Finto fossile cinese, quando gli scienziati vogliono prendere granchi
In Cina, scoperta sensazionale: un ragno gigante fossile. Ma poi spunta la verità: è solo un falso. E torna in mente la storia di un altro fossile sensazionale, l'Uccellosauro, "scoperto" nel 1999 sempre in Cina. E sono occorsi anni prima di smontare quella bufala. Ma perché molti scienziati ci vogliono credere? Per ideologia.
Esiste un portento della natura che di nome fa Mongolarachne chaoyangensis. È un ragno gigante del Cretaceo inferiore scoperto all’inizio del 2019 nella Formazione Yixian, nel Liaoning Occidentale, Cina, da una équipe del Museo di storia naturale di Dalian, sempre nel Liaoning. La sua eccezionalità risiede nell’unicità e nello stato notevolissimo di conservazione: tutte le sue parti sono infatti perfettamente impresse nella roccia, in specie le sue visibilissime otto zampone. Il professor Cheng Xiaodong, che ha guidato il fortunato team autore del ritrovamento, lo ha quindi descritto con dovizia di particolari, assieme ai colleghi, sull’autorevole Acta Geologica Sinica (edizione in lingua inglese). C’è solo un piccolo particolare: quel sontuoso resto preistorico non è un ragno, bensì una bufala.
Lo mostra e dimostra il paleontologo Paul A. Selden dell’Università del Kansas, a Lawrence, scrivendo sul periodico accademico Palaeoentomology. Del resto Selden è stato scettico sin dal principio: zampe troppo segmentate e occhi sproporzionati per un ragno. Non a caso, come ha evidenziato il paleobiologo Chungkun Shih della Capital Normal University di Pechino, la Formazione Yixian abbonda di fossili di aragoste. Affiancato dunque dai geologi Matt Downen e Alison Olcott, Selden ha operato analisi minuziosissime al microscopio a fluorescenza, immaginandolo il fossile (date le dimensioni) a sezioni. Delle quattro risposte colorate così ottenute, la gialla è apparsa molto sospetta: come se fosse stata prodotta da una colorazione a olio. E così infatti è: un gamberone taroccato. Un gran bel dipinto, insomma, forse persino un tantino artistico: ma niente a che vedere con un esemplare intatto di ragno preistorico gigante. Niente specie nuova, niente scoperta. Un falso fabbricato benissimo, ma pur sempre un falso.
Capita spesso, soprattutto in Cina. I contadini s’imbattono in resti fossili che riaffiorano dal terreno e pensano di cavarci qualche soldo extra ritoccando la scena e rifilando la patacca ai turisti. Tanto per restare in Cina, terra appunto prodiga di fossili falsi, è famoso e strabiliante il caso dell’Archaeoraptor liaoningensis, un’altra scoperta unica classificata fra i Theropoda (un sottordine di dinosauri saurischi) e a lungo spacciato come l’“anello di congiunzione” tra rettili e uccelli. La prova provata, insomma, dell’evoluzionismo, l’agognata verità scientifica su quella che altrimenti resta una mera speculazione, e piuttosto (statisticamente) improbabile. Ne esiste addirittura una foto celebre che ritrae i resti dell’animale impressi in una lastra minerale: la pubblicò National Geographic nel fascicolo del novembre 1999. Peccato sia appunto un falso, ovvero siano i resti di un uccello del genere Yanornis combinati a quelli di un rettile, il Microraptor zhaoianus. Alcuni contadini cinesi, guarda un po’ proprio del Liaoning, li avevano incollati assieme e venduti persino ad alcuni ricercatori creduloni.
Fu così che l’“uccellosauro” entrò illegalmente negli Stati Uniti per essere poi acquistato, nel febbraio 1999, dallo statunitense Stephen A. Czerkas (1951-2015), scultore, direttore e cofondatore di The Dinosaur Museum di Blanding, nello Utah, più che altro una struttura d’intrattenimento senz’alcuna validità scientifica. Entusiasta dell’acquisto “rivoluzionario”, Czerkas contattò la National Geographic Society, la quale tentò di far recensire il reperto su pubblicazioni specialistiche peer-review quali Nature e poi Science. Ma né l’una né l’altra erano convinte, e così l’“uccellosauro” finì sulle pagine di National Geographic, resistendo fino al biennio 1999-2000 allorché la frode venne rotondamente sbugiardata. Czerkas però non si diede per vinto. Assieme alla moglie, Sylvia, scultrice pure lei, nel 2001 allestì a Blanding una mostra con 34 fossili di provenienza cinese forse illegale (ne parlò Rex Dalton in Feathered fossils cause a flap in museums, pubblicato su Nature, nel maggio 2004). La mostra, intitolata Feathered Dinosaurs and the Origin of Flight, venne addirittura affittata nel 2004 dal prestigioso Museo di storia naturale di San Diego, in California, e comunque continuò a circolare almeno fino al 2009. Nel frattempo, nel 2002, i coniugi scultori, avevano pubblicato anche un libro omonimo, edito dal loro Dinosaur Museum: delle sei specie lì “identificate” come “uccellosauri”, cinque la comunità scientifica le contesta.
Ora, prendere granchi (o inesistenti ragni giganti) capita. La storia è piena di fole: le presunte cinture di castità con cui i cavalieri medioevali avrebbero imposto la fedeltà coniugale alle mogli partendo per le crociate (che in realtà sono giocattoli erotici ottocenteschi), l’inesistente “papessa Giovanna”, l’altrettanto inesistente ius primae noctis, la regina Maria Antonietta che avrebbe invitato i francesi affamati a cibarsi di brioche scarseggiando il pane, e così via. Ci si fa l’abitudine. Ciò che invece scandalizza davvero è la “voglia di crederci” che s’impadronisce persino degli accademici quando fiutano la possibilità di far tornare i conti con quell’evoluzionismo a cui la natura continua a ribellarsi, accademici disposti persino al ridicolo pur di “provare” l’improvabile. In Cina, poi, quella delle balle fossili è una fiorente industria su cui ha gettato l’allarme nientemeno che la blasonata Science.