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L'ESEMPIO SPAGNOLO

Fede e salute: per quei vescovi la Messa non è finita

In Spagna, 11 diocesi hanno deciso di mantenere le Messe con popolo. Merito del decreto del governo che non le ha sospese e della Conferenza episcopale che ha lasciato libertà ai singoli vescovi. Assicurare al popolo - pur con le accortezze del caso - il Sacrificio Eucaristico si può. 

Ecclesia 18_03_2020

Così non fa tutte. Sospendere le Messe con concorso di popolo in Italia è stato facile. Quasi scontato, dato che nell’episcopato italiano non si sono levate voci dissonanti per cercare di trovare altre soluzioni che conciliassero la partecipazione dei fedeli al Sacrificio Eucaristico con le esigenze di tutela della salute. «Le messe vanno sospese. E’ una questione di carità. Punto», si ripete a gran voce per giustificare un provvedimento senza precedenti. Ma è possibile rimettere in discussione questo corollario?

Si può almeno guardare a che cosa fanno gli altri vescovi in Europa senza la provinciale e autoreferenziale sicumera di sentirsi nella ragione?

Si è detto dei vescovi polacchi che non hanno sospeso le Messe, ma sul loro esempio anche altri vescovi stanno decidendo di non far mancare la Messa con popolo.  

In Spagna ad esempio, dove la situazione del contagio è al di sotto dell’Italia, ma comunque seconda per gravità in Europa, assistiamo a una situazione a macchia di leopardo interessante per diversi motivi.

La Chiesa attraverso le singole diocesi ha adottato misure differenti, a seconda del vescovo titolare. Sono emerse infatti tre posizioni: diocesi che hanno sospeso le Messe e chiuso le chiese. E’ ad esempio il caso di Madrid; Diocesi che hanno sospeso le Messe con popolo e lasciato aperte le chiese, come è accaduto in Italia. E diocesi che hanno chiese aperte e Messe con popolo. Contingentate, come fedeli, ovviamente. Con regole stringenti per numero di partecipanti e misure igieniche da prendere. Però in 11 diocesi i fedeli – se lo desiderano – possono assistere alla Messa senza sentirsi in colpa come untori: succede a Granada, Salamanca, Asidonia-Jerez, Cádiz-Ceuta, Córdoba, Huelva, Almería, Alcalá, Segorbe-Castellón, Menorca, Orihuela-Alicante.

Il caso spagnolo è significativo e dovrebbe far riflettere.

Anzitutto questa diversità è stata possibile perché la Conferenza Episcopale Spagnola, fresca di neo presidente, non ha preso la decisione per tutti. Ha detto di sospendere tutte le manifestazioni pubbliche come le processioni e in Spagna ce ne sono parecchie, ma per le Messe si è raccomandata soltanto di mantenere «un ristretto gruppo».

In questo modo almeno 11 vescovi hanno ritenuto di poter proseguire rispettando le disposizioni governative.

Già, il governo. Il temuto governo Sanchez-Iglesias pare essere stato più liberale di quello italiano che consente – non essendo intervenuto – di poter entrare in una chiesa per interrompere la Messa. Il Decreto reale di allerta del Governo della Nazione 463/2020 del 14 marzo all’articolo 11 afferma che «la presenza nei luoghi di culto e le cerimonie civili e religiose, incluse quelle funebri, sono condizionate dall’adozione di misure organizzative consistenti nell’evitare assembramenti di persone, in funzione delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi, in modo da rispettare la distanza tra di loro di almeno un metro».  

In questo modo il vescovo di Alcalà De Henares Juan Antonio Reig Pla ha potuto emettere un decreto in cui il celebrante possa dire messa con un ristretto gruppo di fedeli e – altro particolare assente in molte disposizioni vescovili italiane – offrire tutte le Messe per la fine della pandemia oltre che per le intenzioni particolari». Insomma, anche in Spagna la vita dei fedeli è drasticamente limitata, ma non è compromessa nel cuore della vita cristiana. Nel comunicato precedente, Reig Pla sembra recepire anche quella che è la via polacca autorizzando il sacerdote che lo ritenesse opportuno a ridurre il numero di fedeli o a raddoppiare le celebrazioni per garantire circa un terzo dell’occupazione solita.

Una preoccupazione che è la stessa di Javier Martínez, arcivescovo di Granada che ha ribadito in una sua comunicazione come «la chiesa non chiude perché è portatrice della speranza del mondo. E così anche la preghiera che si può fare anche in piccoli gruppi». Curiosità: anche a Granada, come in altre diocesi spagnole la comunione si può ricevere anche in bocca perché «le possibilità di contagio sono le stesse in entrambi i casi».

A Cordoba i sacerdoti possono ridurre il numero di messe feriali o festive ma «da parte nostra – scrive il vescovo – non impediremo a nessuno di assistere a patto che non si creino assembramenti e che si rispettino le distanze».

«Due persone per banco e file distinte per navata al momento della ricezione della Comunione per non scontrarsi con chi va e chi viene», è invece la disposizione del vescovo di Salamanca, che comunque non ha impedito al popolo di assistere alla Messa.  

José Mazuelos Pérez, titolare dell’episcopato di Jerez raccomanda distanze di sicurezza ma avverte: «L’autorità non disponga il contrario», tanto per far capire che in chiesa comanda la Chiesa e lo Stato non può entrare. Anche qui le Messe si applicano esclusivamente per la fine della pandemia. Stesso discorso per Cadice-Ceuta e Almeria. Paese che vai usanza che trovi. Però non si dica che la soppressione delle messe con il popolo è l’unica misura possibile.