dell’epoca sarebbe dovuta durare lo stretto indispensabile; dopo però vi è chi l’ha mantenuta e chi ha immaginato altre importanti uscite dal bilancio dello Stato – valgano per tutti gli 80 euro –, trascurando che una fascia consistente di dipendenti pubblici la “riduzione”, spesso superiore al 2%, la stava subendo da quattro anni. E non è solo questo! Per i poliziotti vanno aggiunti i ritardi intollerabili nel pagamento delle missioni e degli straordinari, le spese vive anticipate e rimborsate dopo mesi, l’insufficienza dei mezzi necessari per operare. Il tutto mentre, grazie anche alla Corte costituzionale, nessun blocco ha interessato in questi anni la progressione degli stipendi dei magistrati, che non sono esattamente simili a quelli dei poliziotti: e senza che il premier in tal caso evochi la colatura del grasso...
3. I risparmi possibili. Nel comparto sicurezza si può ancora risparmiare, senza andare a scapito delle retribuzioni degli agenti? Risposta affermativa: spesso sono state formulate nel merito proposte sensate dagli addetti ai lavori; ma vanno tradotte in azione di governo, facendo emergere in concreto le cause di spreco. Quante volte si è sentito parlare di centrali uniche per gli approvvigionamenti, che farebbero diminuire i costi, o della razionalizzazione dei presidi di polizia? A Roma ci sono troppi commissariati al centro, con locazioni elevate, e troppo pochi nella gran parte delle periferie; situazioni analoghe esistono in tante città: quel che manca è l’input politico di far mettere al lavoro su questo fronte per recuperare efficienza e risorse. Non farlo equivale a proseguire in quella logica di tagli lineari che può giustificarsi solo in una prima fase di emergenza; è la medesima logica che fa immaginare sforbiciate nella rete delle prefetture invece di interventi modulati; o che pensa a eliminare tutti i posti fissi della Polizia ferroviaria, trascurando che mentre a Roma Termini di essa non si può fare a meno ci sono stazioni nelle quali esiste ancora la polizia e non si fermano più i treni.
4. Adoperare tutte le risorse disponibili. Nel 2008 fu costituito il Fug-Fondo unico giustizia, alimentandolo con le risorse liquide o liquidabili tolte alle mafie: gestito dal ministero dell’Economia, esso è destinato per il 2% al medesimo ministero, per il 49% al ministero dell’Interno e per l’altro 49% al ministero della Giustizia. In base ai dati forniti dall’Economia, al 30 novembre 2013 il Fondo aveva una disponibilità complessiva di 3 miliardi e 493 milioni di euro, oggi probabilmente supera i 4 miliardi (di euro, non di lire!). Ma nel biennio 2012-2013 le somme versate nel bilancio dello Stato dal Fug sono state di appena 267 milioni, poco più del 7% rispetto all’intero Fondo; se poi si va a vedere quanto è stato corrisposto in concreto al Viminale e a via Arenula la somma scende a 125 milioni di euro, circa il 3%. È vero che questo cash non è utilizzabile per spese di natura strutturale, per es. per deroghe più ampie al blocco del turn over, trattandosi di entrate la cui entità annuale non è previamente quantificabile con certezza. Ma con risorse così consistenti si possono adottare comunque importanti misure una tantum, come azzerare l’arretrato degli straordinari e dei costi anticipati dagli agenti, mettersi in pari col pagamento delle locazioni per commissariati e stazioni, rinnovare una parte del parco automezzi… E alla fine, per differenza, il bilancio ordinario avrebbe senza difficoltà la copertura per gli scatti di stipendio maturati dal 2010.
Riformare la pubblica amministrazione è importante, anche se non siamo nemmeno ai preliminari della discussione. C’è però qualcosa che compete a un governo prima dell’iniziativa legislativa: ed è amministrare bene con quello che c’è. Se il presidente del Consiglio e i ministri interessati ci provassero, allora sì il “grasso” traboccherebbe!