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LO SCANDALO IN KENYA

Filantropia denatalista. Le Ong mediche e quelle sterilizzazioni non volontarie

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Kenya, quattro donne, positive all'HIV, hanno vinto una causa importante contro due grandi Ong, Medici Senza Frontiere e Marie Stopes International, oltre a un ospedale. Sono infatti state sottoposte a sterilizzazione senza il loro consenso, dopo pressioni e raggiri. 

Vita e bioetica 06_12_2023
Medici senza Frontiere

In Kenya quattro donne positive all’Hiv hanno vinto una lunga battaglia legale, iniziata nel 2014, contro due tra le più importanti organizzazioni non governative internazionali, Medici senza frontiere (Msf) e Marie Stopes International (Msi), e contro il Pumwani Maternity Hospital, un ospedale statale della capitale Nairobi, il più grande del paese, accusati di averle sottoposte senza il loro consenso a un intervento di legatura bilaterale delle tube di Falloppio, un metodo di sterilizzazione praticamente irreversibile. I giudici dell’Alta Corte del Kenya hanno dichiarato che la sterilizzazione non autorizzata, e per di più per il solo fatto che le donne erano portatrici del virus Hiv, è stata una grave violazione dei loro diritti e della loro dignità e hanno disposto che le due Ong e l’ospedale risarciscano ognuna di loro con una somma pari a 20mila dollari. È una sentenza molto importante, storica, che dovrebbe contribuire a mettere fine a una pratica che ha fatto troppe vittime in Kenya e in tutto il continente africano. Sono infatti innumerevoli i casi di donne africane sottoposte a sterilizzazione chirurgica senza la loro autorizzazione o sotto ricatto e senza spiegare a che cosa esattamente vanno incontro. 

La Bbc ha raggiunto le quattro donne e ha ascoltato le loro storie. Una di loro era stata assistita dalla Msi e tre dalla Blue House Clinic, un centro di Msf istituito a Mathare, una immensa, poverissima baraccopoli della capitale, per aiutare le donne sieropositive durante la gravidanza e nella cura dei figli nei primi mesi dopo il parto.

Penda, un nome di fantasia perché la Corte ha stabilito che la loro identità non venga rivelata, è mamma di due gemelli. Ha raccontato che dopo la loro nascita le era stato raccomandato di usare solo latte in polvere, troppo costoso per lei che è una mamma single perché il padre dei bambini l’ha lasciata prima che nascessero. Il nutrizionista del Pumwani Maternity Hospital dove aveva partorito le ha spiegato che avrebbe avuto diritto a riceve cibo gratuitamente per sé e per i gemelli se avesse dimostrato di utilizzare la pianificazione famigliare e l’ha indirizzata alla Msi, la più grande organizzazione specializzata in salute riproduttiva del Kenya. Lì le hanno praticato la legatura delle tube dopo averle consegnato un modulo di consenso informato che lei ha firmato senza però capire che così facendo acconsentiva a essere sterilizzata perché non sa leggere. Penda aveva contratto il virus Hiv dal marito, morto alcuni anni prima, e ha saputo di essere sieropositiva quando è rimasta incinta. “Adesso la mia vita è rovinata – dice – chi accetterà di sposarmi sapendo che non posso più avere figli?” 

L’esperienza di Neema è simile a quella di Penda. Quando era incinta del quarto figlio, avendo scoperto di essere positiva all’Hiv, ha chiesto consiglio, preoccupata di poterlo infettare, al personale del Pumwani Maternity Hospital dove era ricoverata per il parto cesareo. Le è stato risposto che si doveva sottoporre alla legatura delle tube. Se non avesse accettato non avrebbe ricevuto aiuti alimentari e avrebbe dovuto pagare tutte le cure mediche. Il giorno del parto, prima di entrare in sala operatoria, una infermiera le ha detto che doveva decidersi per la pianificazione famigliare dal momento che aveva già tre figli, le ha consigliato la legatura delle tube e le ha dato un foglio da firmare in cui diceva di acconsentire sia al cesareo che alla sterilizzazione. «Non sapevo che cosa volesse dire, ho pensato che si trattasse di semplice pianificazione famigliare. Se mi avessero spiegato bene, non avrei firmato quel documento».  

Furaha non ricorda che le avessero parlato di pianificazione famigliare al Pumwani Maternity Hospital. Ricorda solo di aver firmato quello che credeva fosse il consenso al parto cesareo per non infettare il neonato. “Il giorno dopo avevo molto male – ricorda – e allora l’infermiera mi ha spiegato che era perché avevo subito due interventi: il cesareo e la legatura delle tube. Sono rimasta sconvolta. Subito a mio marito non ho detto niente, avevo troppa paura della sua reazione. Quando alla fine lo ha saputo, ha incominciato a bere molto, a ubriacarsi ed è morto investito da una macchina. Quello che è successo ha rovinato la mia famiglia”.

La quarta donna, Faraja, ha incominciato a subire pressioni perché si sottoponesse alla sterilizzazione chirurgica due mesi dopo aver partorito il terzo figlio. Le avevano detto di non allattare il bambino e che avrebbe potuto ricevere il latte in polvere senza pagare se avesse dimostrato che utilizzava la pianificazione famigliare, in particolare che aveva effettuato la legatura delle tube. “Ero disperata – racconta – mio marito se n'era andato. Dovevo pagare l'affitto. Cosa avrei potuto fare?” Come Penda, non sa leggere, le hanno fatto firmare un foglio, lei non ha capito di che cosa si trattava e nessuno glielo ha spiegato.

La sentenza della Alta Corte non è stata contestata. Contattato dalla Bbc per un commento, il Pumwani Maternity Hospital ha rifiutato di rispondere. Msf invece ha ammesso la propria responsabilità, ma ha precisato che nei suoi centri in Kenya non si sono mai effettuati interventi di sterilizzazione chirurgica e che sua regola è informare le donne su tutta la gamma di metodi contraccettivi, sui loro benefici, rischi e conseguenze. Su 1.100 assistite tra il 2008 e il 2012 dal centro Blue House Clinic – ha detto - solo 21 sono state indirizzate a strutture sanitarie approvate dal ministero della sanità per sottoporsi a interventi di legatura delle tube il che dimostrerebbe che quello non era il principale metodo di pianificazione famigliare adottato nell’ambito del progetto. L’Ong sostiene inoltre di aver rafforzato le procedure al fine di garantire che le donne decidano in piena libertà e in particolare prima di sottoporsi a sterilizzazione chirurgica ogni donna deve avere un colloquio con due diversi medici a distanza di almeno tre settimane uno dall’altro.

La Marie Stopes International da parte sua si è limitata ad asserire il proprio impegno a tutela delle donne, in particolare quelle sieropisitive che in Kenya e in tutta l’Africa sono molto spesso vittime di stigma, e a verificare il loro consenso informato prima di sottoporle a interventi e terapie. Questa Ong, attiva in 37 paesi, è una delle più grandi organizzazioni che offrono alle donne accesso a metodi anticoncezionali e praticano l’aborto. Sostiene di aver già aiutato più di 183 milioni di donne. “Oggi, e ogni singolo giorno – si vanta – sosteniamo le scelte riproduttive di oltre 80.000 persone in sei diversi continenti, con accesso alla contraccezione, all’aborto e alle cure salvavita post-aborto. E siamo incredibilmente orgogliosi di farlo”.