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Finito l'esilio, Gänswein va in Estonia, Lettonia e Lituania

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Per l'ex segretario di Benedetto XVI si conclude ufficialmente l'anno di "parcheggio" forzato a Friburgo e si apre la nunziatura dei tre Paesi baltici. Con buona pace del "chiacchiericcio".

Ecclesia 25_06_2024
IMAGOECONOMICA PAOLO GARGINI

Alla fine la firma, come avevamo anticipato, è arrivata ed oggi la Santa Sede ha annunciato la nomina di monsignor Georg Gänswein a nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia. L'ex segretario di Benedetto XVI è atteso da un esordio "in grande" perché, oltre a presentare le lettere credenziali, farà la sua prima uscita pubblica nella cerimonia di insediamento del secondo mandato del presidente lituano Gitanas Nausėda, il prossimo 12 luglio. Da settimane Gänswein aspettava solo l'ufficialità, pronto a partire per questa prima missione della sua carriera diplomatica.

Una notizia che può far tornare a sorridere il prelato "parcheggiato" da circa un anno a Friburgo, sua arcidiocesi d'origine ma che aveva già un suo giovane titolare, monsignor Stephan Burger. Il Papa aveva chiesto all'ex braccio destro del suo predecessore di tornare a casa senza incarico e privatamente aveva presentato questo periodo come benefico. Gänswein ne ha sofferto, così come dal 2020 in poi aveva sofferto l'allontanamento dal suo ufficio di prefetto della Casa Pontificia. In questo "quasi anno" a Friburgo si è stabilito nel Collegium Borromaeum, lì dove nel 2011 portò Benedetto XVI che in quell'occasione mise in guardia i seminaristi dallo «spirito della scientificità, del comprendere, dello spiegare, del poter sapere, del rifiuto di tutto ciò che non è razionale» che spesso nasconde «molta presunzione ed insensatezza».

In questi mesi, però, l'arcivescovo ha viaggiato tantissimo, presentando in giro la sua autobiografia Nient'altro che la verità. Giusto pochi giorni fa, presentando il libro nel comune austriaco di Galtür, Gänswein ha spiegato che a spingerlo alla scrittura era stata la volontà di smontare l'immagine stereotipata di Ratzinger perché contrariato di fronte a ciò che veniva scritto sul Pontefice tedesco. «Spesso avevo la sensazione che qualcuno stesse scrivendo di un fantasma che non esisteva», ha detto l'arcivescovo ai tanti fedeli accorsi ad ascoltarlo.

Lui stesso è finito stereotipizzato e nell'ultimo anno, specialmente in corrispondenza con l'uscita del libro (pieno di errori) El Sucesor in cui Francesco lo ha accusato di «mancanza di nobiltà e di umanità», ha vissuto momenti particolarmente difficili. Presentando questo libro, che cercava di presentare il rapporto tra Benedetto e Francesco come idilliaco persino sul tema delle unioni civili, l'autore Javier Martinez-Brocal non ha lesinato giudizi al vetriolo in direzione di Gänswein sottolineando come «non era una persona con cui Benedetto consultava le sue decisioni, gliele dava già fatte». Anche sulla base di quello che è stato scritto, come ad esempio sulle presunte difficoltà ad incontrare Benedetto XVI nel monastero Mater Ecclesiae riscontrate da alcuni cardinali, Gänswein  è finito nel mirino dei pettegolezzi di chi ha lasciato intendere che più di un segretario sarebbe stato un carceriere.

C'è stato persino chi ha malignato sul trasloco dal Vaticano di un anno fa – dopo quasi un trentennio di vita tra le Sacre Mura – sostenendo che per portare i suoi beni personali a Friburgo sarebbero serviti (addirittura!) due camion. E chissà se Francesco, parlando ai preti romani nel sequel del discorso sulla "frociaggine" pubblicato in esclusiva da Silere non possum lo scorso 12 giugno, si riferisse proprio a questo "chiacchiericcio" su di lui quando ha tirato fuori dal nulla, per biasimarlo, l'esempio di un monsignore della Curia che per traslocare aveva avuto bisogno di due tir. 

Un anno e mezzo dopo, come in un gioco dell'oca, si ritorna al punto di partenza: quella nomina a nunzio apostolico che era nell'aria immediatamente dopo la morte di Benedetto XVI e che probabilmente è sfumata a causa del clamore delle anticipazioni di Nient'altro che la verità. L'episcopato tedesco lo saluterà senza troppi rimpianti dopo un anno trascorso con il timore di ritrovarselo alla guida di qualche diocesi per l'imprevedibilità di Bergoglio e la soddisfazione di vederlo fare cresime e poco altro. Oltre alla stessa visione ecclesiologica, Gänswein ha ereditato dal suo padre spirituale Benedetto XVI anche l'odio dei vescovi connazionali. Ormai sono decenni che la potente ala liberal della Chiesa di lingua tedesca lo avversa in tutte le maniere e, come pochi sanno, già nel 2000 gli impedì di diventare vescovo ausiliare proprio nella "sua" Friburgo per una sacrosanta critica alle posizioni anti-sacerdozio del teologo Herbert Haag.

Per sbarrargli la strada, temendo un suo futuro da arcivescovo diocesano, scattò per lui il marchio di "curiale" che in Germania continua anche oggi ad essere fatale. In Nient'altro che la verità, invece, Gänswein ha utilizzato un linguaggio ben diverso dal "curiale" ed ha pagato un prezzo molto salato per aver raccontato episodi che non hanno trovato una smentita fattiva. Ora gli stessi giornalisti e commentatori che presentavano il suo ritorno a Friburgo senza incarico come una "punizione" quasi naturale ed inevitabile (persino giusta per qualcuno) propongono lo spin del "perdono" del Papa per la nomina a nunzio. Buon lavoro a Sua Eccellenza. 



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