Fontana spiato, ma la chiameranno informazione...
Il caso dei telefoni del governatore lombardo e di altri sette. L’autorità giudiziaria può spiare per intero la loro vita, violando la privacy di tutte le altre persone venute in contatto con loro. E basta che qualcosa arrivi sulla scrivania di un cronista di giudiziaria...
La chiamano informazione di qualità. E’ quell’informazione professionale prodotta da giornalisti iscritti all’Ordine e quindi obbligati a rispettare la loro deontologia, cioè quell’insieme di principi volti a contemperare il diritto all’informazione con i diritti della personalità dei protagonisti delle notizie. Il confine è sempre molto sottile ma la bravura del giornalista sta proprio nel saper raggiungere quell’equilibrio, raccontando la verità ai cittadini ma rispettando la privacy, l’onore, la reputazione, l’immagine e altri diritti inviolabili delle persone.
Quest’impresa si rivela spesso ardua perché le cronache sono infarcite di stucchevoli violazioni delle norme dettate a tutela dei cittadini. Quando poi nel tritacarne mediatico finiscono i cosiddetti vip, cioè personaggi che assurgono con regolarità agli onori della cronaca in forza della loro notorietà e del ruolo pubblico che ricoprono, la situazione rischia seriamente di sfuggire di mano.
E’ quanto sta accadendo a proposito del caso Fontana, cioè la vicenda che vede coinvolto il governatore leghista della Lombardia, Attilio Fontana, per l’accordo tra la multinazionale Diasorin e il Policlinico San Matteo per lo sviluppo dei test sierologici e molecolari per la diagnosi del Covid-19.
Ed è quanto potrebbe succedere in maniera ancora più devastante se sulla scrivania di qualche cronista giudiziario arrivasse il contenuto del cellulare del governatore lombardo acquisito dalla Guardia di Finanza in una perquisizione. La stessa operazione è stata peraltro eseguita sul telefono di Giulia Martinelli, responsabile della segreteria del Presidente della Regione, ed ex compagna del leader della Lega, Matteo Salvini, sul telefono dell’assessore alla sanità lombarda, Giulio Gallera e sui cellulari di altre sei persone.
Si può agevolmente immaginare quanti dati privati ci siano su quei cellulari e quale gigantesca violazione della privacy si possa produrre qualora sms, messaggi whatsapp, conversazioni intercettate venissero spiattellati sui principali quotidiani nazionali, in spregio al più elementare diritto alla riservatezza delle comunicazioni, peraltro sancito dall’art.15 della Costituzione.
Il giustizialismo mediatico potrebbe tornare ad affilare le sue subdole armi, già utilizzate in passato nel caso Formigoni, quando addirittura i giornalisti diedero notizia dell’avviso di garanzia all’ex governatore lombardo ben prima che il diretto interessato lo ricevesse, a riprova del cortocircuito tra informazione e giustizia e del filo diretto che lega alcune procure ad alcune redazioni.
Anche perché le modalità della perquisizione sono a dir poco anomale. La Procura di Pavia ha proceduto in tal senso, cioè a fare la “copia forense” dell’intero contenuto dei telefoni di Fontana, Gallera e altre 7 persone tutte non indagate, per approfondire i contorni di un presunto tentativo di inquinamento probatorio addebitato dai pm al Presidente della Fondazione Policlinico San Matteo, Alessandro Venturi, che «nella prima decade di luglio ha proceduto alla massiva cancellazione dal cellulare di tutte le chat whatsapp», quindi pochi giorni prima di essere indagato nell’inchiesta pavese per peculato e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente nell’accordo di marzo tra l’ospedale pavese e la Diasorin per lo sviluppo dei test sierologici anti-covid. Venturi, secondo la Procura di Pavia, avrebbe cancellato le chat per nascondere qualcosa. Di qui la decisione di individuare i partecipanti ai gruppi whatsapp e di ricostruire la cronologia dei dialoghi intercorsi tra loro.
Una delle anomalie sta nel fatto che il decreto di perquisizione non esplicita in base a quali elementi Fontana, Gallera e gli altri 7 siano ritenuti interlocutori. Il secondo punto oscuro è che la Procura pavese ha deciso di copiare l’intero contenuto e non di fare, come accaduto in altre occasioni, una ricerca per parole chiave. Ora, dunque, l’autorità giudiziaria ha la possibilità di passare al setaccio l’intera vita professionale e privata di quei soggetti istituzionali senza rispettare i canoni di pertinenza e proporzionalità. Può spiare per intero la loro vita, violando la privacy di tutte le altre persone venute in contatto con loro. Nel decreto si assicura che i telefoni verranno esaminati “limitatamente all’alveo dei fatti oggetto di contestazione penale”, ma i precedenti non inducono all’ottimismo e il fango mediatico sembra già dietro l’angolo, con pubblicazione integrale di conversazioni e messaggi telefonici privati e non attinenti alle indagini.
Se questo avverrà, dovremo prendere atto dell’ennesima sconfitta dell’informazione, utilizzata da certe Procure come megafono per esibire trofei e per screditare personaggi pubblici ancora prima che vengano accertate le eventuali responsabilità.
Appaiono alquanto fondate le argomentazioni di Jacopo Pensa, avvocato di Fontana: «Il Presidente Fontana non è indagato, ha subìto una perquisizione presso terzi. Non gli è stato sequestrato nulla. E’ grave, però, che la perquisizione sia avvenuta con modalità non pertinenti alla finalità dell’operazione, con un decreto non circostanziato ma applicabile a chiunque e con evidenti criticità di carattere costituzionale, vista la ovvia presenza di conversazioni di carattere istituzionale nel cellulare di Fontana. Sarebbe stato sufficiente un invito a fornire i dati telefonici per raggiungere il medesimo risultato investigativo».
La sensazione è che ci si trovi di fronte a uno dei tanti atti intimidatori dell’autorità giudiziaria per riaffermare la sua supremazia nel sempre precario equilibrio tra poteri. Il diritto dei pm di indagare è sacrosanto ed è fondamentale per assicurare giustizia, ma gli abusi degli strumenti di indagine sono assai frequenti nel nostro Paese e preparano la strada a quella che troppe volte abbiamo amaramente definito barbarie mediatico-giudiziaria.
Ciascun cittadino, prima di giudicare il provvedimento della Procura di Pavia, pensi a come reagirebbe se gli venissero copiati tutti i dati che ha sul cellulare, senza neppure aver ricevuto un avviso di garanzia e, quindi, senza in alcun modo potersi difendere. Lo pensino anche i cronisti giudiziari, che non vedono l’ora di dare quei dati in pasto all’opinione pubblica.