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IL CASO

Fecondazione Frankenstein: il neonato “ha” già 10 anni

Fecondazione artificiale eterologa con ovocita crioconservato da dieci anni. E così il neonato che verrà al mondo avrà sulle spalle, in un certo qual modo, già una decade di vita, almeno per il 50% del suo patrimonio genetico. Accade al Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna ed è la prima volta in Italia.

Vita e bioetica 25_01_2016
A Bologna fecondazione artificiale con ovocita vecchio di 10 anni

Fecondazione artificiale eterologa con ovocita crioconservato da dieci anni. Accade al Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna dove si presenta una donna 32enne in menopausa precoce che vuole diventare mamma a tutti i costi. L’equipe diretta dalla dottoressa Eleonora Porcu la sottopone a fecondazione artificiale di tipo eterologo: vanno in laboratorio e scongelano un ovocita che era nel freezer da dieci anni, lasciato lì da una donna che aveva già avuto dei figli in provetta, e poi prendono il seme del partner maschile. Il bambino dovrebbe nascere a breve. 

É la prima volta che in Italia si riesce ad ottenere una gravidanza utilizzando un gamete così vecchio. E così il neonato che verrà al mondo avrà sulle spalle, in un certo qual modo, già una decade di vita, almeno per il 50% del suo patrimonio genetico. La teoria della relatività di Einstein è entrata in sala parto. Un bimbo in parte più giovane dei suoi fratelli più giovani perché nati dopo. Un paradosso temporale che per capirlo occorre riguardarsi il film Ritorno al futuro.

E la vicenda del Sant’Orsola – quanti ospedali, intitolati a santi, che sono vere e proprie strutture di peccato! – è davvero un ritorno alle barbarie. Per più motivi. C’è, infatti,  da domandarsi innanzitutto a quanti tentativi la giovane donna ha dovuto sottoporsi per riuscire nell’intento. Il loro numero è proporzionale al numero di embrioni sacrificati per ottenere la presente gravidanza. Poi abbiamo una fecondazione artificiale che è pure eterologa: il figlio nascerà dall’utero di una donna che non è sua madre. Qui è da citare un’uscita della dottoressa Porcu sull’utero in affitto rilasciata al Corriere proprio in occasione di questa gestazione eccezionale: «A differenza di Umberto Veronesi, ne penso il peggio possibile. È una moderna forma di schiavitù femminile. Sono indignata. Bisogna affrancarsi da questa modalità di sfruttamento del corpo femminile». Ma a ben vedere anche la gravidanza presa in cura dalla Porcu è una forma di maternità surrogata seppur rovesciata. 

Nell’eterologa senza utero in affitto con ovocita donato – caso del Sant’Orsola - la madre è gravida di un figlio geneticamente non suo. Nasce quindi un figlio strappato dalla propria madre biologica. Nella maternità surrogata, per paradosso, la gravidanza perlomeno è portata avanti dalla madre biologica e al momento della nascita il figlio come nel caso bolognese verrà strappato dalla sua mamma naturale per essere dato ad una terza donna. Risultati uguali con modalità differenti. Ma perché l’equipe della Porcu – leader in Italia nella criconservazione dei gameti – ha dovuto andarsi a scongelare un ovocita vecchio di dieci anni? Perché, evidentemente, in giro di ovociti utili per l’eterologa non ce ne sono molti. 

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 2014 che abolì il divieto di fecondazione eterologa contenuto nella Legge 40, la pratica non è mai decollata per mancanza di donatori e donatrici. Per quale ragione? Il motivo potrebbe essere duplice. Da una parte perché forse questa pratica estrema non è ancora entrata nelle corde dell’italiano medio al quale non va di diventare padre e madre di figli che mai vedrà nascere e crescere. Oltre a questo c’è una seconda spiegazione che è sicuramente più convincente: rispetto alle altri parti del mondo dove l’eterologa è diffusa come il polline in primavera perché fonte di guadagno per i cosiddetti “donatori”, da noi ci si guadagna poco o nulla a dar retta alla sentenza della Consulta che però non si è ancora concretata in direttive precise di carattere giuridico formale. E infatt,i a fronte di una richiesta di 228 coppie solo al Sant’Orsola, in lista per diventare genitori “eterologhi”, sono solo dieci i donatori i cui semini potranno venire utilizzati per possibili future gravidanze. Altre otto donatrici si sono dette pronte per l’atto “liberale”, ma occorre vedere se supereranno i test clinici. Insomma, molta domanda poca offerta.

 Il monstrum bioetico che è stato distillato in quel di Bologna è ancor più mostruoso se si pensa che la dottoressa Porcu si dichiara “cattolica”. La Porcu, direttrice del Centro di Procreazione medicalmente assistita del sant’Orsola nonché vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità, è presa a modello da alcuni settori della cultura cattolica come esponente di una bioetica virtuosa, una bioetica che è capace di coniugare istanze morali con esigenze scientifiche. Una sorta di via cattolica alla fecondazione artificiale. 

La dottoressa è, infatti, fondatrice di Scienza & Vita – associazione di matrice cattolica – e nello stesso tempo allieva di Carlo Flamigni, alfiere della provetta libera. Insomma, il favor espresso dalla Porcu all’eterologa d’annata si inserisce magistralmente in certo mainstream cattolico che è sempre pronto a condannare il male maggiore – utero in affitto – per benedire il male minore – eterologa. Ma il problema – oltre a quelli di natura morale – sta nel fatto che domani il male maggiore a sua volta diventerà minore a fronte di un altro male ancor maggiore. E così all’infinito.