Follie alla greca: nel centrodestra tutti pazzi per Tsipras
Sui mercati finanziari si sono bruciate cifre consistenti, che sarebbero bastate per salvare la Grecia dal probabile fallimento. Ma le posizioni assunte sulla crisi greca dai partiti italiani forniscono la riprova che il bersaglio delle opposizioni non è né la troika né la Merkel, bensì Palazzo Chigi e il premier Renzi.
Nelle ultime ore sui mercati finanziari si sono bruciate cifre consistenti, che, paradossalmente, sarebbero bastate per salvare la Grecia dal probabile fallimento. Con i soldi che si sono volatilizzati in poche ore nelle negoziazioni al ribasso di molti titoli nelle Borse dei vari Continenti, l’economia greca si sarebbe risanata completamente e a quest’ora non bisognerebbe interrogarsi sul futuro dell’euro. In realtà, le dimensioni della nazione greca non giustificano allarmismi esasperati. É vero, la Grecia è indebitata con molti Stati, Italia compresa (36 miliardi di euro circa), ma una sua eventuale uscita dalla moneta unica potrebbe anche non avere effetti devastanti sul Vecchio Continente.
Autorevoli economisti hanno evidenziato che, più che altro, l’eventuale ritorno alla dracma metterebbe in discussione il mito dell’irreversibilità dell’euro e ne evidenzierebbe la vulnerabilità. A quel punto, chi potrebbe escludere l’uscita dalla moneta unica di altri Stati europei come Spagna, Portogallo e perfino Italia, al verificarsi di difficoltà analoghe a quelle greche? Per ora si tratta solo di congetture, ma le posizioni assunte sulla crisi greca dagli attori politici italiani forniscono la riprova che il bersaglio della battaglia delle opposizioni anti-Renzi non è né la troika né la Merkel, bensì Palazzo Chigi. Stupisce, infatti, constatare che Grillo da una parte e ampi settori del centrodestra dall’altra appoggiano in maniera convinta Tsipras, esponente della sinistra, nel suo tentativo di ribellione contro l’austerità imposta da Bruxelles.
Il referendum di lunedì prossimo ad Atene e dintorni avrà esiti decisivi per le scelte del governo greco, ma anche per la tenuta di alcuni governi in difficoltà, come quello italiano. É per questo che, in modo abbastanza innaturale, tutto il Pd si è schierato a favore della Merkel e dei vertici europei e contro Tsipras, mentre perfino uno come Renato Brunetta ha auspicato la vittoria dei no al referendum greco, come se il premier di quello Stato fosse un esponente del centrodestra. Anche il leader leghista, Matteo Salvini si augura una ricostruzione dell’Europa fondata sui popoli e non sui capitali e pertanto spera che le resistenze di Tsipras possano prevalere e spianare la strada a cambiamenti sostanziali nelle scelte di politica economica dell’Unione europea.
In questo contesto appare assai significativo che il premier Renzi sia corso a Berlino per rassicurare la Merkel circa la fedeltà italiana alla linea del rigore finanziario e del rispetto degli impegni da parte del governo greco. Il cancelliere tedesco ha ricambiato la cortesia elogiando le riforme che l’esecutivo italiano ha messo in cantiere e sta realizzando, a riprova del solido asse che, per ora, tiene indissolubilmente legati i due capi di governo. La Merkel è riuscita a bloccare i negoziati con Tsipras e a congelarli fino al referendum di lunedì. Spera, infatti, nella vittoria dei “si” per piegare le resistenze del premier greco e costringerlo ad accettare condizioni ancora più penalizzanti. Addirittura Tsipras fa sapere che, in caso di vittoria dei “si”, si sentirebbe messo in discussione e valuterebbe l’ipotesi dimissioni. Viceversa, se a prevalere fossero i “no”, e quindi se la maggioranza dei greci si esprimesse per il superamento degli attuali accordi che costringono la Grecia a rispettare le politiche di rigore imposte dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale, si aprirebbero scenari incerti e anche in Italia le forze anti-euro e anti-Renzi se ne avvantaggerebbero.
Dal braccio di ferro tra Grecia e Unione europea dipendono, quindi, anche le sorti del governo Renzi. Anzitutto per gli equilibri internazionali. Una Grecia in rotta di collisione col resto d’Europa stringerebbe alleanze con la Russia e diventerebbe una meta privilegiata degli investitori cinesi, con inevitabili riflessi sull’Eurozona. L’eventuale ritorno alla dracma provocherebbe una svalutazione della valuta greca (che era entrata nell’euro in una condizione meno drammatica rispetto a quella di oggi) e, conseguentemente, costringerebbe tutti gli Stati creditori del governo greco a incassare cifre di gran lunga inferiori a quelle sperate. Una nazione come l’Italia, tanto per fare un esempio, recupererebbe solo in parte i crediti verso la Grecia e sarebbe costretta a nuove manovre fiscali aggiuntive che andrebbero a gravare sulle tasche dei contribuenti.
Ma la scommessa di Tsipras è che, di fronte a una vittoria del "no" al referendum, siano Unione europea e Fondo monetario internazionale a piegare il capo, anche su pressione degli Stati Uniti e delle altre potenze mondiali, pur di non mandare in frantumi gli equilibri finanziari ed economici dell'Europa. Da questo punto di vista, indire un referendum, come ha deciso di fare il premier greco, più che un atto di democrazia, è una scelta demagogica, populista e strumentale all’ottenimento di un nuovo accordo post-referendum che possa dare un po’ di respiro alla stremata economia greca. Tsipras utilizzerà la volontà popolare per conseguire un successo personale in Europa e per ergersi a paladino di una nuova Europa più solidale e meno capitalistica. E in Italia tutti quelli che non amano troppo Renzi faranno i salti di gioia.