Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
FAMIGLIA

Fermare la deriva giudiziaria. Si deve

Di fronte a sentenze ideologiche e tecnicamente sbagliate come quella che ha aperto all'adozione per le coppie gay, occorre intensificare il lavoro culturale, giuridico e politico per promuovere la vita e la famiglia, quella vera.

Famiglia 31_08_2014
Giustizia

Sentenze come quella del Tribunale per i minorenni di Roma (d’ora in avanti TM Roma) sull’adozione di una bambina da parte di due donne conviventi, al di là del merito sul quale intervengono, sono in qualche misura “pilota”: il dibattito che si sviluppa dopo che sono rese note si concentra poco sulla loro effettiva conformità all’ordinamento; si sviluppa di più sulla questione dello sconfinamento degli ambiti di competenza; a polemiche sopite, costituiscono comunque un precedente, piazzano una bandierina che sventola.

Alla fine, ottengono il risultato: se un collegio giudicante stabilisce con dieci fitte pagine di motivazioni che una coppia costituita da persone dello stesso sesso può adottare un figlio, vuol dire che non è una cosa fuori dal mondo; in Parlamento verrà più facile mandare avanti i testi, già esistenti, sulla civil partnership, cioè sul simil matrimonio fra persone dello stesso sesso; altri giudici potranno mutuare le motivazioni per provvedimenti analoghi; alla fine potrebbe avere ragione chi sostiene, come più d’un commentatore sui quotidiani di ieri, che il problema non è far crescere una fanciulla con due genitori dello stesso sesso, bensì che ciò sia stabilito da un tribunale e non dalle Camere: che quindi devono darsi una mossa!

E invece ripartiamo dalla sentenza: anzitutto per verificare se è conforme all’ordinamento italiano. Dal profilo propriamente giurisdizionale si può poi passare a quello in senso lato culturale, per rispondere al quesito del perché oggi sentenze come queste si moltiplicano, e concludere con quello politico/legislativo. Saltare i passaggi significa accontentarsi del lamento e della protesta – giustificati a caldo di fronte all’assurdità di certe pronunce, improduttivi a medio/lungo termine – e in maniera implicita rassegnarsi a che l’aggressione ai fondamenti naturali del sistema sociale e giuridico prosegua senza resistenza e senza contrattacco. 

La sentenza del TM Roma n. 299 del 30 giugno di quest’anno è tecnicamente sbagliata. Come è stato spiegato nell’immediatezza, anche ieri su questo giornale, il nocciolo della decisione ruota attorno alla estensione da dare all’articolo 44 della legge sulle adozioni, la n. 184 del 1983, il quale stabilisce le eccezioni alla regola secondo cui i bambini possono essere adottati solo da un uomo e da una donna uniti in matrimonio. In particolare, la lettera d) di tale articolo permette l’adozione “quando vi sia la constatata impossibilità di un affidamento preadottivo”.

La lettera della norma e la sua interpretazione giurisprudenziale, ricordate pure nella sentenza, riferiscono questa “impossibilità” a una condizione di fatto, alla circostanza cioè che per il minore non si sia trovato alcun aspirante all’affidamento. Il Tribunale di Roma ritiene invece che la “impossibilità” possa intendersi anche come “di diritto”: nel caso concreto era “impossibile” l’affidamento preadottivo della bambina perché la legge italiana lo permette solo a coppie coniugate, e quindi non alla convivente della madre biologica. Constatata l’“impossibilità” di diritto all’affidamento preadottivo, i giudici hanno poi ritenuto la “possibilità” dell’adozione da parte della donna. È veramente illogico: se il nostro ordinamento preclude l’affidamento preadottivo a persone non unite in matrimonio, vuol dire che chi non è sposato non è ammesso a svolgere nemmeno un periodo che è solo preparatorio e funzionale all’adozione; come si fa poi a sostenere che può adottare senza problemi, proprio facendo leva sulla preclusione attinente al periodo antecedente?   

Ma non è solo la logica più elementare che contrasta con la sentenza. Quella giurisprudenza che il TM Roma liquida come antiquata è invece recente e autorevole: basta ricordare per tutte una sentenza del 27 settembre 2013 della 1^ sezione civile della Cassazione, la quale ha confermato senza incertezze che la nozione di “impossibilità di affidamento preadottivo” “attiene solo all’ipotesi di mancato reperimento (o rifiuto) di aspiranti all’adozione legittimante, e non a quella del contrasto con l’interesse del minore (che viene ampiamente richiamato nella pronuncia del TM Roma), essendo le fattispecie previste dalla norma tassative e di stretta interpretazione”. Il Parlamento può essere sollecitato a legiferare da tutto: ma che lo strumento per intervenire con una legge sia una sentenza di merito così evidentemente sbagliata e così in contrasto con la logica e con l’interpretazione del giudice di legittimità appare un po’ fuori luogo; immaginando che il pubblico ministero nella procedura, che ha espresso un avviso opposto a quello del TM Roma, impugni la sentenza, si potrebbe per lo meno attendere l’esito dell’appello o della eventuale cassazione.

Il dato culturale. Non sono mancati nel corso dei decenni – soprattutto degli ultimi anni – provvedimenti giudiziari ostili al diritto naturale: dalla disciplina delle convivenze alla manifestazione di volontà per interrompere la propria vita. Spesso alcune sentenze hanno manifestato una evidente connotazione ideologica. Nella stessa direzione e con le medesime spinte, componenti della magistratura associata – per tutte Magistratura democratica – organizzano in sedi istituzionali seminari di approfondimento/ orientamento su queste tematiche. Quel che pare di cogliere nella sentenza del TM Roma, senza ovviamente processare le intenzioni, è più un inserimento in un circuito cultural giudiziario trendy: come in omaggio a tale tendenza, sindaci non del tutto consapevoli istituiscono i registri per trascrivere i matrimoni fra persone omosessuali contratti all’estero… Se talune decisioni giudiziarie hanno anche questo tipo di spinta, è una ragione aggiunta, oltre che per sottoporle a studio e a critica rigorosa, per intensificare il lavoro di trasmissione di una – anche giuridicamente – attrezzata cultura della vita e della famiglia.

Il dato politico. Influenza il dato culturale e contribuisce a formare la tendenza. Passare dalla protesta – veemente ma sempre più rada e frammentata – all’impostazione, da parte di chi ne è convinto, di un’azione politica pro famiglia è oggi più necessario che mai. Il che vuol dire non cedere neanche di un passo rispetto alle leggi devastanti che si vogliono introdurre, dal divorzio sprint alla civil partnership (basta poco per far rovinare il sistema: la sentenza del TM Roma si basa sull’esegesi di un frammento di un comma). Significa convincersi, per esempio, che lo sblocca-Italia sarà coerente col nome che ha se si inizia con l’aiutare la famiglia, quella vera.