SULL'ARTISTA SCOMPARSO
Fo, il conformista che non comprese neppure Giussani
Un giudizio dimenticato sul giullare ai tempi della morte di Giussani fa riemergere il conformismo tremendamente culturale di un uomo che da fascista a comunista seppe sempre cavalcare l'onda del momento. Lo accusò di non essere stato uomo di dialogo, dimostrando di non capire nulla della grande esperienza di cui parlava.
Cultura
24_10_2016
Caro direttore,
dopo i giorni del cordoglio e delle preghiere e dopo alcuni giorni di silenzio, vorrei tornare a proporti alcune considerazioni circa la figura di Dario Fo, nei confronti del quale mi pare che siano state spese, a caldo, parole esagerate, sia in un senso che nell’altro. Giovanni XXIII ci aveva insegnato a distinguere tra l’errore e l’errante: mi pare che, da questo punto di vista, nei giorni immediatamente vicini alla morte, quasi tutti abbiano dimenticato questo saggio consiglio del Papa del Concilio, nascondendo errori, che non riguardano tanto la coscienza di Fo, ma i loro riflessi culturali per tutti, vista la grande rilevanza pubblica del personaggio.
Ma comincio dal positivo, che io vedo in tre fattori. L’assoluta bravura del “giullare” (come lui amava farsi definire), che “prendeva” le folle, sia in teatro che in TV. La bella testimonianza della vita famigliare di Fo, che l’ha visto unito per tutta la vita a Franca Rame, in un ambiente in cui questa esperienza è sempre più rara. La sua tensione al “mistero”, che gli faceva dire, da ateo quale si professava, che non escludeva una qualche “sorpresa”, come ha ricordato il Card. Scola, il quale ha aggiunto che ora Fo potrà vedere svelata tale “sorpresa”.
Detto questo, penso che non sia giusto nascondere quelli che io considero “errori”, non tanto in sé, ma, ripeto, per la loro rilevanza pubblica oggettiva. Al contrario di ciò che è stato variamente conclamato, penso che, sotto sotto, Dario Fo sia stato, malgrado le apparenze, un grande conformista, avendo egli seguito tutto ciò che sembrava dover prevalere in un certo periodo. Ed infatti, egli, da giovane, partecipò alla repubblica di Salò, per aderire, dopo la Liberazione, a varie forme di ideologie di sinistra, fino quasi a sfiorare, in un certo periodo, l’estremismo violento.
Negli ultimi tempi, ancora, si era decisamente posto dalla parte di Grillo e compagni, senza troppo porsi il problema delle loro reali intenzioni. Mi pare, cioè, che egli abbia prevalentemente seguito l’onda del momento, senza mai usare una parola di condanna, ad esempio, nei confronti dei gulag sovietici e nei confronti delle persecuzioni a cui erano assoggettati i suoi colleghi russi (in barba a quelli che dicono che egli è sempre stato dalla parte degli ultimi). Lo stesso accadde nei confronti di Fidel Castro e della rivoluzione culturale cinese.
Tremendamente superficiali, invece, furono i suoi giudizi sulle reali, nonché eccezionali, novità presenti nel suo tempo, come accadde, per esempio, nel suo commento sulla persona di don Giussani (e su tutto ciò a cui egli aveva dato vita), nell’occasione della sua morte. Infatti, il 22 febbraio 2005 l’agenzia Adnkronos pubblicò un comunicato nel quale riportava questo giudizio di Fo su don Giussani: «Ha esasperato una fede al limite del fanatismo religioso» e «non è stato uomo di dialettica, né di apertura». Come si può constatare, fece un commento pubblico senza aver capito nulla della grande esperienza di cui parlava.
Su altri fronti, Fo era sempre stato dalla parte dei terroristi dell’Eta (attirandosi le critiche dei famigliari delle vittime) e di quelli palestinesi. Mentre spesso era solo gravemente offensivo nei confronti degli avversari politici, come, ad esempio, della Fallaci (da lui definita “lercia terrorista”) e di Brunetta (di cui irrise la statura). Naturalmente, firmò il documento contro Calabresi.
Insomma, l’arte scenica di Fo non può nascondere i suoi gravi errori culturali e politici, dettati sempre da grande faziosità, incapace di un vero dialogo. Questa piccola esemplificazione storica non è mancanza di rispetto per l’errante; costituisce un piccolo contributo per onorare la verità delle cose e raffreddare gli entusiasmi fuori luogo.