"Femminicidio", quanta demagogia
La conferenza stampa di Ferragosto del ministro dell'Interno Alfano ci ha regalato un'altra ondata di demagogia sugli omicidi di donne. Ma la strada presa dal governo va nella direzione opposta a quella necessaria per diminuire le violenze.
“L’ introduzione di figure come l’anonimato dei denunciati, l’arresto obbligatorio per il reato di maltrattamenti in famiglia, l'espansione della cosiddetta flagranza differita, fa arretrare il paese rispetto ad elementari standard di civiltà giuridica che pensavamo acquisiti. Si tratta di figure che ribaltano il principio costituzionale della presunzione di innocenza, per di più in una materia, quella dei rapporti familiari, che si presta anche ad accuse strumentali sulla base delle quali domani si andrà direttamente in galera senza alcun filtro preliminare: uno scenario preoccupante che, se accontenta le istanze dei forcaioli equamente distribuiti tra maggioranza ed opposizione, certamente imbarbarisce il sistema”.
Questa è soltanto una delle durissime accuse lanciate dall’Unione delle Camere Penali al Decreto Legge con cui il governo Letta è voluto intervenire la scorsa settimana sulla presunta emergenza del "femminicidio". I penalisti accusano di demagogia il governo, che “legifera sull’onda emotiva di fatti di cronaca o del bisogno di lanciare rassicurazioni di facciata all’opinione pubblica fomentata da campagne di stampa”.
Sono parole che tornano in mente dopo aver ascoltato l’irritante conferenza stampa del ministro dell’Interno Angiolino Alfano nel giorno di Ferragosto per la presentazione del Rapporto del Viminale sulle operazioni di polizia. Tutti i giornali hanno ovviamente titolato su un unico dato: il ministero dell’Interno conferma l’emergenza femminicidio, dato che il 30% delle vittime di omicidi è donna.
E la sensazione che questo governo faccia della demagogia su argomenti che trovano facile plauso sui giornali ne esce notevolmente rafforzata.
Sia ben chiaro – e lo ripetiamo ancora una volta -: non si vuole in alcun modo banalizzare il tema della violenza sulle donne, che va affrontato nei dovuti modi, ma parlare di “emergenza femminicidio” significa affermare – se le parole hanno ancora un senso - che c’è un aumento spaventoso di omicidi di donne, tale da giustificare un procedimento legislativo straordinario come dovrebbe essere il Decreto Legge. Il che però non risulta dalle statistiche: le donne uccise nel 2012 sono state 122 (secondo l’Istat) o 124 (secondo un osservatorio femminile), in ogni caso un dato in chiara diminuzione rispetto agli anni precedenti. E nei primi quattro mesi del 2013 sono state 35, che su base annua porterebbe la stima per il 2013 a 105. Anche una sola donna uccisa sarebbe di troppo, è ovvio, però visto che ragioniamo sulle statistiche non possiamo non notare che l’evidenza ci dice che gli omicidi di donne siano in diminuzione.
Ciò malgrado la percentuale di donne uccise sul totale aumenta, ma questo si spiega con il fatto che dal 1992 sono drasticamente diminuiti gli omicidi della criminalità organizzata che hanno come principali vittime gli uomini, tanto che in 22 anni il tasso di omicidi di uomini è calato da 4 a 1,2 per 100mila abitanti.
Questi dati ci portano dritto alle prime due questioni che risaltano rispetto alla conferenza stampa di Alfano. Quest’anno è infatti la prima volta che nella presentazione del Rapporto del Viminale si introduce il dato sul “femminicidio”: negli anni precedenti mai si era messo in evidenza questo fenomeno, e non sorprendentemente visti i dati a disposizione: la Cancellieri nel 2012 e Maroni nel 2011 hanno fornito i dati sui soliti fenomeni presi in esame: criminalità organizzata, immigrazione, furti. Visto che questa introduzione del “femminicidio” non trova sostegno nei fatti, è difficile dare torto al giudizio dei penalisti a proposito della demagogia del governo.
Stesso discorso vale per il dato del 30% di donne uccise sul totale: se si presenta una percentuale senza spiegarne il significato e soprattutto il rapporto con i valori assoluti – come abbiamo mostrato prima – allora siamo davanti a un trucchetto statistico ad uso della propaganda.
Ma ci sono anche altri aspetti da mettere in rilievo. Si è molto sottolineato il dato del 30%, ma se questa percentuale è una emergenza, cosa dire del 70%? Forse che i morti contano a seconda del sesso?
E ancora: Alfano ha parlato insistentemente di “violenza di genere”. Ma cosa significa esattamente questa espressione? Perché adottare questa terminologia?
L’introduzione del concetto di genere quando parliamo di sesso della vittima non può essere considerata casuale. Tende a rendere familiare la parola “genere” che poi, lo sappiamo, viene usata in altri contesti per altri scopi. Quando il termine “genere” diventa familiare, riferito al sesso femminile, poi non ci si farà più caso quando si comincerà ad usarlo per allargarne il significato e i generi diventeranno cinque, sette o tanti di più. E’ la rivoluzione antropologica che passa attraverso l’uso delle parole.
Una interpretazione del concetto “violenza di genere” dice che si tratta di quegli omicidi di donne in quanto donne. Ebbene, anche qui troviamo affermazioni che fanno certamente effetto ma che sono quanto meno difficili da sostenere, perché vorrebbe dire che in Italia ci sono uomini che vanno in giro a uccidere donne solo in odio al loro sesso. Stando ai rapporti sulla criminalità non sembrerebbe il caso.
Piuttosto c’è il fondato rischio che proprio i provvedimenti varati dal governo e sostenuti da interventi come quello di Alfano portino all’aumento di violenze e omicidi contro le donne. Il motivo è nel fatto che buona parte degli omicidi, ad esempio, sono causati dalla disgregazione delle famiglie: a compiere i delitti sono ex coniugi, amanti o coniugi che stanno per subire una separazione. Quindi, per questi casi la strada principale per affrontare il problema sarebbe rafforzare la famiglia, darle sostegno. Esattamente il contrario della direzione presa anche da questo governo, incluso il decreto legge sul femminicidio, che rispecchia una visione in cui è invece la famiglia la principale fonte di violenza, così che gli individui più deboli vanno protetti dal resto dei componenti. Ciò non farà altro che contribuire all’ulteriore disgregazione delle famiglie, la vera fonte di sofferenze e violenze.
Ci si permetta un'ultima notazione: visto che l'immigrazione ha assunto proporzioni statisticamente rilevanti, sarebbe interessante sapere quante delle donne uccise o maltrattate siano immigrate. Sappiamo che in certe comunità il maltrattamento delle donne è piuttosto comune, e magari anche tollerato dalle nostre autorità visto che si tratta di "tradizioni culturali". Sicuro che non valga la pena metterci il naso e avere un'idea più chiara delle dimensioni del fenomeno? O l'argomento è troppo scomodo e rischia di trasformare gli applausi in fischi di disapprovazione?